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13. Estratto della sentenza 14 marzo 1980 della II Corte di diritto pubblico nella causa Divisione federale della giustizia c. X. S.A. e Commissione cantonale di ricorso del Cantone Ticino per l'applicazione del DAFE (ricorso di diritto amministrativo) | |
Regeste |
Erwerb von Grundstücken durch Personen im Ausland. Beteiligung an der Kapitalerhöhung einer Immobiliengesellschaft (Art. 2 lit. c BewB und Art. 1 und 2 Abs. 1 BewV). |
2. Bei der Beurteilung ob eine Gesellschaft als Immobiliengesellschaft im Sinne von Art. 1 Abs. 1 BewV zu betrachten ist, steht der zuständigen Behörde ein gewisses Ermessen zu. Wie verhält es sich, wenn der Bilanzwert der unbeweglichen Aktiven rund 50% der Aktiven beträgt? (E. 2c, e). |
3. Die Person im Ausland, die Anteile an einer Immobiliengesellschaft erwerben will, hat das Vorhandensein eines schutzwürdigen Interesses gemäss Art. 6 Abs. 1 und 2 BewB nachzuweisen (E. 3a). |
4. Die Erwägungen des Bundesgerichts im Urteil BGE 102 Ib 135 ff. gelten auch für Personen im Ausland, die Anteile an einer schweizerischen Immobiliengesellschaft zeichnen oder erwerben, welche in der Schweiz bereits Handel oder Gewerbe treibt. Grundsätzlich und vorbehältlich besonderer Umstände kann somit die Bewilligung dem ausländischen Erwerber nur erteilt werden, wenn er beabsichtigt, sich persönlich an Geschäftsführung oder Verwaltung der Gesellschaft zu beteiligen, denn sonst ist anzunehmen, das Interesse an der Kapitalanlage überwiege, weshalb die Bewilligung zu verweigern ist (E. 3b). |
5. Bedingungen und Auflagen, mit denen die Bewilligung zum Erwerb von Anteilen an Immobiliengesellschaften verbunden werden kann (Art. 8 BewB, Art. 17 Abs. 2 lit. d BewV). Für die Sperrfrist gemäss Art. 17 Abs. 2 lit. d BewV ist Art. 17 Abs. 2 lit. b Ziff. 1 BewV analog anwendbar (E. 4). |
6. Tragweite von Art. 23 Abs. 1 und 2 BewV im konkreten Fall. Rückweisung der Sache zu neuer Entscheidung im Sinne von Art. 114 Abs. 2 Satz 2 OG an die erste kantonale Instanz (E. 5). | |
Sachverhalt | |
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Il 7 luglio 1977 la X. S.A., per il tramite del suo legale, annunciava all'Autorità di prima istanza del distretto di Lugano d'essere intenzionata a riaumentare il proprio capitale sino ad un milione di franchi, mediante l'emissione di 600 nuove azioni al portatore, presumibilmente sottoscritte - almeno in parte - da persone con domicilio o sede all'estero. Richiamandosi inoltre agli art. 6 cpv. 2 lett. b DAFE e 13 OAFE, essa postulava anche esplicitamente il rilascio dell'autorizzazione. Il 6 febbraio successivo, la società richiedente trasmetteva poi all'Autorità distrettuale il proprio bilancio al 31 dicembre 1976: da questo bilancio si desumeva che, per un valore totale degli attivi reali pari a Fr. 1'687'967,27, ovverosia Fr. 1'882'289,55 meno le perdite riportate, gli immobili (terreni, fabbricati ed istallazioni generali) erano valutati a Fr. 815'000.-- e le ipoteche iscritte al passivo per un importo di 510'000 franchi.
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Con decisione 21 febbraio 1978 fondata sull'art. 6 cpv. 2 lett. b DAFE, l'Autorità di prima istanza accordava l'autorizzazione per l'aumento del capitale sociale, imponendo tuttavia alla richiedente l'obbligo di depositare le azioni per un periodo di 10 anni presso la Banca dello Stato del Cantone Ticino. Contro questa decisione, ed in particolare contro il citato obbligo di depositare le azioni, la X. S.A. si aggravava alla Commissione cantonale di ricorso per l'applicazione del DAFE (CCR), postulando l'annullamento di una misura che, a parer suo, risultava essere "ingiustificata e gravemente paralizzante". La società resistente sollevava inoltre la questione di sapere se il prospettato aumento del capitale sociale fosse realmente soggetto all'autorizzazione, riconoscendo che la detta ![]() | 3 |
Con decisione 16 giugno 1978, la CCR accoglieva il gravame, rilevando in sostanza che, non essendo adempiute le condizioni d'applicazione dell'art. 1 OAFE, il rilascio del permesso s'avverava frustraneo, ancorché la resistente potesse comunque prevalersi d'un interesse legittimo giusta l'art. 6 cpv. 2 lett. b DAFE. Per quanto concerne l'obbligo di depositar le azioni presso la Banca dello Stato, la CCR lo riteneva in concreto "eccessivamente pesante", dal momento che il prospettato aumento del capitale sociale non era destinato "a finanziare l'acquisto di fondi o altri diritti equivalenti": a parer suo, codesto aumento andava quindi autorizzato "senza subordinazione ad alcun vincolo restrittivo".
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Con tempestivo ricorso di diritto amministrativo, la Divisione federale della giustizia (DFG) - ora Ufficio federale di giustizia - ha impugnato la cennata pronunzia della CCR, chiedendo al Tribunale federale di annullarla e di ritornare gli atti all'istanza inferiore per nuova decisione ai sensi dei considerandi. In sostanza, essa rimprovera alle autorità cantonali di non aver accertato i fatti rilevanti per l'applicazione degli art. 2 lett. c, 6 cpv. 2/3 DAFE, 1, 2, 13 e 17 OAFE, disattendendo in tal modo l'art. 23 OAFE.
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Considerando in diritto: | |
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a) Secondo l'art. 2 lett. c DAFE, all'acquisto di fondi in proprietà da parte di persone all'estero (art. 1), è parificato l'acquisto, sia esso originario o derivato, di quote del patrimonio delle società cosiddette immobiliari, la cui nozione è poi precisata dall'art. 1 OAFE. Per le persone con domicilio o sede all'estero, la partecipazione alla costituzione o all'aumento di capitale d'una siffatta società, che vale ![]() | 7 |
b) Nel caso in esame, le autorità cantonali di prima e seconda istanza non hanno esperito affatto questa ricerca e rimangono quindi tuttora sconosciuti non solo l'identità dei sottoscrittori stranieri che hanno partecipato all'aumento di capitale della società resistente, ma anche il numero di azioni in tal modo assunte da persone all'estero, assoggettate, come tali, al regime autorizzativo. Tale inchiesta è stata probabilmente ritenuta inutile dall'Autorità distrettuale poiché, dovendo il nuovo capitale esser sottoscritto - almeno in parte - da persone o società finanziarie con sede all'estero, essa ha considerato a torto che l'aumento di capitale era di per sé soggetto all'autorizzazione stessa. D'altra parte, la CCR ha rinunciato ad ogni ricerca sull'identità dei sottoscrittori stranieri poiché la X. S.A. non era a parer suo una società immobiliare giusta gli art. 2 lett. c DAFE e 1 OAFE. Questa conclusione non è tuttavia condivisa dall'autorità ricorrente, che la giudica affrettata o quantomeno opinabile.
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Nella fattispecie, si desume dai bilanci della X. S.A. al 31 dicembre 1976, 31 dicembre 1977 e 30 giugno 1978 che gli immobili (terreni, fabbricati ed installazioni generali, senza le macchine) rappresentano, dopo deduzione delle perdite registrate all'attivo, quasi la metà degli attivi reali. Certo, il carattere immobiliare della società resistente non era comprovato d'acchito, ma non si deve dimenticare che gli attivi immobiliari sono stimati secondo il bilancio ove quest'ultimo corrisponda alla situazione effettiva (art. 1 cpv. 2 OAFE). In caso di dubbio a questo proposito, e segnatamente allorché gli attivi immobiliari sono registrati - come in casu - per un valore che sfiora il 50% del totale degli attivi reali, la competente autorità cantonale non può quindi scartare l'applicazione dell'art. 2 lett. c DAFE senza vagliare in particolare se i valori iscritti a bilancio corrispondono alla realtà oggettiva, ed acquisire in tal modo la certezza che gli attivi sociali non sono realmente costituiti, in misura preponderante, da diritti su fondi situati in Svizzera.
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d) Nel concreto caso, v'erano poi particolari ragioni che dovevano spingere l'autorità ricorsuale ad eseguire quest'accertamento prima di escludere senza indugi qualsiasi applicazione dell'art. 2 lett. c DAFE.
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e) Se ne deve concludere che la CCR non poteva, sulla scorta del solo bilancio al 31 dicembre 1976, ritenere la società richiedente non "immobiliare" ai sensi degli art. 2 lett. c DAFE e 1 OAFE. Se la CCR voleva revocare seriamente in dubbio il principio stesso dell'assoggettamento, implicitamente accettato dalla resistente e dall'Autorità di prima istanza, doveva allora chiarire la questione con compiutezza, verificare in modo più preciso il valore reale degli immobili, ed accertare quindi che codesti fondi non costituivano, in effetti, la parte precipua del patrimonio sociale.
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a) Estendendo l'obbligo autorizzativo all'acquisto di quote di società immobiliari (art. 2 lett. c DAFE), il legislatore federale non ha comunque previsto di rinunciare in tal caso all'esigenza di un interesse legittimo, interesse che l'acquirente straniero deve ognora dimostrare per ottenere l'autorizzazione. D'altronde, se si dovesse derogare in questo campo alla norma generale dell'art. 6 cpv. 1 DAFE, non solo si comprometterebbe lo scopo perseguito dalla legislazione federale, ma per la persona con domicilio o sede all'estero la sottoscrizione o l'acquisto di quote di società immobiliari costituirebbe spesso un puro collocamento di capitali, vietato per principio dall'art. 6 cpv. 3 DAFE (cfr. DTF 104 Ib 150 consid. 4; sentenza 28 novembre 1975 in re H., apparsa nella Rivista di diritto amministrativo ticinese (RDAT) 1977, n. 98 pag. 192). Come già rilevato dalla vecchia Commissione federale di ricorso (CFR) prevista dall'art. 8 del ![]() | 15 |
b) Giusta l'art. 6 cpv. 2 lett. b DAFE, l'acquirente straniero dimostra un interesse legittimo e può ottenere l'autorizzazione se il fondo gli serve, interamente o essenzialmente, per esercire lo stabilimento d'impresa di un commercio, di un'industria o di un'altra impresa esercitata in forma commerciale. Ciò significa, in pratica, che lo stesso acquirente deve anche assumere la direzione effettiva dell'impresa, poiché altrimenti l'acquisto è considerato fatto a scopi di collocamento di capitali e, salvo precise eccezioni, l'interesse non è più reputato legittimo in virtù dell'art. 6 cpv. 3 DAFE (v. in tal senso l'art. 13 cpv. 2 dell'ordinanza del 21 dicembre 1973 (RU 1974, 95) in vigore sino alla modificazione dell'11 febbraio 1976; DTF 102 Ib 135 consid. 1; decisione 11 novembre 1964 della CFR, RNRF 46/1965, pag. 233 consid. 2). Come già rilevato in giurisprudenza, l'art. 6 cpv. 2 lett. b DAFE - che concerne soprattutto le imprese che già esercitano un'attività industriale all'estero e che prevedono altresì d'impiantarsi in Svizzera - non esclude invero a priori il rilascio di un'autorizzazione all'industriale o al commerciante che vuole esercire nel nostro Paese un unico stabilimento d'impresa, pur conservando all'estero il suo domicilio: salvo casi eccezionali, una richiesta a tal fine formulata dall'acquirente straniero e fondata sull'impegno a dirigere l'impresa dall'estero esula tuttavia dalle previsioni del legislatore, merita per conseguenza un esame approfondito, e può così essere accolta soltanto se è accertato che il richiedente non ![]() | 16 |
c) Nella fattispecie concreta, non è certo impossibile che l'autorizzazione possa finalmente esser concessa, né la ricorrente esclude peraltro una simile evenienza. Comunque sia, le competenti autorità cantonali non potevano rilasciare codesta autorizzazione senza previamente accertare che la partecipazione all'aumento del capitale sociale della X. S.A. non costituiva in realtà, per i sottoscrittori stranieri, un semplice investimento di capitali ai sensi dell'art. 6 cpv. 3 DAFE. Orbene, in effetti, le dette autorità non hanno neppure tentato di conoscere l'identità dei sottoscrittori stranieri, per il che si ignora a tutt'oggi se codesti sottoscrittori possono dimostrare un interesse legittimo, e quindi prevalersene, giusta l'art. 6 cpv. 2 lett. b DAFE. Nella misura in cui la ricorrente rimprovera alle autorità cantonali, ed in particolare alla CCR, di non aver "accertato in modo conveniente i fatti decisivi e necessari alla soluzione del caso", la sua censura s'avvera pertanto fondata, ed il ricorso su tal punto dev'essere accolto.
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d) Per completezza, giova poi osservare che l'"interesse legittimo all'acquisto del fondo" può essere soltanto quello che l'acquirente straniero deve comprovare, mentre l'interesse dei terzi o l'interesse pubblico sono, in quest'ambito, assolutamente ininfluenti (decisione 12 luglio 1967 della CFR, RNRF 49/1968, pag. 237 consid. 3). Ciò significa in casu che la competente autorità cantonale non potrà prendere in considerazione l'interesse della X. S.A. a poter aumentare il proprio capitale sociale per ristabilire poi la sua situazione economica o finanziaria, anche se codesto interesse appare di per sé evidente e giustificato.
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4. Giusta l'art. 8 DAFE, l'autorizzazione può essere subordinata a condizioni od oneri per garantire un'utilizzazione del fondo conforme ![]() | 19 |
Nel concreto caso, la CCR ha annullato il vincolo a cui l'Autorità di prima istanza aveva subordinato il rilascio dell'autorizzazione poiché, a parer suo, il detto vincolo sarebbe risultato "eccessivamente pesante per la X. S.A. in relazione al fatto che l'aumento di capitale non [era] destinato a finanziare l'acquisto di fondi o altri diritti equivalenti" (decisione impugnata, consid. 5 in fine). Sennonché questo argomento non cade in acconcio neppure nell'ambito del principio della proporzionalità, poiché l'obbligo di deporre le azioni presso la Banca cantonale non sarebbe comunque imposto alla società resistente, ma ai singoli sottoscrittori stranieri autorizzati come tali a partecipare all'aumento del capitale sociale. Se ne deve concludere che l'impugnata pronunzia della CCR è lesiva del diritto federale, ed in particolare dell'art. 17 cpv. 2 lett. d OAFE: il ricorso di diritto amministrativo s'avvera dunque fondato anche su questo punto.
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5. a) Secondo l'art. 23 OAFE, le autorità accertano i fatti d'ufficio (cpv. 1) e possono fondarsi soltanto su allegazioni da esse esaminate ![]() | 21 |
b) Se annulla la decisione impugnata, il Tribunale federale giudica esso medesimo nel merito, se del caso dopo una nuova assunzione di prove, o rimanda la causa per nuova decisione alla precedente istanza; se quest'ultima ha giudicato come istanza di ricorso, la causa può esser rinviata alla prima istanza (art. 114 cpv. 2 OG; DTF 101 Ib 396 /397 consid. 7; sentenza 28 novembre 1975 in re H., RDAT 1977, n. 98 pag. 193).
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Nel caso in esame, il rinvio della causa all'autorità cantonale appare giustificato, poiché le questioni ancora litigiose non possono certo esser decise sulla sola scorta degli atti acquisiti ora all'incarto. D'altra parte, appare anche opportuno rimandare la causa stessa all'Autorità di prima istanza per garantire in casu agli interessati la doppia giurisdizione in sede cantonale (cfr. DTF 102 V 184). Prima di emanare una ![]() | 23 |
Il Tribunale federale pronuncia:
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