BGE 113 Ib 276 | |||
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43. Sentenza del 28 gennaio 1987 della I Corte di diritto pubblico nella causa X. c. Ufficio federale di polizia (ricorso di diritto amministrativo) | |
Regeste |
Europäisches Auslieferungs-Übereinkommen (EAUe), Rechtshilfegesetz (IRSG). Überprüfung des Alibis. |
2. Prüfung des Alibibeweises unter der Herrschaft des aufgehobenen Auslieferungsgesetzes vom 22. Januar 1892; Zusammenfassung der Rechtsprechung (E. 3a). |
3. Auslegung des Art. 53 IRSG im Lichte der Gesetzesmaterialien. Der Begriff des Alibis ist im herkömmlichen Sinn zu verstehen, nämlich als Beweis, dass sich der Verfolgte im Zeitpunkt der Tat, für die die Auslieferung nachgesucht wird, nicht am Ort der Tatbegehung aufgehalten hat: der Begriff lässt sich nicht auf jeden Beweis der Nicht-Schuld des Auszuliefernden ausdehnen (E. 3b). |
4.Übereinstimmung des Art. 53 IRSG mit dem EAUe insbesondere mit seinem Art. 1, der den Grundsatz der Auslieferungspflicht aufstellt (E. 3c). |
5. Im konkreten Fall Anwendung von Art. 53 Abs. 2 Satz 2 IRSG, da das vom Verfolgten behauptete Alibi weder klar noch eindeutig ist (E. 4). | |
Sachverhalt | |
In data 5 giugno 1986 l'Ambasciata d'Italia a Berna ha chiesto l'estradizione del cittadino italiano M. X., detenuto a Lugano, per i fatti posti alla base del mandato di cattura n. 44/86 R.M.C. emesso l'11 marzo 1986 dal Giudice istruttore del Tribunale di Fermo. X. s'è opposto all'estradizione invocando un alibi.
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L'Ufficio federale di polizia (UFP) ha accolto la domanda con decisione del 22 agosto 1986, che il perseguito ha tempestivamente impugnato con ricorso di diritto amministrativo: egli ha chiesto che il Tribunale federale l'annulli e, in via principale, rifiuti l'estradizione; in via subordinata, che faccia obbligo all'UFP di comunicare allo Stato richiedente le prove a discarico, invitandolo a dichiarare se intende mantenere la domanda, in applicazione dell'art. 53 cpv. 2, frase 2 AIMP.
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L'UFP ha concluso per la reiezione integrale del gravame.
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Considerato in diritto: | |
1. Ai rapporti italo-svizzeri in materia di estradizione sono applicabili la CEEstr e, in via sussidiaria, nella misura in cui non contrasti con la lettera o lo spirito della Convenzione, l'AIMP (DTF 109 Ib 62 /63). Colpito dalla decisione, X. ha indubbiamente qualità (art. 103 lett. a OG) per impugnarla col ricorso di diritto amministrativo previsto dagli art. 25 cpv. 1 e 55 cpv. 3 AIMP, per cui il gravame - tempestivo - è ricevibile in linea di principio. Su di esso il Tribunale federale giudica senza esser vincolato dalle conclusioni delle parti (art. 25 cpv. 6 AIMP), il che significa che, nel quadro dell'oggetto del litigio, esso può procedere anche ad una reformatio in pejus sive in melius (DTF 112 Ib 585/86 consid. 3; cfr., sotto il dominio della cessata LEstr del 1892: DTF 100 Ia 410 consid. 1c/d, 99 Ia 554 consid. 2, 97 I 375 consid. 1, 95 I 467 consid. 5).
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b) È pacifico che all'epoca determinante X. si spacciava, usando documenti di legittimazione falsi, per tale Oreste G.: la circostanza è confermata dalla condanna a 15 giorni di detenzione da lui subita in Svizzera in virtù di un decreto d'accusa 23 maggio 1986 del Sostituto Procuratore pubblico sottocenerino, per essersi egli legittimato con carte false a partire dal settembre 1985 presso le autorità doganali e di polizia svizzere. Ora, A., a quel tempo titolare di un studio di architettura a Lugano, ha reso una dichiarazione giurata davanti al notaio S., secondo cui egli avrebbe fatto la conoscenza verso il 15 settembre 1985 a Breganzona di un certo Oreste, che si interessava per trovare finanziatori di un brevetto di macchina scioglineve, e l'avrebbe a tal fine indirizzato all'arch. Y. Inoltre, l'arch. Y. ha rilasciato il 24 luglio 1986 davanti al notaio L. una dichiarazione giurata, secondo la quale, a seguito della presentazione fattagli da A. il 16 o 17 settembre 1985, egli avrebbe avuto con Oreste G. - alias X. - numerosi lunghi colloqui per motivi d'affari nel suo studio di Massagno il 20 settembre, il 23 settembre (ore 10.00), il 25 settembre (ore 16.00), il 26 settembre (ore 10.30), il 27 settembre (ore 15.00) e il 30 settembre (ore 11.30), nonché altri numerosi incontri nei mesi di ottobre e di gennaio, febbraio e marzo 1986. Il ricercato ha infine prodotto dichiarazione giurata di F.B., cittadina italiana residente a Ronago (Como), un paese vicino alla frontiera a Novazzano, attestante di aver alloggiato l'"Oreste" dal 3/4 settembre 1985 sino all'1/2 ottobre 1985; la teste ha confermato che, nella notte del 26 settembre 1985, l'"Oreste" era in casa.
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Da questa documentazione, il ricercato ha dedotto davanti all'UFP - come sostiene oggi davanti al Tribunale federale - esser raggiunta la prova che, contrariamente all'asserzione dell'autorità italiana, egli non poteva trovarsi a Fermo né il giorno 23 settembre né il 26 successivo, onde l'identificazione fotografica, sulla scorta della quale codesta autorità ha principalmente fondato l'imputazione di partecipazione agli atti delittuosi commessi dai due autori materiali della rapina, non potrebbe esser esatta, ed egli dovrebbe esser posto al beneficio dell'alibi previsto dall'art. 53 AIMP.
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c) Nella decisione impugnata, pronunciandosi su questa obiezione, l'UFP ha rilevato innanzitutto che non ci si trova in presenza di un caso palese, legittimante senz'altro il rifiuto dell'estradizione (art. 53 cpv. 2, frase 1 AIMP). Ha poi aggiunto che, per espressa richiesta del precedente difensore del ricercato, la dichiarazione resa da F.B. - che temerebbe di esser accusata in Italia di infrazioni doganali - non può esser comunicata all'autorità italiana, e ne ha concluso che, facendo astrazione da tale dichiarazione, l'alibi per la giornata del 26 settembre 1985 si sgretola e perde ogni significato, non senza rilevare che - oltretutto - si porrebbe il "problema dell'inchiesta relativa ad una persona - F.B. - che fa dichiarazioni in siffatte circostanze". Per quanto poi riguarda l'alibi del 23 settembre 1985 - aggiunge l'UFP - va notato che è senz'altro possibile recarsi "da Lugano a Roma in 6/7 ore" e che "da Chiasso a Porta S. Giorgio (casello autostradale) vi sono circa 600 km: Porta S. Giorgio dista da Fermo 10 km".
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A questo ultimo riguardo va subito rilevato che la decisione dell'UFP può dar luogo ad equivoco. La distanza fra Lugano e Roma, rispettivamente il tempo necessario per la percorrenza, sono affatto inconferenti, poiché la città di Fermo si trova sul versante adriatico, a sud di Ancona, sicché chi la volesse raggiungere da Lugano percorrerebbe, lasciando l'autostrada del sole a Bologna, l'autostrada A 14 Adriatica. Per contro è esatto che tra il casello d'uscita di Porto (e non "Porta") S. Giorgio sull'Adriatica e Fermo vi sono ca 10 km. Queste imperfezioni della decisione sono per finire irrilevanti, poiché è esatto che tra Lugano e Fermo intercorre una distanza di ca 600 km.
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d) Nel gravame il ricercato ribadisce le ragioni già invocate davanti all'UFP. Egli rileva, per quanto riguarda il furto dell'arma con la quale è stata commessa la rapina, avvenuto il 1o dicembre 1985, che egli non può avervi partecipato, essendo a quell'epoca detenuto in Italia; quanto ai fatti di Fermo, ribadisce di essersi trovato in Svizzera, rispettivamente a Ronago, presso la frontiera svizzera, cioè a oltre 600 km di distanza dal luogo di commissione.
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3. a) Per costante giurisprudenza, il Tribunale federale si considera vincolato dalla descrizione dei fatti contenuta nella domanda d'estradizione e nella documentazione allegata, a meno che essa sia manifestamente inesatta o contenga lacune o contraddizioni (DTF 109 Ib 324 consid. 11b, DTF 107 Ib 254 consid. 2b/aa, 267 consid. 3a): l'esame della colpevolezza è per principio riservato al giudice straniero del merito, non a quello svizzero dell'estradizione o - in genere - dell'assistenza. Sotto l'impero della cessata legge d'estradizione del 22 gennaio 1892, che non conteneva alcuna disposizione particolare concernente l'alibi, il Tribunale federale ha costantemente rifiutato di entrare nel merito di tale obiezione sollevata dal ricercato. In DTF 92 I 114 /15 (caso Kroeger), esso si è tuttavia posto - lasciandola aperta - la domanda di sapere se la questione della colpevolezza non dovesse esser esaminata dal giudice dell'estradizione, almeno allorquando un alibi allegato dal ricercato fosse agevolmente e sicuramente controllabile, così come d'altronde già soleva fare la Divisione federale di polizia (cfr. rapporto di gestione del Consiglio federale, ediz. ted., 1920 pag. 305 n. 13, 1925 pag. 264 n. 8, 1926 pag. 267 n. 13) e come veniva auspicato dalla dottrina svizzera, con riferimento anche alla soluzione mediana adottata a tal riguardo nel diritto austriaco (SCHULTZ, Das schweizerische Auslieferungsrecht, pag. 202 e note 223/224, pag. 234; SCHEIM/MARKEES, SJK n. 755 pag. 10 n. 4c; PFENNINGER, Ein Typus-Auslieferungsvertrag, RDS 54/1935 pag. 95 segg.). In DTF 95 I 467 /68 (caso Della Savia), il Tribunale federale ha nuovamente rifiutato di riesaminare la sua giurisprudenza concernente l'alibi con l'argomento che - anche per i fautori di una modificazione - occorreva che il prevenuto fosse in grado di dimostrare immediatamente e direttamente l'impossibilità che egli fosse l'autore materiale dell'atto, ciò che in casu - trattandosi della deposizione a discarico fatta da una coimputata - non si verificava (in senso analogo la sentenza Castori del 19 marzo 1975, consid. 4 non pubblicato in DTF DTF 101 Ia 60 segg., con conferma in DTF 101 Ia 424 consid. 5). In DTF 101 Ia 611/12 (caso Schlegel), il problema dell'eventuale verifica dell'alibi fu lasciato nuovamente aperto, stavolta con la motivazione che il ricercato doveva comunque venir estradato in ogni caso per altri fatti, onde l'esame era inutile. Nella sentenza Federici (DTF 109 Ib 63 /64 consid. 5a), emanata dopo l'entrata in vigore dell'AIMP, la questione della portata dell'art. 53 della novella fu ancora evitata, poiché nel frattempo le stesse autorità dello Stato richiedente avevano lasciato cadere la relativa accusa.
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b) Nel progetto del Consiglio federale dell'8 marzo 1976 relativo all'AIMP, l'art. 48 cpv. 1 prevedeva soltanto che, se il perseguito affermava di poter provare che, al momento del fatto, non si trovava nel luogo di commissione, la Divisione di polizia poteva ordinare indagini. Il capoverso secondo del progetto era già identico all'attuale art. 53 cpv. 2 della legge. Nel messaggio il Consiglio federale si limitava lapidariamente a rilevare che il fatto che un alibi univoco importasse il rifiuto dell'estradizione era nuovo e che in tal modo si colmava una lacuna urtante nella legislazione vigente (FF 1976 II pag. 481); nessuna allusione veniva fatta invece alla seconda frase del capoverso 2 di questo disposto. Maggiori lumi, a parte l'accenno alla lacuna urtante del diritto da novellare, non si traggono neppure dal rapporto 22 dicembre 1972 della Commissione d'esperti, chiamata a pronunciarsi sull'avamprogetto elaborato nel 1968 dalla Divisione federale di polizia (ivi, pag. 115). Commentando il disegno di legge il disegno di legge del Consiglio federale, SCHULTZ rileva comunque espressamente che con l'art. 48 cpv. 1 (ora 53) "wird der von der Praxis zugelassene Alibibeweis ausdrücklich anerkannt und das Bundesamt mit den erforderlichen Abklärungen betraut. Ist die Angelegenheit nicht so eindeutig, dass einzig die Ablehnung der Auslieferung in Frage kommt, so wird der ersuchende Staat aufgefordert, in kurzer Frist zu erklären, ob er das Ersuchen aufrechthält" (Das neue Schweizer Recht der internationalen Zusammenarbeit in Strafsachen, SJZ 77/1981 pag. 96).
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Nel corso dei dibattiti parlamentari, quella che secondo il progetto era semplicemente una facoltà dell'UFP fu trasformata, attraverso l'adozione della dizione "... l'Ufficio federale procede ai chiarimenti necessari" ("... nimmt die gebotenen Abklärungen vor"; "... procède aux vérifications nécessaires") in un'imposizione (cfr. Boll.uff. CN 1979 pag. 851; CSt 1980 pag. 218; inoltre sentenze 5 marzo 1986 in re Ursino e 13 dicembre 1986 in re Gameiro; MARKEES, SJK n. 422a pagg. 15/16). Dal testo della legge e dai lavori legislativi che la confortano, nonché dalla dottrina che si è riferita sopra, risulta con chiarezza che il legislatore - rompendo con le esitazioni della giurisprudenza citata, che si era sempre limitata ad evocare il problema senza fornire una risposta, se non generica - ha voluto innovare, stabilendo precisi obblighi a carico dell'autorità amministrativa, prima, e di quella giudiziaria, poi. Ciò è stato del resto riconosciuto nella sentenza Gelli del 19 agosto 1983 (DTF 109 Ib 325 consid. 11b) e nella sentenza Bufano, Bosch de Sanchez-Reisse e Martinez del 21 maggio 1986 (DTF 112 Ib 220 consid. 5b), dove il Tribunale federale ha esposto che l'art. 53 AIMP costituisce un'innovazione introdotta dal legislatore, avendo cura di precisare subito che, come risulta più chiaramente dai testi tedesco e italiano della legge piuttosto che da quello francese, il termine di "alibi" deve intendersi nel suo senso classico, cioè di prova che al momento del fatto la persona perseguita - contrariamente a quanto assume la domanda d'estradizione - non si trovava nel luogo di commissione del reato, e non può invece esser esteso ad ogni prova di non colpevolezza del ricercato, ciò che evidentemente restringe la portata di applicazione a casi ben precisi, in cui la presenza della persona sul luogo del reato è premessa fattuale necessaria dell'imputazione. La soluzione adottata per finire dal legislatore svizzero presenta analogie con la regola più generica introdotta nella recente legge austriaca d'estradizione e assistenza giudiziaria del 4 dicembre 1979 (BGBl 1979 n. 529 pag. 2551 segg.), secondo la quale (§ 31 cpv. 1) "ob die auszuliefernde Person der ihr zur Last gelegten strafbaren Handlung nach den Auslieferungsunterlagen hinreichend verdächtig ist, ist nur zu prüfen, wenn insoweit erhebliche Bedenken bestehen, insbesondere wenn Beweise vorliegen oder angeboten werden, durch die der Verdacht ohne Verzug entkräftet werden könnte".
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c) Vero è che, in virtù dell'art. 1 CEEstr, la Svizzera in quanto Stato richiesto ha l'obbligo di concedere l'estradizione allorché le relative condizioni sono adempiute ed è prodotta la documentazione prescritta dall'art. 12 (sentenza 14 giugno 1985 in re Boccardi, consid. 6). Ciò non significa tuttavia che l'art. 53 AIMP non sia compatibile con la Convenzione e contrasti in modo particolare con l'obbligo di estradare da essa previsto.
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Innanzitutto, dev'essere premesso che la Convenzione non vieta alle autorità dello Stato richiesto di verificare un alibi e di controllare in modo più generale le prove d'innocenza fornite dal ricercato. D'altra parte, se questi produce un alibi nel senso appena descritto, le autorità svizzere possono inferirne che il mandato di cattura e l'esposizione dei fatti allegati alla domanda contengono un errore e che esse non sono più tenute in tal modo a considerarsi vincolate da questi documenti (supra, consid. 3a). Ora, se l'alibi è evidente ed univoco, l'estradizione dev'essere negata già in virtù di un principio generale del diritto estradizionale, da tempo invalso, secondo cui non può prestarsi aiuto al perseguimento e alla consegna di persone manifestamente innocenti, che sono cioè del tutto estranee all'atto incriminato (DTF 103 Ia 629 consid. 4; sentenze 27 aprile 1977 in re Fioroni, Prampolini e Cazzaniga, consid. 4, 12 ottobre 1979 in re Bruno, consid. 4, 21 dicembre 1979 in re Tetteroo, consid. 3a, 29 febbraio 1980 in re Groppelli, consid. 4). Ne consegue che l'art. 53 cpv. 2, prima frase AIMP - che consente di rifiutare l'estradizione nei casi palesi - si rivela compatibile con il testo e lo spirito della Convenzione e risponde anzi ad un principio fondamentale del diritto internazionale. Né contrasta con la Convenzione la seconda frase dello stesso disposto, che obbliga la Svizzera a comunicare alla Parte richiedente le prove a discarico prodotte dal ricercato allorché l'alibi da questi invocato non è chiaro ed univoco: come lo Stato richiesto può domandare allo Stato richiedente un complemento d'informazioni (art. 13 CEEstr), così esso può anche sottoporgli codesti mezzi di prova, offrendogli la possibilità di recedere eventualmente dalla domanda e di risparmiare quindi al perseguito i disagi dell'estradizione. Con questo sistema la Svizzera non vien meno agli impegni internazionali assunti, né pregiudica gli obiettivi perseguiti dagli Stati contraenti con la ratifica della Convenzione.
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Ciò premesso, dev'essere aggiunto che, dal profilo formale, le tre dichiarazioni giurate prodotte tempestivamente dal ricercato non prestano il fianco alla critica (cfr. art. 85 segg. della legge ticinese sul notariato del 23 febbraio 1983): esse sono state fatte in Svizzera davanti ad un pubblico ufficiale ed i testi risultano dall'atto notarile essere stati resi attenti sull'obbligo di dire la verità e sulle conseguenze di una falsa testimonianza. In queste circostanze l'UFP non era neppure tenuto a procedere ad ulteriori accertamenti secondo l'art. 53 cpv. 1 AIMP, anche se nulla gli impediva comunque di far sentire i testi, sull'oggetto delle loro dichiarazioni, dalla competente autorità giudiziaria ticinese.
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La questione di sapere se - come pretende l'UFP, contrariamente a quanto il ricorrente assevera - fosse stato formalmente richiesto all'Ufficio di non utilizzare nei confronti dell'autorità italiana la dichiarazione della teste F.B. non ha bisogno di esser risolta: determinante è che questa dichiarazione si trova in atti, e che al ricorrente non può esser inibito di invocarla, così come non gli potrà esser vietato di invocarla in Italia, ove fosse estradato. D'altronde, contrariamente alla tesi dell'UFP, non è nemmeno esatto che - facendo astrazione dalla deposizione di F.B. - l'alibi invocato per la giornata del 26 settembre (giorno della rapina) perda ogni consistenza: l'UFP omette infatti di considerare che dalla dichiarazione giurata dell'arch. Y. risulta che il ricercato sarebbe stato a Lugano non solo nella tarda mattinata del 26 settembre 1985, ma anche nel primo pomeriggio del giorno successivo.
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A voler prestar fede alle testimonianze relative alla giornata del 26 settembre, quella di F.B. inclusa, si dovrebbe invero escludere che il ricercato si sia trovato a Fermo il giorno 26 settembre; facendo astrazione dalla dichiarazione di F.B. relativa al pernottamento a Ronago (la teste non spiega per quale preciso motivo si ricordi proprio della notte del 26), la possibilità per X. di esser stato a Fermo non può esser esclusa in modo categorico, ma appare comunque altamente dubbia. Questa questione non ha tuttavia bisogno d'esser risolta, poiché nella domanda italiana - determinante ai fini del giudizio - non è chiaramente affermata la presenza di X. a Fermo il 26 settembre, né la sua partecipazione diretta alla rapina, e quindi un alibi per tal giorno può anche non esser ritenuto indispensabile. Sulla scorta della domanda italiana, essenziale è invece l'affermata presenza di X. al sopralluogo preparatorio del 23 settembre, alle ore 18.00. A questo proposito, l'opinione dell'UFP per cui non può escludersi tassativamente che il ricercato, finito il colloquio con l'arch. Y. iniziato alle 10.00 a Massagno, abbia potuto recarsi a Fermo per le ore 18.00 ed esser rientrato a Lugano per il successivo 24, giorno in cui ebbe nel pomeriggio (ore 16.00) un nuovo incontro con Y. a Massagno, può esser condivisa in relazione alle distanze da percorrere (2 volte 600 km) e all'agibilità dell'autostrada. Se ne deve concludere che l'UFP, in esercizio corretto dell'apprezzamento che gli compete (cfr. DTF 107 Ib 257 consid. 2b/bb in fine), poteva senza violare il diritto federale escludere il "caso palese" previsto dall'art. 53 cpv. 2, frase 1 AIMP, che solo legittima il rifiuto puro e semplice dell'estradizione: ciò porta alla reiezione della domanda principale formulata dal ricorrente.
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c) Per contro, il gravame appare fondato nella sua domanda subordinata.
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Non può esser seriamente contestato che gli elementi a discarico prodotti dal ricorrente fanno perlomeno apparire dubbio ch'egli abbia effettivamente partecipato al sopralluogo del 23 settembre 1985 su cui essenzialmente poggia l'imputazione formulata dall'autorità italiana. A ciò si aggiunga che, secondo l'esposto dei fatti determinante, X. non sembra esser stato direttamente riconosciuto da una testimone che lo conoscesse personalmente, bensì individuato da detta testimone sulla base base di una documentazione fotografica sottopostale dagli inquirenti: ora, è notorio che il possibile margine d'errore di tali identificazioni, rispettivamente la loro incertezza, sono più elevati che in caso di riconoscimento diretto di persona nota. L'Ufficio non poteva pertanto, senza esorbitare dal margine di apprezzamento che gli compete, denegare implicitamente alle prove a discarico prodotte ogni apprezzabile rilievo: solo se ciò fosse stato il caso, l'Ufficio poteva procedere senz'altro all'estradizione. Nel caso in esame, in presenza di prove a discarico rilevanti concernenti un alibi in senso tecnico del termine, l'art. 53 cpv. 2, frase 2 AIMP gli faceva obbligo invece di comunicare all'autorità italiana tali prove, invitandola a dichiarare entro breve termine se intendesse mantenere la domanda. Il testo chiaro della disposizione non consente altra interpretazione, e quella data (implicitamente) dall'UFP a tale norma non può esser ammessa, poiché condurrebbe ad un risultato che il legislatore non ha manifestamente voluto. In effetti, non si vedrebbe quale portata pratica il disposto dell'art. 53 cpv. 2, frase 2 ancora potrebbe conservare, se ci si rifiutasse di applicarlo in un caso come quello controverso. Il legislatore ha manifestamente voluto, in casi del genere, offrire una "chance" al ricercato, rispettivamente creare le premesse per consentire all'autorità richiedente di riesaminare alla luce delle nuove risultanze la propria presa di posizione, evitando eventualmente inutili durezze connesse con l'arresto estradizionale e la consegna (SCHULTZ, Das schweizerische Auslieferungsrecht, pag. 202). Certo, non spetta all'autorità svizzera dell'estradizione, in questi casi, di decidere al posto dell'autorità italiana, né di sindacarne la successiva presa di posizione: tuttavia, il diritto interno svizzero - compatibile in tal punto con il testo e lo spirito della Convenzione (supra, consid. 3c) - fa obbligo all'autorità dello Stato richiesto di interpellare nuovamente, con assegno di termine, quella della Parte richiedente.
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Ne discende che la domanda subordinata del ricorso dev'essere accolta e che la decisione impugnata dev'essere annullata. Dopo aver vagliato eventualmente l'opportunità di far risentire i testi residenti in Svizzera dal competente magistrato ticinese, l'UFP dovrà quindi far luogo alla procedura stabilita dall'art. 53 cpv. 2, seconda frase AIMP e dovrà poi emanare una nuova decisione in base all'attitudine dell'autorità richiedente.
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5. Visto l'esito parzialmente positivo del gravame, si può rinunciare al prelevamento di spese e tassa di giustizia; il ricorrente - che s'è fatto assistere da un avvocato - ha diritto ad una corresponsione di ripetibili ridotte (art. 159 OG).
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Per questi motivi, il Tribunale federale pronuncia:
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La domanda principale del ricorso di diritto amministrativo è respinta; quella subordinata è accolta e la decisione impugnata è annullata.
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