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13. Sentenza 5 maggio 1959 della II Corte civile nella causa B. contro B. | |
Regeste |
Scheidung nach Trennung der Ehe. |
Verweigerung der Wiedervereinigung seitens des beklagten Ehegatten? (Art. 148 Abs. 2 ZGB). | |
Sachverhalt | |
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Il marito, che lavora presso l'Officina delle FFS a Bellinzona, conservò anche dopo il matrimonio il domicilio ad Arzo, suo comune di origine, e stabilì l'abitazione coniugale in un appartamento situato nella casa dei suoi genitori. In un primo tempo, la moglie accettò quella soluzione anche se la convivenza con il marito era così ridotta a un incontro settimanale che durava dal sabato ![]() | 2 |
B.- Il 25 febbraio 1954, la moglie chiese la separazione legale dal marito, l'attribuzione del figlio e la condanna del marito a pagare alimenti adeguati per il mantenimento suo e del figlio. Pronunciata dal pretore per tempo indeterminato, la separazione legale fu dal Tribunale di appello limitata a un anno, in sostanza perchè alla base del dissidio tra i due coniugi non stavano, per loro ammissione, sentimenti di avversione personale, ma solo cause esteriori, la questione cioè del luogo dell'abitazione coniugale, e tali cause sarebbero dovute cessare non appena il marito si fosse deciso "a riunire la famiglia in un ambiente favorevole alla regolare convivenza".
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C.- Il marito non diede seguito alcuno all'invito del pretore e del Tribunale di appello di sistemare la sua ![]() | 4 |
Sia il pretore sia il Tribunale di appello respinsero la domanda di divorzio, per colpa esclusiva dell'attore.
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D.- L'attore ha interposto in tempo utile un ricorso per riforma al Tribunale federale, chiedendo che, annullata la sentenza impugnata, il divorzio sia concesso.
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Nelle sue osservazioni, la convenuta non ha presentato conclusioni formali, ma dai suoi motivi appare che chiede la conferma pura e semplice della sentenza impugnata.
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Considerando in diritto: | |
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Secondo la giurisprudenza del Tribunale federale, al coniuge convenuto con un'azione di divorzio dopo separazione non può essere rimproverato di rifiutare la riconciliazione nel senso dell'art. 148 cp. 2 CC, qualora il coniuge attore non abbia per parte sua richiesto la riconciliazione o non l'abbia richiesta seriamente (RU 84 II 412; 52 II 184 sgg.). Questa ipotesi si verifica in concreto. Lungi dall'averla richiesta, l'attore rifiuta infatti lui medesimo ![]() | 9 |
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L'attore lo pretende e dice che l'attribuzione a lui di tutta la colpa per i fatti che condussero alla disunione violerebbe il diritto federale, la moglie avendo abbandonato il tetto coniugale e non essendovi tornata neppure quando fu diffidata a farlo.
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A questo proposito, occorre considerare quanto segue. Il Tribunale di appello rileva che la causa della disunione materiale delle parti sta esclusivamente nella "non risolta questione dell'abitazione coniugale". Nel suo gravame, l'attore non asserisce che questa costatazione sarebbe errata e che in realtà altre cause avrebbero condotto al perturbamento della unione coniugale. Si tratta dunque di esaminare in primo luogo se le difficoltà relative alla scelta dell'abitazione coniugale possano essere ascritte, nel senso della giurisprudenza citata, a circostanze oggettive e, ove tale ![]() | 12 |
a) Soltanto se ragioni plausibili, per esempio esigenze di lavoro, avessero indotto l'attore a mantenere l'abitazione coniugale ad Arzo e a vivere lontano dalla moglie sei giorni su sette, si potrebbe riconoscere alle difficoltà nate dalla scelta dell'abitazione un carattere oggettivo, così da giustificare la conclusione che l'attore non ne è responsabile. In concreto, queste ragioni plausibili fanno difetto. Tra l'altro, il ricorrente non critica minimamente l'accertamento del Tribunale di appello che ha dimostrato inconsistente l'unico argomento da lui addotto e secondo cui, mantenendo il domicilio coniugale ad Arzo, avrebbe risparmiato sul canone di locazione. Per la verità, solo un erroneo ed egoistico concetto del diritto del marito di scegliere l'abitazione coniugale ha indotto l'attore a credere che la convenuta avesse due sole alternative: o vivere in casa dei suoceri o accettare le conseguenze del suo rifiuto. Ora, un atteggiamento di questa natura non è conciliabile con il dovere che ciascun coniuge ha di contribuire con tutte le sue forze a superare le difficoltà esterne ed interne le quali possono nuocere al buon andamento di un'unione coniugale (RU 79 II 341, 77 II 207 e sentenze ivi citate). Non lo è sicuramente in un caso come quello in esame, dove il marito poteva rendersi conto che l'esclusiva preoccupazione della moglie era di non dover continuare a vivere in casa dei suoceri, esposta com'era alle loro interferenze originate dalla continua assenza del marito e, manifestamente, dalla subordinazione di questi ai voleri di sua madre. Più che di difficoltà dovute a circostanze oggettive, devesi insomma parlare, con il Tribunale di appello, "d'ingiustificata ostinazione del marito nell'opporsi alla naturale e ragionevole sistemazione dell'abitazione al luogo del lavoro, ponendo fine a una convivenza limitata nei primi mesi a un giorno per settimana e poi cessata".
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Il Tribunale federale pronuncia:
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