BGE 95 II 216 | |||
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28. Estratto della sentenza 10 luglio 1969 della II Corte civile nella causa eredi fu Guido Pini contro eredi fu Sinforosa Pini e liteconsorti. | |
Regeste |
Eheliches Güterrecht, Art. 178 ff. ZGB. Fall, in welchem die nach Art. 19 NAG dem schweizerischen Recht unterworfenen Parteien einen Güterstand des ausländischen Rechts vereinbart haben. |
2. Gütertrennung des französischen Rechts, verbunden mit einer Errungenschaftsgesellschaft (société d'acquêts). Umdeutung eines solchen Güterstandes in eine Gütertrennung nach schweizerischem Recht, verbunden mit einer Errungenschaftsgemeinschaft: Zulässigkeit dieser Umdeutung im vorliegenden Falle (Erw. 6). | |
Estratto dei considerandi: | |
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Nella fattispecie, è pacifico che i coniugi Pini ebbero il loro primo domicilio comune in Svizzera. Ne consegue che il diritto svizzero è applicabile alla presente vertenza.
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Quando le parti, come in concreto, hanno convenuto un regime di beni del diritto estero, dev'essere considerato come stipulato il regime dei beni del diritto svizzero al quale il regime straniero si avvicina maggiormente. Nel caso in cui il regime estero non presenti alcuna analogia con uno dei regimi del diritto svizzero, la convenzione è nulla (GMÜR, n. 29 e LEMP, n. 20 all'art. 179 CC; v. pure RU 43 II 468).
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Secondo la dottrina e la giurisprudenza svizzeri, quando un atto nullo adempie i requisiti d'un altro atto giuridico, quest'ultimo è valido se persegue un fine e produce un risultato simili a quelli del primo e se si deve ammettere che questa sarebbe stata la volontà delle parti nel caso in cui avessero avuto conoscenza di tale nullità (RU 89 II 440 consid. 2 e riferimenti, 93 II 228 consid. 3, 452 consid. 5).
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a) Secondo la Corte cantonale, la convenzione matrimoniale in esame ha stabilito un regime dei beni che può essere assimilato alla separazione dei beni del diritto svizzero (art. 241 CC), modificata dalla stipulazione d'una comunione di acquisti a'sensi dell'art. 239 CC. Tale convenzione dev'essere pertanto ritenuta valida. Questa conclusione si impone ancor più se si considera che gli interessi dei creditori non sono affatto in discussione, nè lo sono mai stati: ora, è precisamente al fine di proteggere i terzi che la legge ha limitato il possibile contenuto della convenzione matrimoniale. La precedente istanza constata d'altra parte che l'affermazione dell'attore, secondo cui i coniugi Pini avrebbero praticamente ignorato la convenzione, non è stata provata. Essa aggiunge altresì che i coniugi, se hanno a volte agito contrariamente al regime dei beni da loro liberamente scelto, vi si sono invece conformati in altre circostanze. Nei confronti dell'esecutore testamentario, l'attore ha anzi esplicitamente invocato la convenzione matrimoniale per rivendicare la proprietà dei mobili situati nella dimora comune.
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b) I ricorrenti criticano a torto questi accertamenti della Corte cantonale. Anche se i coniugi Pini non avessero ossequiato le clausole della convenzione relative all'amministrazione dei beni comuni, e la moglie avesse ottenuto la gestione dei titoli, dei depositi bancari e dei beni immobiliari di sua proprietà e disposto per testamento dei mobili situati nella casa di Gorduno in contrasto con la convenzione matrimoniale, il problema della validità della convenzione medesima dal profilo della legge svizzera non sarebbe per questo risolto. A ragione, d'altra parte, gli intimati considerano che gli argomenti addotti dai ricorrenti non concernono, in definitiva, che l'amministrazione dei beni (ciò che non è oggetto di questa vertenza), mentre Sinforosa Pini, nel suo testamento del 9 ottobre 1951, aveva confermato la ripartizione per metà degli acquisti, conformemente alla convenzione matrimoniale la quale, su questo punto, non è pertanto stata revocata di comune accordo.
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c) Secondo il diritto francese, la combinazione del regime della separazione dei beni con una società di acquisti comporta l'applicazione congiunta delle norme sulla comunione e di quelle sulla separazione dei beni. Di conseguenza, la moglie tiene l'amministrazione, il godimento e la disposizione dei suoi beni personali. È vero che il pieno esercizio della capacità civile ed il potere d'alienare sono stati conferiti alla moglie solo con la legge del 22 settembre 1942 e che, anteriormente a questa legge, la moglie non poteva disporre dei propri immobili che con l'autorizzazione del marito. D'altra parte, i debiti contratti da un coniuge prima del matrimonio rimangono suoi debiti personali.
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Secondo le regole attinenti alla comunione dei beni, l'attivo comune comprende l'eccedenza dei redditi dei coniugi sulle spese dell'economia domestica e sulle spese di manutenzione dei loro beni, vale a dire le loro economie; inoltre, i mobili o gli immobili acquisiti a titolo oneroso nel corso del matrimonio, così come quelli che sarebbero donati o legati ai coniugi perchè vengano costituiti in comunione. La società d'acquisti è amministrata dal marito, che ha sui beni comuni i poteri attribuitigli dagli art. 1421 e seg. del codice civile francese (CCF); egli non può abdicarvi a favore della moglie, nemmeno attraverso una clausola inserita nella convenzione matrimoniale (art. 1388 CCF). Il marito può per il resto vendere, alienare e gravare di pegni i beni della comunione senza il concorso della moglie. Percepisce pure i redditi, e ne dispone liberamente. Egli non deve rendere conto della sua gestione, ma può essere tenuto, a richiesta della moglie o dei suoi eredi, a giustificare la realtà e l'importanza delle spese che pretende d'avere sopportate. La moglie ha pure la facoltà di impugnare gli atti del marito che fossero stati compiuti con il semplice scopo di recar frode a suoi diritti. Il marito non incorre, di massima, in nessuna responsabilità per la sua gestione, quand'anche egli abbia commesso colpe caratterizzate. La legge del 22 settembre 1942 ha tuttavia vietato al marito di disporre gratuitamente dei beni della comunione, senza il consenso della moglie (v., su quanto precede, PLANIOL ET RIPERT, vol. VIII, 2. ed., n. 500 e segg. e vol. IX, 2, ed., n. 1212 e segg.).
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d) Il diritto svizzero permette la stipulazione d'una separazione dei beni, con una comunione d'acquisti (LEMP, n. 27 all'art. 179 CC e n. 8 all'art. 239 CC). Con il regime della separazione dei beni, ciascun coniuge mantiene la proprietà, l'amministrazione e il godimento dei propri beni. La moglie può affidare l'amministrazione dei suoi beni al marito: in questo caso, la legge presume ch'essa rinunci a chiedergliene conto durante il matrimonio e ch'essa gli abbandoni la totalità dei redditi per sopperire agli oneri del matrimonio. La moglie non può tuttavia rinunciare al diritto di riprendere in ogni momento l'amministrazione dei suoi beni. I coniugi sono d'altra parte personalmente responsabili dei debiti da loro contratti anteriormente al matrimonio (art. 242 e 243 cpv. 1 CC).
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Un raffronto tra i due regimi della separazione dei beni mostra quindi che, a questo riguardo, non sussiste alcuna differenza sostanziale tra il diritto francese e il diritto svizzero. Certo, nel diritto francese, la moglie non si è vista attribuire la piena facoltà di alienare che ad un'epoca posteriore alla conclusione della convenzione matrimoniale litigiosa. Nel presente caso, tuttavia, la convenzione matrimoniale francese sussiste solo per gli effetti della sua liquidazione, e il problema della conversione in una istituzione giuridica del diritto svizzero non si pone che per il periodo susseguente allo scioglimento dell'unione coniugale. Risulta del resto dalle dichiarazioni dei ricorrenti e dagli atti di causa che Sinforosa Pini, già dall'inizio del matrimonio e sotto il regime del diritto francese, ha rivendicato ed ottenuto, di fatto, un diritto di amministrazione e di disposizione dei suoi beni, e che il marito non vi si è opposto, anche se, talvolta, ha potuto manifestare il suo dissenso sui risultati di questa gestione.
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La comunione d'acquisti del diritto svizzero comprende i beni che non sono nè apporti nè beni riservati: quindi, in particolare, il reddito del lavoro del marito (quello della moglie appartenendo, di massima, ai beni riservati), il reddito della sostanza (degli apporti) dei due coniugi ed i beni acquisiti durante il matrimonio non a titolo di sostituzione (art. 239 cpv. 2 CC; EGGER, n. 13 e LEMP, n. 13 all'art. 239 CC). Su questo punto, le differenze tra il diritto svizzero e il diritto francese sono di poca importanza. Esse sono invece più profonde per quel che riguarda l'amministrazione dei beni comuni e il diritto di disporne. Nel diritto svizzero, l'amministrazione spetta al marito, che ne è responsabile; egli vi può tuttavia abdicare a favore della moglie, anche se non potrebbe rinunciare al diritto di riassumerla. La moglie ha il potere d'amministrare nella misura in cui possiede la veste per rappresentare l'unione coniugale (art. 216 CC; LEMP, n. 12 e 24 all'art. 216 CC). Gli atti di disposizione esigono il consenso dei due coniugi (art. 217 CC).
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Ci si può a questo punto chiedere se le differenze riscontrabili nei poteri attribuiti al marito non sono di natura tale da impedire ogni trasformazione d'una società d'acquisti del diritto francese in una comunione d'acquisti del diritto svizzero. Sennonchè, tale questione può rimanere nel presente caso aperta. Infatti, i coniugi Pini hanno vissuto praticamente sotto un regime matrimoniale che si avvicina più alla comunione d'acquisti del diritto svizzero che alla società d'acquisti del diritto francese. Sinforosa Pini, la cui sostanza raggiungeva i 728'504.75 fr. di fronte ai soli fr. 1'000.-- di valori apportati dal marito, ha in realtà ottenuto di partecipare all'amministrazione dei redditi dei suoi beni, come i ricorrenti stessi riconoscono; d'altra parte, i coniugi hanno acquistato in comproprietà, con il prodotto degli acquisti, più immobili, mentre la moglie ha confermato nel testamento la ripartizione per metà degli acquisti.
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In simili circostanze, la Corte cantonale poteva senz'altro effettuare la conversione del regime matrimoniale del diritto francese stipulato dai coniugi in una separazione dei beni combinata con una comunione d'acquisti ai sensi deldiritto svizzero. A torto i ricorrenti invocano la differente soluzione del diritto svizzero e del diritto francese per quel che concerne la facoltà d'un coniuge di ripudiare una successione (il diritto svizzero esigendo, in particolare, nella comunione dei beni il consenso dell'altro coniuge, giusta l'art. 218 cpv. 1 CC), per provare l'incompatibilità dei due regimi. L'art. 218 cpv. 1 CC non è applicabile alla comunione d'acquisti e la successione devoluta all'uno dei coniugi fa parte dei suoi apporti (LEMP, n. 2 all'art. 218 CC).
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