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Informationen zum Dokument  BGE 117 IV 369  Materielle Begründung
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Regeste
Sachverhalt
Considerando in diritto:
3. a) B., allora L., cittadino italiano, era stato condannato il  ...
4. Poiché la giurisdizione svizzera, affermata nelle sente ...
5. Poiché, come sopra illustrato, l'AIMP, in ragione del s ...
6. a) È da convenire che la dottrina, nella misura in cui si &egr ...
7. La CCRP ha, per le ragioni di cui sopra, ammesso a ragione la  ...
8. La CCRP ha confermato l'assoluzione di B. dall'imputazione di  ...
9. Quanto la Procura pubblica adduce per sostenere la tesi del te ...
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65. Estratto della sentenza della Corte di cassazione penale del 9 aprile 1991 nella causa B. c. Procura pubblica sottocenerina, e viceversa (ricorso per cassazione)
 
 
Regeste
 
1. Art. 6 StGB. Verbrechen oder Vergehen von Schweizern im Ausland.  
2. Art. 21 StGB. Versuchte Tat. Bestimmung des entscheidenden Schritts, von dem es in der Regel kein Zurück mehr gibt.  
Fall, in dem der entscheidende Schritt zur Verübung eines Mordes verneint wird (E. 8-10); Fall, in dem der entscheidende Schritt zur Verübung eines Raubes bejaht wird, obschon die Tat erst am folgenden Tag ausgeführt werden sollte (E. 11-12).  
3. Art. 2 Abs. 2 StGB. Anwendung des milderen Rechts durch die letzte kantonale Instanz.  
Die "lex mitior" muss von einer kantonalen Kassationsinstanz (hier: des Kantons Tessin) angewendet werden, wenn diese nach ihrer Zuständigkeit - die ihr gestattet, aufgrund der tatsächlichen Feststellungen der ersten Instanz, ohne Rückweisung an diese, in der Sache selber zu urteilen, den angefochtenen Entscheid zu ändern und das Gesetz anzuwenden (Art. 237 StPO/TI) - in diesem Sinne einem Sachrichter gleichgestellt ist. Dazu genügt, dass sie zur Überprüfung von Bundesrecht befugt ist (E. 13-15a); es ist unerheblich, ob sie die diesbezüglichen Rügen gutheisst oder abweist (E. 15b-c). Fall betreffend die Änderung von Art. 112 StGB zwischen dem Urteil der ersten und dem Entscheid der zweiten Instanz.  
4. Art. 112 StGB. Mord.  
Ob eine Tötung als Mord im Sinne des neuen Art. 112 StGB zu qualifizieren sei, kann nur aufgrund der direkt mit der Tat zusammenhängenden Umstände entschieden werden; Prüfung der Umstände des konkreten Falles (E. 18-19).  
Die "besondere Skrupellosigkeit" gemäss dem Wortlaut des neuen Art. 112 StGB kann auch dann eine Verurteilung wegen Mordes rechtfertigen, wenn sie nicht durch "eine besondere Verwerflichkeit des Beweggrundes, des Zwecks der Tat oder der Art der Ausführung" manifestiert wird. Die Aufzählung in Art. 112 StGB nennt nur Beispiele. Fall, in dem ein Richter getötet wird, einzig um durch diese Tat zur Destabilisierung des Staates beizutragen (E. 17-19).  
 
Sachverhalt
 
BGE 117 IV, 369 (371)Con sentenza del 6 novembre 1989 la Corte delle assise criminali del Cantone Ticino sedente a Lugano dichiarava B. colpevole dell'assassinio del giudice T., commesso a Roma il 10 ottobre 1978, e di rapina aggravata tentata in due occasioni ai danni della Banca Nazionale delle Comunicazioni, commessa nel giugno e nel luglio 1979 a Roma, e lo condannava alla reclusione perpetua. Tale corte lo assolveva invece dall'accusa di tentato assassinio nella persona di V. e da quella di un terzo tentativo di rapina ai danni della banca sopra menzionata.
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Adita sia dall'imputato che dalla Procura pubblica sottocenerina, la Corte di cassazione e di revisione penale del Cantone Ticino (CCRP) respingeva con sentenza del 6 aprile 1990 il ricorso di B. e accoglieva parzialmente quello della Procura pubblica. La CCRP dichiarava B. colpevole anche del terzo tentativo di rapina, avvenuto il 24 settembre 1979 a Roma, ma riduceva la pena a 17 anni di reclusione in virtù dell'applicazione del nuovo art. 112 CP, entrato in vigore nel frattempo, ossia il 1o gennaio 1990.
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B. è insorto con ricorso per cassazione contro la sentenza della CCRP, chiedendone l'annullamento.
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La Procura pubblica sottocenerina ha anch'essa impugnata la sentenza della CCRP con ricorso per cassazione, chiedendo che BGE 117 IV, 369 (372)tale decisione sia annullata e la causa rinviata all'autorità cantonale perché decida di nuovo e condanni il resistente per assassinio, tentato assassinio e ripetuta tentata rapina alla pena della reclusione perpetua, confermando le imputazioni contenute nell'atto di accusa del 29 maggio 1989.
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La Corte di cassazione ha respinto il ricorso di B. e quello della Procura pubblica nella misura in cui era ammissibile.
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Considerando in diritto:
 
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Il 19 giugno 1986 L., figlio di madre svizzera, otteneva la cittadinanza svizzera mediante la procedura della naturalizzazione agevolata e il 28 gennaio 1987 il Consiglio di Stato del Cantone Ticino lo autorizzava a cambiare il suo cognome in quello della madre, B.
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b) Ricercato a lungo in base a ordini di arresto internazionali in cui figurava sotto il cognome di L., B. era infine arrestato l'8 giugno 1988 a Lugano e posto in carcerazione preventiva.
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Il 14 giugno 1988 l'Ambasciata d'Italia a Berna chiedeva al Dipartimento federale di giustizia e polizia l'incarcerazione provvisoria del B. in vista d'estradizione. Il 14 luglio 1988 le autorità italiane chiedevano che fosse data esecuzione in Svizzera, conformemente all'art. 94 cpv. 1 lett. c AIMP, alle due menzionate sentenze italiane passate in giudicato.
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Il 22 luglio 1988 l'Ufficio federale di polizia respingeva la domanda italiana di esecuzione in Svizzera, ritenendo che l'AIMP non fosse applicabile, trattandosi di reati commessi prima della sua entrata in vigore. Secondo tale ufficio, la Svizzera era peraltro tenuta ad avviare un procedimento penale nei confronti di B., in virtù dell'art. 6 n. 2 della Convenzione europea di estradizione (CEEstr RS 0.353.1) e della Convenzione europea per la repressione del terrorismo (CETerr RS 0.353.3). Il 21 luglio 1988 l'Ufficio federale di polizia aveva invitato la Procura pubblica sottocenerina ad avviare nei confronti di B. un procedimento penale; esso esprimeva in tale occasione l'avviso che fosse data la giurisdizione svizzera benché la CETerr e l'art. 6bis CP fossero entrati in vigore BGE 117 IV, 369 (373)solo dopo la commissione dei reati; riteneva che il procedimento potesse d'altronde fondarsi eventualmente sull'art. 6 CP.
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a) La CCRP ha ritenuto che nulla osti all'applicazione dell'art. 6 CP, ma che tale questione poteva rimanere indecisa, poiché erano comunque applicabili l'art. 6bis CP e la CETerr, anche se le loro disposizioni erano entrate in vigore solo successivamente alla commissione dei reati di cui trattasi.
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b) Secondo l'art. 7 della CETerr, entrata in vigore per la Svizzera il 20 agosto 1983, uno Stato contraente, nel cui territorio venga scoperta una persona sospettata di avere commesso un reato di cui all'art. 1 della Convenzione e che abbia ricevuto una richiesta di estradizione, ai sensi delle condizioni previste all'art. 6 paragrafo 1, deve - ove non estradi tale persona -, sottoporre il caso, senza alcuna eccezione e senza indebiti indugi, alle proprie autorità competenti perché avviino il procedimento penale; dette autorità sono tenute ad adottare le loro decisioni nello stesso modo che si trattasse di un qualsiasi reato di natura grave ai sensi della legislazione di tale Stato. Soprattutto in considerazione di questa Convenzione, la Svizzera ha introdotto nel codice penale l'art. 6bis, in vigore dal 1o luglio 1983. In virtù di tale nuova norma, il codice penale svizzero si applica, sempreché l'atto sia punibile anche nel luogo in cui è stato compiuto, a chiunque commetta in territorio estero un crimine o un delitto che la Confederazione si è impegnata a reprimere in virtù di un accordo internazionale, se l'imputato si trova nella Svizzera e non è estradato all'estero (art. 6bis n. 1 prima proposizione CP).
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Nel procedimento penale svizzero sono stati imputati a B. reati commessi in Italia nel 1978 e nel 1979. La giurisdizione svizzera può quindi fondarsi sulle disposizioni sopra citate soltanto se esse siano applicabili retroattivamente.
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c) Richiamandosi a opinioni espresse in dottrina, B. sostiene che la CETerr non può essere applicata retroattivamente.
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BGE 117 IV, 369 (374)La CETerr non contiene alcuna clausola concernente una sua eventuale retroattività, dalla quale risulti se e in che misura detta Convenzione sia applicabile a reati commessi prima della sua entrata in vigore e che costituiscano l'oggetto di procedimenti penali ancora pendenti o di condanne passate in giudicato. La Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, conclusa il 23 maggio 1969 ed entrata in vigore per la Svizzera il 6 giugno 1990 (RS 0.111), stabilisce all'art. 28 il principio della irretroattività dei trattati. Secondo ROBERT LINKE ("Das Europäische Übereinkommen zur Bekämpfung des Terrorismus", in Österreichische Juristen-Zeitung, 1977, pag. 238), la Convenzione di Vienna non può peraltro essere richiamata in relazione alle norme di cui trattasi della CETerr poiché "accordi in materia di estradizione soggiacciono, per la loro natura e i loro fini, ad un meccanismo diverso, non considerato dalla Convenzione di Vienna; essi, conformemente a una prassi del diritto internazionale, possiedono, in caso di dubbio, effetto retroattivo" (trad.). Tale dottrina auspica nondimeno la retroattività solo in materia di estradizione, mentre la esclude per quanto concerne una regolamentazione della giurisdizione, dato che quest'ultima, e quindi la punibilità, non possono essere fondate su di una retroattività (LINKE, op.cit. loc.cit.; G. DAETWYLER, Der Terrorismus und das internationale Strafrecht, tesi Zurigo 1981, pag. 323/324).
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La questione della rilevanza da attribuire al proposito alla Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, e, più generalmente, quella della retroattività della CETerr, possono nondimeno rimanere indecise. Infatti, con la CETerr non sono state introdotte norme di diritto penale sostanziale (DAETWYLER, op.cit., pag. 4). Gli Stati contraenti si sono soltanto impegnati ad emanare norme di diritto interno che consentano, a determinate condizioni, di punire, per quanto concerne gli atti terroristici, anche quelli commessi all'estero. Con gli art. 6 e 7 della CETerr non è stata quindi introdotta una giurisdizione penale svizzera in tale materia, bensì è stato soltanto creato l'obbligo per la Svizzera di adottare le corrispondenti disposizioni nazionali, quali norme del cd. diritto penale di applicazione internazionale (cfr. al proposito, come pure in generale sulla nozione di diritto penale internazionale, D. OEHLER, Internationales Strafrecht, pag. 1 segg.). Tale obbligo è stato adempiuto dalla Svizzera con l'inserzione nel codice penale dell'art. 6bis. Trattasi quindi di esaminare se questo articolo abbia o no effetto retroattivo. Solo in caso affermativo occorrerebbe esaminare BGE 117 IV, 369 (375)se sia data una retroattività della CETerr quale presupposto necessario per l'applicazione dell'art. 6bis CP.
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d) Le condizioni di applicazione nel tempo del codice penale sono regolate, in linea di principio, nell'art. 401 cpv. 1 CP: le sue disposizioni originarie e quelle introdotte successivamente mediante revisioni parziali sono applicabili con la loro entrata in vigore; per le disposizioni introdotte successivamente rimane la riserva di un'eventuale disciplina speciale della loro entrata in vigore; una siffatta disciplina non è stata stabilita in occasione dell'introduzione dell'art. 6bis CP. L'art. 2 cpv. 1 CP prevede, quale deroga a questo principio, l'applicazione del codice penale solo nei confronti di chi commetta un crimine o un delitto dopo la sua entrata in vigore; non sarebbe infatti solo iniquo, ma violerebbe altresì il principio "nullum crimen sine lege" contenuto nell'art. 1 CP (HAUSER/REHBERG, Strafrecht I pag. 42), giudicare su crimini o delitti secondo una legge non ancora in vigore al momento della loro commissione. L'art. 2 cpv. 1 CP intende tuttavia stabilire soltanto quando non sia consentito risolvere in base al nuovo diritto se e come l'agente debba essere punito; esso non dice invece quando non siano applicabili disposizioni da cui non dipenda la punibilità o la misura della pena. La regolamentazione posta dall'art. 2 cpv. 1 CP non si estende a norme di procedura (DTF 114 IV 4, DTF 69 IV 138 consid. 3, DTF 68 IV 39 e 62; TRECHSEL, Kurzkommentar zum StGB n. 1 e 3 ad art. 2).
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e) Secondo la giurisprudenza sopra menzionata, le disposizioni sulla determinazione del foro contenute negli art. 346 segg. CP sono da applicare anche in casi che sostanzialmente soggiacciono al diritto previgente. Queste disposizioni sulla competenza per materia e soprattutto per territorio prevedono quali autorità sono competenti in Svizzera a giudicare reati punibili secondo il codice penale. Esse hanno per oggetto la procedura, per cui il divieto dell'irretroattività non vale per esse (DTF 109 IV 158 e richiami, 68 IV 60, DTF 70 IV 88 consid. 2).
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Gli art. 3-7 CP disciplinano invece l'ambito di applicazione del codice penale sotto l'aspetto territoriale, ossia stabiliscono a quali condizioni un reato sia punibile in Svizzera. Essi delimitano la giurisdizione svizzera in materia penale - lo jus puniendi - per quanto concerne lo spazio (DTF 108 IV 146 consid. 2 e richiami; HAUSER/REHBERG, op.cit., pag. 44). Contrariamente a quanto sembra ritenere la CCRP (sentenza impugnata, pag. 13), non si tratta soltanto di stabilire, nel senso di una determinazione del BGE 117 IV, 369 (376)foro, chi sia competente a giudicare il caso, se sia la Svizzera o l'Italia. Nel quadro internazionale non esiste un ente o un complesso di norme posto al di sopra degli Stati che determina quando un atto sia punibile e dove debba essere perseguito e giudicato. Ciò sarebbe il caso soltanto ove fosse stato creato un vero e proprio diritto penale internazionale, il che non è tuttavia avvenuto nell'ambito della repressione del terrorismo (cfr. supra lett. b in fine, nonchéDTF 76 IV 210). La Svizzera - come d'altronde gli altri Stati - stabilisce autonomamente i limiti della propria giurisdizione penale; essa lo ha fatto con gli art. 3-7 CP, e in particolare anche con l'art. 6bis CP. Poiché si tratta della questione se B. possa essere punito in Svizzera, il divieto dell'irretroattività posto dall'art. 2 cpv. 1 CP rimane, diversamente da quanto ha ritenuto la CCRP, applicabile.
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f) Nella decisione impugnata l'ammissibilità d'un effetto retroattivo dell'art. 6bis CP viene giustificata anche con l'argomento secondo cui il divieto dell'irretroattività non vige nell'ambito dell'assistenza internazionale in materia penale, salvo eccezioni espressamente riservate.
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Tale modo di vedere, nella sua formulazione generale e in quanto riferito in particolare alla procedura penale sostitutiva, non può essere condiviso. Secondo l'art. 110 cpv. 1 AIMP, i procedimenti di estradizione pendenti al momento dell'entrata in vigore dell'AIMP sono ultimati secondo le disposizioni procedurali della legge federale del 22 gennaio 1892 sull'estradizione agli Stati stranieri (LEstr). Il perseguimento penale e l'esecuzione penale giusta le parti quarta - in cui è disciplinato il perseguimento penale in via sostitutiva - e quinta possono essere assunti soltanto se il reato a cui si riferisce la domanda sia stato commesso dopo l'entrata in vigore dell'AIMP. Risulta da queste due disposizioni che non è stabilito un divieto d'irretroattività per ciò che concerne la procedura di estradizione, bensì precisamente per la punizione in Svizzera dell'interessato mediante il perseguimento penale in via sostitutiva. Tale disciplina corrisponde in misura essenziale alla prassi vigente nel diritto internazionale (cfr. supra lett. b). L'art. 6bis CP regola una specie di perseguimento penale in via sostitutiva (v. al proposito HAUSER/REHBERG, op.cit., pag. 47), alla quale non si applica tuttavia l'art. 85 cpv. 1 e 2 AIMP, come emerge dal cpv. 3 di quest'ultimo articolo (cfr. DTF 116 IV 250 consid. 3d in fine). Pur non essendo per detto motivo applicabile nella fattispecie l'art. 110 AIMP va quindi negato che nell'ambito BGE 117 IV, 369 (377)dell'assistenza penale internazionale viga in modo generale il principio della retroattività, come sostenuto dalla CCRP.
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g) Ne discende che non è compatibile con il divieto dell'irretroattività, quale posto dall'art. 2 cpv. 1 CP, applicare retroattivamente l'art. 6bis CP e ammettere, di conseguenza, conformemente a quanto fatto dalla CCRP, la giurisdizione svizzera per i reati imputati a B. in base a quest'ultima disposizione.
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Per ragioni di completezza giova rilevare che, se è vero che gli atti di cui trattasi commessi da B. in Italia, erano, al momento della loro commissione, punibili, la loro punibilità in Svizzera, in quanto fondata sull'art. 6bis CP, sarebbe potuta sopravvenire solo successivamente. La punibilità secondo il diritto italiano, ossia secondo il diritto dello Stato in cui tali atti sono stati commessi, costituisce uno dei presupposti per l'applicazione dell'art. 6bis CP, ma non è sufficiente a dar luogo, da sola, alla giurisdizione svizzera. Come già menzionato, non sussiste un vero e proprio diritto penale internazionale vincolante al proposito per la Svizzera, che dichiari autonomamente gli atti di cui trattasi punibili già al momento della loro commissione.
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5. Poiché, come sopra illustrato, l'AIMP, in ragione del suo art. 110 cpv. 2, non è applicabile retroattivamente nell'ambito del perseguimento penale in via sostitutiva, e non può pertanto entrare in considerazione per il caso di B., ci si deve chiedere se ci si possa fondare sulla già citata legge federale del 22 gennaio 1892 sull'estradizione agli Stati stranieri (LEstr), in vigore al momento in cui sono stati commessi i reati di cui trattasi. L'art. 2 cpv. 2 LEstr consentiva, a certe condizioni, un perseguimento penale in via sostitutiva in Svizzera nei confronti di un cittadino svizzero, non estradibile perché tale. SCHULTZ (Das schweizerische Auslieferungsrecht, pag. 59 seg.) era d'avviso che ove l'agente fosse divenuto cittadino svizzero dopo la commissione degli atti punibili, i reati da lui commessi all'estero prima della sua naturalizzazione non soggiacessero all'art. 6 CP e che un'estradizione fosse esclusa in base all'art. 2 cpv. 1 LEstr; per tali casi eccezionali l'art. 2 cpv. 2 LEstr permetteva, quale diritto penale sostitutivo, una giurisdizione svizzera per i reati commessi all'estero dal cittadino svizzero prima della sua naturalizzazione. L'art. 2 cpv. 2 LEstr subordinava la punibilità di un reato in Svizzera, tra l'altro, all'esistenza di una domanda di estradizione e all'assicurazione da parte dello Stato richiedente che esso non avrebbe processato una seconda volta l'agente sul suo territorio per lo stesso fatto, e che la sentenza di BGE 117 IV, 369 (378)condanna che vi fosse stata pronunciata nei suoi confronti non sarebbe stata eseguita, salvo che l'agente non avesse scontato la pena inflittagli in Svizzera.
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a) Non può dirsi che nulla osta a un'applicazione retroattiva dell'art. 6bis CP per il motivo che già prima della sua entrata in vigore era consentito perseguire penalmente in Svizzera B. per i reati da lui commessi in Italia e che tale perseguimento penale in Svizzera sarebbe stato per B. addirittura più favorevole di quello possibile in base all'art. 6bis CP in ragione delle assicurazioni (di non procedere una seconda volta contro B. e di non fargli scontare la pena inflittagli in Italia) che l'Italia avrebbe dovuto fornire, assicurazioni non presupposte dall'art. 6bis CP. Poiché tali assicurazioni non sono state date - le autorità italiane non hanno presentato una domanda formale di estradizione né hanno fornito le assicurazioni richieste dall'art. 2 cpv. 2 LEstr - la giurisdizione svizzera non potrebbe essere dedotta da tale disposizione, anche se fosse in ipotesi applicabile al caso concreto.
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b) Per una ragione analoga non può essere fatto capo all'art. 6 n. 2 della Convenzione europea di estradizione, il quale prevede che, se la Parte richiesta non procede all'estradizione di un suo cittadino, essa dovrà, su domanda della Parte richiedente, sottoporre il caso alle autorità competenti affinché, ove occorra, possano essere esercitati perseguimenti giudiziari. Manca infatti nel caso concreto la domanda della Parte richiedente presupposta da tale disposizione: le autorità italiane non hanno chiesto il perseguimento penale in via sostitutiva, bensì l'esecuzione in Svizzera delle sentenze italiane passate in giudicato. Equiparare le due domande non appare possibile né giustificato. Le autorità italiane hanno invano espresso chiaramente il loro intendimento di far scontare - in Svizzera o in Italia - le sentenze passate in giudicato da loro pronunciate nei confronti di chi era, al momento di detti giudizi, esclusivamente cittadino italiano. Esse non hanno mai ripiegato, per motivi che non compete a questo Tribunale di sindacare, sulla soluzione di richiedere, in via subordinata, il perseguimento penale in via sostitutiva in Svizzera. Un'applicazione diretta dell'art. 6 n. 2 CEstr, ossia prescindendo dal requisito formale della domanda di perseguimento penale in via sostitutiva, non appare possibile né opportuno. Essa comporterebbe, senza che ragioni imperative lo giustifichino (v. infra la soluzione fondata sull'art. 6 CP), una forzatura di una disposizione convenzionale inserita in un sistema in cui è stato a suo tempo raggiunto un non agevole equilibrio tra BGE 117 IV, 369 (379)esigenze contrastanti e in cui le condizioni formali (quali un'univoca domanda dello Stato richiedente) acquistano una particolare rilevanza; questa è tanto maggiore, ove si consideri che ogni Stato europeo ha la possibilità di regolare autonomamente, in base al suo diritto interno, le situazioni non previste e non codificate dal diritto convenzionale. Il fatto che il legislatore abbia ratificato disposizioni convenzionali che subordinano a determinate condizioni la disciplina di una certa situazione non può, quanto meno in linea di principio, significare che esso abbia inteso dar forza di legge a detta disciplina anche quando queste condizioni, dipendenti dalla volontà di un altro Stato, non siano adempiute. Tale modo di vedere risulta suffragato dal fatto che, nella materia di cui trattasi (estradizione e assistenza internazionale in materia penale in generale), le domande di uno Stato richiedente non hanno solo una rilevanza formale, ma possono essere (come verosimilmente nella fattispecie) l'espressione di una precisa scelta giuridica, sorretta da motivi inerenti al proprio ordinamento (nel caso concreto può essere compreso che, per ragioni di principio, l'Italia non intendesse rinunziare alla propria giurisdizione, da essa considerata come esclusiva trattandosi di reati commessi in Italia da un cittadino allora esclusivamente italiano). La necessità, da un canto, di rispettare integralmente le pattuizioni internazionali e quella, dall'altro, di distinguere chiaramente, per ragioni dettate dall'esigenza della certezza del diritto e in particolare del rispetto della chiara volontà del legislatore, tra normativa internazionale e diritto interno autonomo, impediscono nel caso concreto di fondare la giurisdizione svizzera sull'art. 6 n. 2 CEstr.
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c) L'art. 6 CP prevaleva sull'art. 2 cpv. 2 LEstr (SCHULTZ, op.cit., pag. 53 segg.), nella stessa guisa in cui prevale sull'art. 6bis CP (TRECHSEL, op.cit., n. 2 ad art. 6bis) e sulle disposizioni dell'AIMP in materia di perseguimento penale sostitutivo da parte della Svizzera e di esecuzione di decisioni penali estere (art. 85 cpv. 3 e art. 94 cpv. 3 AIMP). Va quindi esaminato se la giurisdizione penale svizzera nei confronti di B. non risulti dall'art. 6 CP.
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b) In base al cd. principio della personalità attiva o della nazionalità è soggetto alle norme del codice penale, in virtù dell'art. 6 CP, anche il cittadino svizzero che abbia commesso un reato all'estero. A sostegno di tale principio sono addotti vari motivi.
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È stato ribadito in passato che con questo principio si è inteso vincolare il cittadino di uno Stato alla sua patria, nel senso di obbligarlo a rispettare leggi della patria anche all'estero, indipendentemente dall'ordinamento colà vigente. In questa forma assoluta, ispirata a un'importanza determinante attribuita al sentimento nazionale, il principio della personalità attiva era in vigore in Germania fino al 1975. Attualmente esso viene considerato come un'esasperazione della concezione del diritto penale centrata sullo statuto personale (OEHLER, op.cit., pag. 444).
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Secondo la dottrina svizzera dominante, il principio della personalità attiva considerato sotto l'aspetto della procedura penale sostitutiva, è volto ad impedire che la fuga in Svizzera dell'agente gli procuri l'impunità (STRATENWERTH, Allg. Teil, § 5 n. 12 e richiami; TRECHSEL, Kurzkommentar, n. 1 ad art. 6 CP). In DTF 79 IV 50 si è considerato che la punibilità in Svizzera sostituisce e corregge il divieto di estradare un cittadino svizzero. Se SCHULTZ (Strafrecht, Allg. Teil, pag. 109), nel fondarsi su DTF 76 IV 209, è d'avviso che l'art. 6 CP non costituisce soltanto diritto penale sostitutivo, ma che crea, indipendentemente da una domanda dello Stato estero, una vera e propria sovranità in materia penale, tale diversa opinione è dovuta a una diversa nozione di procedura penale in via sostitutiva.
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Secondo SCHULTZ (op.cit., pag. 105), il perseguimento penale in via penale sostitutiva presuppone che lo Stato in cui è stato commesso il reato lo chieda espressamente. In DTF 76 IV 209 è stato deciso che l'art. 6 CP non è applicabile soltanto se lo Stato in cui il reato è stato commesso chieda alla Svizzera di perseguire a giudicare l'agente. Non ne può tuttavia essere dedotto che tale disposizione non comporta una procedura penale sostitutiva, dato che detta procedura, quale intesa generalmente, non implica una richiesta da parte dello Stato estero di perseguimento penale (OEHLER, op.cit., pag. 145; HAUSER/REHBERG, op.cit., pag. 47).
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BGE 117 IV, 369 (381)La nozione di procedura penale sostitutiva non è peraltro chiara sotto il profilo tecnico. Così, ad es., OEHLER (op.cit., pag. 507) considera i casi in cui un cittadino non è estradato allo Stato in cui il reato è stato commesso come una sottocategoria del principio della personalità attiva. Anche HAUSER/REHBERG (op.cit., pag. 45/46) ritengono che l'art. 6 CP costituisca la realizzazione di tale principio; la Svizzera assoggetta i propri cittadini al proprio diritto penale per reati commessi all'estero; secondo questi autori - la cui opinione diverge al proposito da quella espressa nella precedente edizione della loro opera -, l'applicazione del principio della personalità attiva o di quello della nazionalità è giustificata dal fatto che, ai sensi dell'art. 7 cpv. 1 AIMP, un cittadino svizzero non può essere estradato senza il suo consenso scritto. D'altronde lo stesso SCHULTZ ha espresso nella sua opera citata sull'estradizione secondo il diritto svizzero (pag. 51 segg.) l'avviso che l'art. 6 CP collega due diverse possibilità, ma non ne realizza alcuna in modo conseguente; detta disposizione crea infatti per la Svizzera un obbligo autonomo di punire, secondo il principio della personalità attiva, e contiene il diritto penale sostitutivo la cui applicazione interviene in virtù della mancata estradizione dovuta alla cittadinanza svizzera dell'agente.
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c) Risulta da quanto precede che la disciplina posta dall'art. 6 CP non dà forma concreta a uno dei principi elaborati dalla dottrina e da quest'ultima non sempre delimitati in modo univoco (cfr. al riguardo, OEHLER, op.cit., pag. 443 segg. e pag. 497 segg.). In tale articolo sono ravvisabili tanto elementi del principio della personalità attiva, quanto elementi della procedura penale sostitutiva. Secondo l'opinione oggi dominante, l'estensione della giurisdizione svizzera ai reati commessi all'estero da cittadini svizzeri non si fonda in misura prevalente sull'assoggettamento di questi ultimi al diritto penale svizzero (tale era ancora l'opinione di SCHULTZ in Auslieferungsrecht, pag. 53), quanto invece sulla necessità che la Svizzera non divenga ricettacolo di delinquenti per il fatto che non estrada i propri cittadini; ciò appare giustificato sia perché non è compatibile con il senso della giustizia lasciare impuniti delinquenti solo perché non possono essere estradati, sia perché il principio della solidarietà con gli altri Stati impone di non costringere lo Stato in cui è stato commesso il reato a vedere impunito l'agente che esso non sia in grado di perseguire penalmente in modo diretto.
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BGE 117 IV, 369 (382)Tenuto conto di questo senso e scopo dell'art. 6 CP, può ammettersi che le condizioni della sua applicazione sono adempiute, quando l'agente era cittadino svizzero al momento della commissione del reato oppure lo era al momento del suo arresto a fini di estradizione e del perseguimento penale in Svizzera. Tale è anche disciplina vigente ad es. in Francia e in Germania. In Francia, una norma corrispondente all'art. 6 del codice penale svizzero è stata modificata nel senso di renderla applicabile anche in caso di acquisto della cittadinanza francese dopo la commissione del reato (cfr. al proposito, SCHULTZ, Auslieferungsrecht, pag. 52 n. 92; trattasi dell'art. 689 cpv. 3 del codice di procedura penale francese). L'analoga disposizione del diritto germanico (§ 7 cpv. 2 n. 1 del codice penale germanico) concerne espressamente l'agente germanico al momento della commissione del reato o che lo è divenuto dopo di essa ("oder es nach der Tat geworden ist").
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Dall'espressione "ogni svizzero che commette in territorio estero un crimine o un delitto ..." non deriva necessariamente che l'agente debba essere stato cittadino svizzero al momento della commissione del reato. È da convenire che tale interpretazione possa apparire di prim'acchito come la più ovvia. Nell'interpretazione di una norma di legge non occorre tuttavia fondarsi esclusivamente sul testo letterale, bensì anche sulla sua genesi, sul suo senso e scopo e sulla relazione in cui si trova con le altre disposizioni di legge (DTF 114 IV 64 e richiami). Come sopra illustrato, accanto al principio secondo cui i cittadini svizzeri devono attenersi anche all'estero alle norme di diritto penale della loro patria, vige altresì, ed è oggi predominante, il principio che esclude l'impunità di coloro che, dopo aver commesso un reato all'estero, non possono essere estradati, in virtù dell'art. 7 cpv. 1 AIMP, perché cittadini svizzeri. L'art. 6 CP è quindi applicabile anche se l'agente abbia acquistato la cittadinanza svizzera dopo la commissione del reato; la menzionata disposizione dell'AIMP non può avere il senso di lasciare impunito il cittadino divenuto svizzero tra la commissione del reato all'estero e il perseguimento penale in Svizzera, solo perché è esclusa l'estradizione. A tale conclusione non osta il principio "nullum crimen sine lege certa" (art. 1 CP), applicabile per l'interpretazione delle norme penali (DTF 95 IV 73 consid. 3a); non trattasi d'altronde di un'interpretazione contraria al senso letterale del testo di legge, caso nel quale si giustificherebbe un maggior rigore. Né l'ammettere in queste ipotesi la giurisdizione svizzera suole comportare un peggioramento della situazione BGE 117 IV, 369 (383)dell'interessato, il quale non avrebbe altrimenti chiesto la naturalizzazione svizzera; ciò appare evidente nella fattispecie concreta. L'interessato può del resto sottrarsi ad un perseguimento penale per lui sfavorevole in Svizzera consentendo alla sua estradizione (art. 7 cpv. 1 AIMP); né, d'altra parte, egli deve rispondere in Svizzera di un atto non punibile all'estero o punito più rigorosamente che all'estero, dato che i reati imputatigli nel procedimento penale svizzero debbono essere punibili anche all'estero e che si applica il principio della "lex mitior" (art. 6 n. 1 CP).
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8. La CCRP ha confermato l'assoluzione di B. dall'imputazione di tentato omicidio del magistrato V. Essa ha rilevato che il gruppo di brigatisti a cui apparteneva B. aveva la dichiarata intenzione di uccidere il giudice V. e disponeva altresì dei mezzi necessari per farlo. B. ha eseguito con C. sopralluoghi nel quartiere romano Don Bosco per individuare l'abitazione del giudice e cercare di conoscerne gli orari e le abitudini. Se V. non fosse stato trasferito ad altro ufficio, meno interessante per le Brigate Rosse, egli sarebbe stato probabilmente ucciso. I ruoli operativi non erano tuttavia ancora stati distribuiti; l'unico elemento certo è che C. era stato contrattato da P. e da G. e richiesto di fungere da autista. Nulla si conosceva invece circa gli altri partecipanti e il loro ruolo. Neppure le altre modalità dell'operazione erano state precisate, né riguardo alla dinamica, né riguardo al momento e neppure rispetto a chi avrebbe materialmente sparato. La CCRP ha considerato che in queste circostanze non poteva ritenersi che B. già avesse iniziato l'esecuzione di quell'assassinio; l'operazione non era ancora scattata e ci si trovava in presenza di tipici atti preparatori.
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Come già osservato dalle Corti cantonali, non è sufficiente che gli agenti fossero determinati a dare esecuzione a quanto erano in procinto di preparare. Ai sensi dell'art. 21 cpv. 1 CP, si è in BGE 117 IV, 369 (384)presenza di un reato tentato ove l'agente abbia cominciato l'esecuzione di un crimine o di un delitto. Fa parte di questo stadio qualsiasi attività che, secondo il piano ideato dall'agente, costituisce l'ultimo passo decisivo sulla strada verso la realizzazione del reato, sul quale di regola più non si ritorna, salvo che circostanze esterne ostacolino o impediscano la continuazione dell'esecuzione (DTF 114 IV 114 consid. 2c e richiami). La Procura pubblica non è in grado d'indicare - né ciò risulta dagli atti - quale attività i brigatisti, con la partecipazione di B., avessero cominciato ad eseguire, in cui, secondo il loro piano criminoso, fosse ravvisabile l'ultimo passo decisivo. Poiché, come accertato nella sentenza impugnata in modo vincolante per il Tribunale federale, non erano ancora stati determinati né il momento del progettato crimine né i ruoli operativi, non può nella fattispecie parlarsi di un inizio di esecuzione, tenuto conto che nel caso concreto si trattava di un crimine che doveva aver luogo in base ad un piano preciso. L'intenzione di commettere un reato non basta, dato che tale intenzione, tranne che in relazione con atti preparatori di determinati reati ai sensi dell'art. 260bis CP, non è di per sé punibile. Ciò vale anche nel caso di una pluralità di agenti, associatisi per commettere reati, dato che il diritto penale svizzero non conosce in linea di principio la fattispecie legale dell'associazione per delinquere.
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b) B. eccepisce che la CCRP ha violato l'art. 21 cpv. 1 CP per aver ammesso un tentativo, dato che la rapina vera e propria doveva essere commessa solo il giorno successivo.
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BGE 117 IV, 369 (386)La censura ricorsuale sollevata su questo punto da B. va quindi disattesa.
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La Procura pubblica è d'avviso che su questo punto la CCRP abbia violato il diritto federale.
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Se TRECHSEL (Kurzkommentar zum StGB, art. 2 n. 7) rileva che in DTF 97 I 924 consid. 2 il Tribunale federale ha risolto in modo diverso la questione sopra menzionata, va precisato che in quella decisione non si trattava di un ricorso per cassazione in materia penale, bensì di un ricorso di diritto amministrativo proposto al Tribunale federale contro una decisione del Consiglio di Stato in materia di esecuzione delle pene. In sede di giudizio su di un ricorso di diritto amministrativo, compete al Tribunale federale un potere d'esame più ampio ed esso può giudicare direttamente sul merito (art. 114 cpv. 2 OG).
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a) Poiché per la questione se debba essere applicato il nuovo diritto ai sensi dell'art. 2 cpv. 2 CP vale per le autorità cantonali di ricorso lo stesso principio applicabile per la Corte di cassazione penale del Tribunale federale, occorre esaminare se il ricorso per cassazione regolato dalla procedura penale ticinese corrisponda nei suoi aspetti determinanti al ricorso per cassazione al Tribunale federale.
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La CCRP è pervenuta alla conclusione che ciò non è il caso; il suo parere è vincolante per il Tribunale federale adito con ricorso per cassazione. A differenza del Tribunale federale, essa, quando, adita con ricorso per cassazione cantonale, annulla la decisione impugnata per violazione della legge nella sua applicazione ai fatti posti a base di tale decisione, giudica nel merito, senza rinvio, riformando la decisione impugnata (art. 237 CPP/TI). Inoltre, sempre a differenza del ricorso per cassazione dinanzi al Tribunale federale, il ricorso per cassazione cantonale ha per legge effetto sospensivo (art. 242 cpv. 1 CPP/TI).
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BGE 117 IV, 369 (388)b) Nell'applicare in tali condizioni, quale legge più favorevole all'imputato, il nuovo art. 112 CP, la CCRP non ha quindi leso il diritto federale. Contrariamente a quanto da essa ritenuto, non è peraltro determinante al riguardo se il ricorso per cassazione cantonale debba o no essere accolto in un suo punto.
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Per stabilire se sia o non sia da applicare la legge più favorevole per l'imputato non è rilevante se il ricorso proposto abbia o non abbia successo, né se la sentenza di prima istanza sia effettivamente modificata. Determinante è solo la circostanza che le censure sollevate nel ricorso abbiano indotto l'autorità di ricorso a riesaminare, ormai alla luce delle nuove disposizioni di legge (più favorevoli all'imputato), questioni di diritto inerenti alla sentenza di prima istanza. Ove ciò sia il caso, è irrilevante la sorte del ricorso; se infatti il ricorso dovesse essere disatteso secondo il diritto previgente, il diritto più favorevole all'imputato non potrebbe esplicare i suoi effetti, contrariamente al senso della norma che ne regola l'applicazione. È sufficiente che la questione di diritto alla quale si applica il nuovo diritto più favorevole all'imputato debba essere esaminata in sede di giudizio su ricorso e che, ove il rimedio giuridico vada accolto, la sentenza di prima istanza possa, secondo la procedura cantonale, non solo essere annullata con il rinvio della causa per nuovo giudizio all'autorità di prima istanza, bensì essere modificata dall'istanza di ricorso in modo da sostituirsi a quella di merito pronunciata in primo grado. In altre parole, è determinante se il rimedio giuridico cantonale abbia o no carattere riformatore (cfr. HAUSER, Strafprozessrecht, pag. 269). Ove si tratti di un rimedio giuridico con carattere riformatore - in tal caso suole avere per legge effetto sospensivo -, nella decisione dell'autorità di ricorso va ravvisata comunque - ossia anche se disattenda il ricorso - una nuova decisione di merito. L'autorità di ricorso dev'essere considerata allora come giudice di merito, tenuto ad applicare, secondo l'art. 2 cpv. 2 CP, l'eventuale nuovo diritto più favorevole all'imputato.
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Nella fattispecie, B. s'era doluto dinanzi alla CCRP che la qualifica d'assassinio data all'omicidio litigioso era lesiva delle relative norme del codice penale. Applicando il nuovo testo dell'art. 112 CP quale legge più favorevole all'imputato, la CCRP non ha quindi violato il diritto federale, dato che, in base alla natura del ricorso per cassazione del diritto cantonale, essa aveva, su questo punto, la competenza del giudice di merito.
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BGE 117 IV, 369 (389)c) A quanto sopra non si oppone il principio procedurale del diritto ticinese che consente alla CCRP di pronunciare un nuovo giudizio di merito solo in base ai fatti accertati nella sentenza di prima istanza (art. 237 CPP/TI), e che le attribuisce, in materia di riesame dei fatti, solo un potere d'esame ristretto, di guisa che, in quanto ritenga fondate le censure riguardanti gli accertamenti fatuali, essa può soltanto rinviare la causa al giudice di prima istanza (art. 237 a contrario, e art. 236 CPP/TI). In quest'ultimo caso, il giudice di merito a cui la causa è rinviata è tenuto ad esaminare se nuove disposizioni di legge entrate in vigore nel frattempo non siano più favorevoli per l'imputato (DTF 97 IV 235 consid. 2c). Se il ricorso per cassazione cantonale ha per oggetto soltanto questioni di procedura e di fatto e sia disatteso, la sentenza di merito di prima istanza rimane ferma. La legge più favorevole all'imputato non trova allora applicazione, poiché le censure ricorsuali non concernevano questioni di diritto sostanziale, con la conseguenza che l'applicabilità del nuovo diritto neppure entrava in considerazione.
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Secondo il testo previgente dell'art. 112 CP, era dato l'assassinio, se il colpevole aveva ucciso in circostanze o con una premeditazione che rivelassero in lui una particolare pericolosità o perversità. Per la giurisprudenza, rilevanti per decidere sulla pericolosità o perversità erano non solo le circostanze direttamente connesse con il reato commesso, bensì anche le circostanze e il comportamento prima e dopo la commissione, nella misura in cui fossero suscettibili di fornire indicazioni sulla personalità dell'agente, la sua attitudine e la sua mentalità all'epoca della commissione del reato (DTF 115 IV 13 consid. 1b, 106 IV 344 e 104 IV 151). La definizione della fattispecie legale dell'assassinio, come pure la sua interpretazione e applicazione da parte del Tribunale federale, erano state criticate e ritenute incompatibili con il principio della colpa (v. STRATENWERTH, Schw. Strafrecht, BT I, § 1 n. 14/15 e n. 22; NOLL, Strafrecht, BT I, pag. 17; SCHUBARTH, n. 12 ad art. 112; in senso contrario, WALDER, Vorsätzliche Tötung, Mord und Totschlag, in RPS 96/1979, pag. 175). Il nuovo testo dell'art. 112 CP era destinato a por rimedio a queste manchevolezze.
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Poiché il criterio della pericolosità del colpevole non è, ai fini della definizione dell'assassinio, compatibile di per sé con il principio della colpa, ma solo quale conseguenza di una particolare perversità, è divenuto superfluo menzionarlo espressamente tra gli elementi costitutivi del reato. La nuova versione si riferisce dunque solo alla particolare perversità dell'autore, ma utilizza un'altra terminologia. Essa contempla infatti un agire "con particolare mancanza di scrupoli", realizzato segnatamente quando il movente, lo scopo o il modo d'agire dell'autore sia particolarmente perverso. Questa enumerazione non esauriente evita che il giudice debba fondarsi esclusivamente su di una clausola generale (la particolare mancanza di scrupoli), la cui interpretazione e delimitazione potrebbero creare nuove difficoltà. L'enumerazione introdotta ribadisce inoltre, a differenza della disciplina previgente, che le circostanze rilevanti per determinare se gli elementi costitutivi dell'assassinio siano adempiuti sono solo le circostanze dell'atto, BGE 117 IV, 369 (391)quelle cioè direttamente connesse con la sua commissione. Questa soluzione è l'unica compatibile con il principio della colpa su cui si fonda il codice penale svizzero. Il tipo d'assassino a cui si riferisce il nuovo art. 112 è esclusivamente quello descritto dallo psichiatra HANS BINDER (Der juristische und der psychiatrische Massstab bei der Beurteilung der Tötungsdelikte, in RPS 67/1952, pag. 313/314, 324): una persona senza scrupoli, che agisce a sangue freddo, di un egoismo primitivo e crasso, priva di sentimenti sociali, che non tiene dunque in nessun conto la vita altrui pur di realizzare il proprio interesse (Messaggio, FF 1985 II 912/913; rapporto della commissione peritale, pag. 3/4; cfr. anche STRATENWERTH, BT I e II, Teilrevisionen 1987 bis 1990, § 1 n. 15; REHBERG, Strafrecht III, pag. 19).
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a) Una connessione diretta con l'assassinio va ammessa per le circostanze vere e proprie del reato e i moventi che hanno indotto gli autori ad agire (v. Messaggio cit., loc.cit.; STRATENWERTH, Teilrevisionen, loc.cit.). Appartiene a tali elementi il fatto che l'assassinio di cui trattasi s'inserisce in una serie di crimini commessi dalle stesse Brigate Rosse nello stesso anno, ossia che esso è stato commesso per gli stessi motivi a cui erano dovuti tali crimini, tra cui il rapimento e l'assassinio dell'ex presidente del Consiglio Moro. Gli autori dell'assassinio di T., tra i quali è pacificamente da includere B., intendevano, alla stessa stregua degli altri brigatisti nell'esecuzione dei loro attentati, destabilizzare con atti di terrorismo le strutture dello Stato di diritto italiano, fondato sulla democrazia, allo scopo dichiarato di pervenire così ad un migliore ordinamento sociale. Quale vittima era stato scelto un giudice come rappresentante dell'ordinamento statale da combattere. Ove questi atti di terrorismo avessero avuto l'effetto sperato, altri atti della stessa indole avrebbero dovuto seguire, possibilmente senza soluzione di continuità. Per questa ragione vanno comprese tra le circostanze direttamente concernenti il reato la disponibilità degli autori a uccidere nell'interesse dell'organizzazione terroristica qualsiasi persona in qualsiasi momento, come pure il fatto che l'assassinio del giudice T. s'iscrive in una serie di reati analoghi. Quanto alla "riunione di verifica", ossia alla riunione che ha avuto luogo il giorno successivo per trarre il bilancio di quell'assassinio, essa pure appartiene alla stessa categoria di circostanze, nella misura in cui è destinata a confermare e a suffragare che l'assassinio di T. è da situare nel senso sopra menzionato BGE 117 IV, 369 (393)nella catena delle azioni terroristiche delle Brigate Rosse. Se la "riunione di verifica" sia altresì suscettibile di dimostrare il sangue freddo e la determinazione con cui è stata eseguita l'uccisione del giudice T., tenuto conto che tale riunione ha avuto luogo poco dopo l'esecuzione di detta uccisione, può, in ultima analisi, rimanere indeciso poiché questo aspetto non è determinante (v. infra lett. b). Comunque osservasi che quali circostanze non concernenti direttamente l'atto sono da considerare soltanto i precedenti dell'agente e il suo comportamento prima e dopo l'atto, nella misura in cui tali elementi, considerati prescindendo dalla loro relazione con l'atto, siano valutati solo per ottenere un'immagine della personalità dell'agente (cfr. al proposito il Messaggio loc.cit., e STRATENWERTH, Teilrevisionen cit., loc.cit.).
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b) B. ribadisce che il proprio movente e quello dei suoi correi delle Brigate Rosse era legato a una scelta ideologica prefigurativa di un ordinamento sociale e collettivo ritenuto migliore; il reato era diretto all'instaurazione di un ordinamento politico-istituzionale diverso da quello esistente.
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Tale obiezione non può giovare a B., anche se il movente e lo scopo da lui addotti fossero provati (la CCRP non ha compiuto accertamenti fattuali al proposito). Può quindi rimanere indeciso se la versione di B. corrisponda al vero o se il movente e scopo principale non fossero, soprattutto e prima di ogni altro, la distruzione dello Stato.
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È da convenire che il movente e lo scopo dichiarati da B. - la trasformazione dell'ordinamento statale e sociale - non possono essere ritenuti come egoistici né come particolarmente perversi (v. al riguardo DTF 115 IV 14 in relazione con una liberazione di detenuti addotta da un terrorista come fine del suo atto). Né sono date circostanze che lascino apparire l'esecuzione dell'uccisione come particolarmente perversa. Non è stato nella fattispecie utilizzato un mezzo particolare perverso (quale il veleno o il fuoco), né si può parlare di crudeltà, di una particolare perfidia, di una brama di uccidere, di vendetta o di egoismo crasso; mancano pure particolari relazioni con la vittima (per es. relazione amorosa o vincoli di sangue - DTF 106 IV 345 consid. 2, 104 IV 151/152, le cui considerazioni al proposito continuano a valere anche con riferimento al nuovo testo dell'art. 112 CP; cfr. altresì STRATENWERTH, Teilrevisionen, n. 16/17 ad § 1; REHBERG, op.cit., pag. 19 segg.). Sussiste tuttavia assassinio non soltanto quando sia da ammettere la presenza di una delle circostanze di particolare perversità sopra BGE 117 IV, 369 (394)evocate, bensì, in modo generale, quando il colpevole abbia agito con particolare mancanza di scrupoli. L'enumerazione, non limitativa, delle circostanze che denotano una particolare perversità dell'agente, sono soltanto destinate ad evitare che il giudice debba fondarsi esclusivamente sulla clausola generale della particolare mancanza di scrupoli (Messaggio, FF 1985 II 912). È pertanto consentito di ravvisare in casi speciali - da ammettere con un certo riserbo - l'assassinio esclusivamente in base alla citata clausola generale. Quest'ultima garantisce in tal senso che l'assassinio come forma qualificata dell'omicidio sia desumibile anche da circostanze diverse da quelle elencate in via esemplificativa dal legislatore. Basti pensare, ad es., al disprezzo manifestato verso la vita umana altrui, spesso tipico in atti di terrorismo compiuti da fanatici in materia politica o religiosa, o nell'uccisione effettuata in modo ripetitivo e ordinario da un sicario professionale (STRATENWERTH, Teilrevisionen, n. 17 ad § 1).
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c) È indubbio che l'uccisione del giudice T., commessa dall'organizzazione terroristica delle Brigate Rosse e alla quale B. ha partecipato, dev'essere considerata come denotante una particolare mancanza di scrupoli ai sensi della clausola generale del nuovo testo dell'art. 112 CP. Un fanatismo che arriva sino al disprezzo totale della vita di altri esseri umani costituisce uno degli elementi specifici dell'assassinio, poiché rivela la mentalità dell'agente e lo specifico e duraturo pericolo che questi rappresenta per coloro che non condividono i suoi principi (DTF 115 IV 8). Nello stesso modo in cui nel caso del terrorista libanese Ha. - il quale con il dirottamento di un aereo e con l'uccisione di un ostaggio intendeva conseguire la liberazione di terroristi detenuti in Svizzera -, la Corte penale federale ha ravvisato nell'uccisione dell'ostaggio un assassinio, anche nel caso di B. deve riconoscersi che sono adempiute le condizioni richieste perché il reato sia da qualificare come assassinio. L'uccisione del giudice T. va considerata come un atto terroristico avvenuto in Italia nel quadro degli altri atti terroristici commessi lo stesso anno dalle Brigate Rosse, ciò che B. a ragione non contesta. Come tale, questo atto terroristico denota il fanatismo politico dei suoi autori, e quindi anche di B., per il quale la vita di un essere umano non contava nulla e doveva addirittura essere eliminata, in base ad un freddo calcolo e con modalità accuratamente preparate, dove e quando ciò servisse agli interessi perseguiti dall'organizzazione terroristica. È manifesto il disprezzo per la vita della vittima innocente all'uopo scelta. Esso può soltanto BGE 117 IV, 369 (395)essere interpretato come indice di una particolare mancanza di scrupoli.
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La CCRP non ha quindi violato il diritto federale nel riconoscere B. colpevole di assassinio.
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