BGer 4C.306/1999
 
BGer 4C.306/1999 vom 11.07.2000
«AZA 1/2»
4C.306/1999
I C O R T E C I V I L E
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Seduta dell'11 luglio 2000
Composizione della Corte: giudici federali Walter, presidente, Leu, Corboz, Klett e Ramelli, supplente.
Cancelliera: Gianinazzi.
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Visto il ricorso per riforma presentato il 1° settembre 1999 dalla J u m b o S u d S.A., Canobbio, convenuta, patrocinata dall'avv. Fabio Soldati, Lugano, contro la sentenza emanata il 21 luglio 1999 dalla II Camera civile del Tribunale d'appello del Cantone Ticino nella causa che la oppone alla B r i c o S.A., Lamone, attrice, patrocinata dall'avv. Raffaele Bernasconi, Lugano, in materia di protezione dei marchi, concorrenza sleale e diritto del nome;
R i t e n u t o i n f a t t o :
A.- La presente vertenza vede coinvolte due società ticinesi attive nel settore "fai da te". La Brico S.A. (di seguito: Brico), con sede a Lamone, è iscritta a registro di commercio dal 1983 e possiede cinque negozi nel Cantone Ticino. Dal 1985 essa è titolare di un marchio verbale-figurativo che, oltre alla menzione "Brico - Centro del fai da te", comprende la raffigurazione grafica di un omino con un martello in mano che pronuncia la frase "Salve amico - vieni anche tu alla Brico!".
La Jumbo Sud S.A. (di seguito: Jumbo), con sede a Canobbio, è iscritta a registro di commercio dal 1985 e gestisce in Ticino tre centri commerciali, appartenenti alla catena Jumbo, diffusa in tutta la Svizzera. Dal 1997 essa ha inserito nella pubblicità e nelle insegne ticinesi la menzione "Brico & Hobby" accanto al logo "Jumbo"; nella svizzera romanda usa invece "Brico & Loisirs" e nella svizzera tedesca "Bau & Freizeit".
B.- Ritenendo l'espressione utilizzata da Jumbo in Ticino in contrasto con le norme sulla protezione dei marchi e sulla concorrenza sleale, nonché con quelle sul diritto del nome, il 26 giugno 1997 la Brico ha convenuto la Jumbo e la Jumbo-Markt AG di Dietlikon direttamente dinanzi al Tribunale d'appello. L'attrice ha chiesto - previa l'adozione di misure cautelari - di ordinare alle convenute la cessazione, immediatamente e per il futuro, dell'uso in Ticino della parola "Brico" su tutto il loro materiale pubblicitario di propaganda, così come in ogni altro contesto. In prosieguo di causa le parti hanno deciso di rinunciare alla procedura provvisionale e di dimettere dalla lite la Jumbo-Markt AG.
Con sentenza del 21 luglio 1999 la II Camera civile del Tribunale d'appello del Cantone Ticino ha accolto la petizione. C.- Prevalendosi della violazione del diritto federale la Jumbo è insorta il 1° settembre 1999 dinanzi al Tribunale federale con un ricorso per riforma volto alla modifica del giudizio impugnato nel senso di respingere la petizione. Nella risposta del 25 ottobre 1999 la Brico propone la reiezione del gravame.
C o n s i d e r a n d o i n d i r i t t o :
1.- Premesso che la registrazione di un marchio da parte dell'Ufficio federale della proprietà intellettuale non vincola il giudice civile, la Corte cantonale ha esaminato la tesi - addotta dalla convenuta - secondo la quale il termine "Brico" non potrebbe beneficiare della protezione quale marchio in quanto segno di dominio pubblico. Dalla perizia giudiziaria è emerso che tale vocabolo, pur non figurando nei dizionari italiani, francesi e tedeschi come sinonimo di "bricolage", gode effettivamente di una certa diffusione nelle aree francofone come mozzatura di questa stessa parola, la quale in tempi recenti è divenuta sinonimo dei prodotti del genere "fai da te" e va pertanto considerata di dominio pubblico, siccome descrittiva di un determinato tipo di merce. In queste circostanze, non risultando la troncatura del termine francese particolarmente fantasiosa né originale - tant'è che il vocabolo da cui deriva è facilmente riconoscibile - l'autorità ticinese ha concluso di dover assimilare "Brico" a un segno di dominio pubblico, ciò che ne esclude, di principio, la protezione come marchio (art. 2 lett. a LPM; RS 232.11).
Considerato però che in Ticino il segno "Brico" viene ormai chiaramente identificato con la ditta attrice ed i suoi prodotti, la Corte cantonale ha deciso di garantirgli ugualmente protezione, a titolo eccezionale, in applicazione dell'art. 2 lett. a seconda frase LPM. Tale disposto - in vigore dal 1° aprile 1993 e applicabile alla fattispecie in rassegna in virtù dell'art. 76 cpv. 1 e cpv. 2 lett. b LPM - prevede infatti la possibilità di proteggere i segni di dominio pubblico qualora essi «si siano imposti come marchi per i prodotti o i servizi ai quali si riferiscono». Dovendosi ammettere l'asserita violazione del diritto dei marchi, alla convenuta è stato dunque ordinato di cessare immediatamente e per il futuro l'utilizzo, in Ticino, della parola "Brico".
2.- Il ricorso per riforma verte esclusivamente sull'applicazione dell'eccezione contemplata dalla citata norma, segnatamente sulla decisione di proteggere il segno in questione, di dominio pubblico, nonostante esso si sia imposto solamente nel Cantone Ticino. A mente della convenuta non è infatti pensabile un marchio "locale", i cui effetti siano limitati a una sola regione: la facoltà di concedere - eccezionalmente - a un segno di dominio pubblico una protezione uguale a quella di un marchio registrato presuppone ch'esso si sia imposto in tutta la Svizzera. a) Modificando la sua precedente giurisprudenza (DTF 55 I 262; 81 I 298), nella DTF 99 Ib 10 il Tribunale federale ha stabilito il principio secondo il quale, per essere protetto, un marchio dev'essersi imposto sul territorio svizzero (fanno eccezione solo le indicazioni di provenienza geografiche straniere, cfr. DTF 117 II 327 "Montparnasse").
Questa giurisprudenza - ripetutamente confermata (cfr. DTF 120 II 144 consid. 3c pag. 151, con rinvii) - non risolve però il problema in esame, siccome riferita a fattispecie nell'ambito delle quali la diffusione del marchio, rispettivamente del segno di dominio pubblico, in Svizzera viene contrapposta a quella riscontrata all'estero. Il Tribunale federale non si è per contro ancora pronunciato sulla questione specifica dell'estensione geografica dell'uso del marchio entro i confini nazionali.
b) A sostegno della loro decisione di proteggere un segno di dominio pubblico che si è imposto solo a livello locale, i giudici ticinesi hanno citato Marbach (Markenrecht, in: Schweizerisches Immaterialgüter- und Wettbewerbsrecht, vol. III, Basilea 1996, pag. 56). In realtà questo autore non è così categorico come lascia intendere la sentenza impugnata. Pur ritenendo la diffusione locale sufficiente qualora anche l'uso del segno sia limitato alla stessa zona, egli ha infatti rilevato il conflitto esistente tra la necessità - di per sé non esclusa dall'art. 2 lett. a LPM - di proteggere anche i segni diffusi localmente o regionalmente e l'esigenza più generale di mantenerli liberi, a disposizione di tutti, visto che si sono affermati - appunto - soltanto in uno spazio limitato. Pochi sono invero gli autori che hanno trattato la questione. Matter (Kommentar zum Bundesgesetz betreffend den Schutz der Fabrik- und Handelsmarken, der Herkunftsbezeichnungen von Waren und der gewerblichen Auszeichnungen, Zurigo 1939, art. 3 a pag. 63) propone di distinguere a seconda della natura del segno di dominio pubblico: un segno comune o banale (primitive Marke) è suscettibile d'essere protetto non appena i consumatori finali ne riconoscono la forza distintiva per l'uso anche solo locale; un segno libero (Freizeichen) può venire protetto tosto che sia cessato l'uso comune e che un unico titolare lo usi da molto tempo; una designazione generica o descrittiva (Beschaffenheitsangabe) esige invece di essere riconosciuta come marchio individualizzante in tutto il paese o, comunque, nelle parti in cui viene usata. Anche Jene-Bollag (Die Schutzfähigkeit von Marke und Ausstattung unter dem Gesichtspunkt des Freihaltebedürfnisses, Basilea 1981, pag. 128-133) auspica soluzioni differenziate. Per quest'autrice il segno di dominio pubblico può, di principio, essere registrato se l'uso individualizzante si è imposto in tutte le regioni della Svizzera. Deroghe sono però possibili nei settori per i quali l'interesse al mantenimento della libertà del segno è esiguo. Infatti, se l'intensità di questo interesse è di regola uguale su tutto il territorio svizzero per i segni banali, per quelli verbali a contenuto informativo esso può risultare differenziato, a dipendenza della regione linguistica e dei singoli settori economici. Di parere decisamente contrario è Müller (Unterscheidungskraft, Freihaltebedürfnis, Verkehrsdurchsetzung in: Marke und Marketing, Berna 1990, pag. 210-212), il quale ammette l'esistenza di differenze regionali ma nega ch'
esse possano venire considerate nell'ambito del diritto dei marchi, dato che la protezione del marchio registrato si estende su tutto il territorio svizzero. A titolo comparativo si può infine osservare che in Germania la protezione del marchio presuppone la sua diffusione in tutto il paese (cfr. ad esempio Ströbele, in: Althammer/Ströbele/Klaka, Markengesetz, 5a ed., 1997, n. 144 zu § 8).
c) La possibilità di proteggere un segno di dominio pubblico che si è imposto solo a livello regionale non può dunque venir esclusa d'acchito.
A favore di questa tesi depone, in particolare, il fatto che, in caso contrario, alle imprese attive solo localmente verrebbe definitivamente preclusa la possibilità di vedere il loro marchio protetto, nonostante esso si sia chiaramente imposto nella regione in cui operano.
Altre considerazioni risultano tuttavia preponderanti. Ritenuto che la protezione di un marchio si estende per legge su tutto il territorio svizzero risulta difficile ammettere di sottrarre all'uso generale, a causa della sua diffusione in una sola località o regione linguistica, un segno di dominio pubblico che nelle altre non solo non ha assunto una specifica funzione descrittiva in relazione a un determinato prodotto ma addirittura, come nel caso in esame, appartiene al linguaggio corrente. Già si è detto, infatti, che presso i francofoni la parola "Brico" viene facilmente identificata come mozzatura di "bricolage", la quale è sinonimo delle attività "fai da te". Ora, la necessità di mantenere libero il termine citato per indicare questo tipo di attività prevale, manifestamente, su quello di registrarlo solo perché si è imposto in una regione linguistica. Ammettere la possibilità di proteggere un segno affermatosi in una certa località limitatamente alla stessa, soluzione cui tende la decisione impugnata nel suo dispositivo, risulterebbe inoltre in contrasto con lo spirito del diritto dei marchi, che mira - come detto - a garantire una protezione globale e assoluta dei marchi registrati in tutta la Svizzera: vedere il medesimo segno protetto in regioni diverse per prodotti magari diversi rischierebbe infatti di ingenerare un'eccessiva confusione nel consumatore. d) Alla luce delle considerazioni che precedono e nell'interesse della chiarezza e della sicurezza giuridica, la decisione pronunciata in sede cantonale non può dunque essere condivisa.
Un segno di dominio pubblico può, eccezionalmente, beneficiare della protezione quale marchio solamente qualora esso si sia imposto in ogni regione linguistica come tale, per i prodotti o i servizi ai quali si riferisce, ciò che in concreto non si è verificato. 3.- La fattispecie necessita comunque di essere esaminata anche dal profilo della legge contro la concorrenza sleale non potendosi ritenere, a priori, che la mancata sanzione di un certo comportamento secondo il diritto dei marchi elimini in maniera assoluta la possibilità di vietarlo in applicazione di quello della concorrenza. a) L'introduzione del nuovo diritto dei marchi ha invero spinto parte della dottrina a proporne l'applicazione esclusiva, atteso ch'esso fornisce una protezione globale del segno (cfr. David, in: Markenschutzgesetz, Muster- und Modellgesetz, Basilea 1999, n. 3 pag. 10). Altri autori continuano invece a sostenere l'applicazione cumulativa delle due normative (Marbach, op. cit., pag. 13 seg.; Hilti, in: Schweizerisches Immaterialgüter- und Wettbewerbsrecht, vol. III, pag. 455 segg.; Streuli-Youssef, in: Schweizerisches Immaterialgüter- und Wettbewerbsrecht, vol. V/1, pag. 145 segg.). A ragione. Anche la giurisprudenza del Tribunale federale ammette infatti l'applicazione cumulativa delle due legislazioni in considerazione degli scopi, diversi, ch'esse si prefiggono: il diritto dei marchi mira a proteggere il segno che contraddistingue il prodotto (rispettivamente un servizio), di modo ch'esso risulta violato mediante la sua copia o imitazione; il diritto della concorrenza, invece, vuole garantire il funzionamento corretto della concorrenza fra le varie aziende presenti sul mercato, di modo ch'esso risulta violato qualora una di queste adotti un comportamento sleale (cfr. DTF 117 II 199 consid. 2 pag. 200 segg.).
b) Orbene, secondo prassi costante non si può, attraverso le norme sulla concorrenza sleale (LCSl), proibire l'uso di un segno appartenente al dominio pubblico: ciascun concorrente deve avere infatti la possibilità di designare un prodotto servendosi di espressioni che ne indicano la natura o le proprietà, senza essere ostacolato dal marchio di un altro. In caso contrario diverrebbe possibile, per mezzo della legge sulla concorrenza sleale, accordare una protezione che la legge sui marchi rifiuta espressamente. Solo circostanze particolari possono fare apparire un'imitazione sleale: tale è il caso, ad esempio, se il consumatore viene indotto in errore, in modo evitabile, circa la provenienza del prodotto oppure viene sfruttata, in modo parassitario, la reputazione di cui gode il prodotto concorrente (DTF 120 II 144 consid. 5b pag. 154 con rinvii). c) Nel caso in esame l'uso - da parte della convenuta - del segno "Brico", non soggetto alla protezione della LPM, non viola dunque, di principio, nemmeno la LCSl. I giudici ticinesi lo hanno tuttavia vietato, verificandosi, a loro modo di vedere, una delle circostanze particolari appena esposte: con il suo comportamento la convenuta avrebbe infatti creato presso i consumatori un pericolo di confusione, accentuato dal fatto che le due ditte vendono merce dello stesso genere nella medesima regione.
aa) Il pericolo di confusione configura una questione di diritto che il Tribunale federale esamina liberamente, perlomeno quando - come nel caso in rassegna - si tratta di valutare l'impatto del comportamento litigioso sul grande pubblico; non invece quando il prodotto è destinato a una speciale fascia di persone, dotate di conoscenze specifiche in un determinato settore (DTF 126 III 239 consid. 3a pag. 245 seg.).
bb) Contrariamente a quanto asseverato dai giudici cantonali, in concreto l'esistenza di un pericolo di confusione va negata. Le parti utilizzano infatti il segno "Brico" in maniera diversa, combinato con i rispettivi loghi e un'espressione specifica, così da permettere a un consumatore attento l'immediata differenziazione fra le due imprese. L'attrice non solo si propone con "Brico - Centro del fai da te", ove la lettera "c" del termine "Brico" avvolge graficamente la successiva "o", ma aggiunge anche la raffigurazione grafica di un omino con in mano un martello che pronuncia la frase "Salve amico - vieni anche tu alla Brico!". Dal canto suo la convenuta aggiunge la menzione "Brico & Hobby" al logo "Jumbo". Dagli accertamenti eseguiti in sede cantonale non emerge inoltre alcun elemento concreto a sostegno di uno sfruttamento parassitario della reputazione dell'attrice.
Ne discende che anche su questo punto il giudizio impugnato risulta in contrasto con il diritto federale. 4.- Lo stesso vale, infine, con riferimento alle considerazioni concernenti la violazione delle norme sulla protezione del nome, segnatamente dell'art. 29 cpv. 2 CC, che la Corte cantonale ha ammesso.
Giusta l'art. 29 cpv. 2 CC chi subisce pregiudizio per il fatto che un altro usurpa il suo nome può chiedere in giudizio la cessazione dell'usurpazione. Come rettamente osservato nella sentenza impugnata, una simile circostanza non si verifica solo quando qualcuno utilizzi per sé il nome di un altro, bensì anche quando si limiti a usarne la parte principale creando così un pericolo di confusione (DTF 116 II 463 consid. 3b pag. 469). Ciò non vale, però, qualora - come nel caso in esame - venga ripreso un elemento costitutivo di un vocabolo che appartiene, linguisticamente, al dominio pubblico (Bühler, in: Basler Kommentar, n. 34 ad art. 29 CC; DTF 90 II 315 consid. 3a pag. 319). La nozione di pericolo di confusione corrisponde comunque a quella considerata nel diritto della concorrenza (DTF citato consid. 4c pag. 470). Atteso che nella fattispecie in esame tale pericolo è stato negato, l'attrice non può prevalersi dei disposti sulla protezione del nome per ottenere la cessazione dell'uso del termine "Brico" da parte della convenuta. 5.- Da tutto quanto esposto discende che la decisione emanata dalla Corte cantonale risulta in contrasto con il diritto federale in materia di protezione dei marchi, concorrenza sleale e protezione del nome. Il ricorso per riforma deve pertanto essere accolto. Ciò comporta l'annullamento e la modifica della sentenza impugnata nel senso di respingere integralmente la petizione presentata dalla Brico S.A. il 26 giugno 1997. Gli oneri processuali e le spese ripetibili seguono la soccombenza (art. 156 cpv. 1 e art. 159 cpv. 1 e 2 OG).
Per questi motivi,
i l T r i b u n a l e f e d e r a l e
p r o n u n c i a :
1. Il ricorso per riforma è accolto. La sentenza impugnata è annullata e la petizione introdotta il 26 giugno 1997 dalla Brico S.A. è respinta.
2. La causa è rinviata alla Corte cantonale per nuovo giudizio sulle tasse, spese e ripetibili della procedura cantonale.
3. La tassa di giustizia di fr. 3000.-- è posta a carico dell'attrice, la quale rifonderà alla convenuta fr. 4000.-- per ripetibili della sede federale. 4. Comunicazione ai patrocinatori delle parti e alla II Camera civile del Tribunale d'appello del Cantone Ticino.
Losanna, 11 luglio 2000
VIZ
In nome della I Corte civile
del TRIBUNALE FEDERALE SVIZZERO:
Il Presidente,
La Cancelliera,