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2P.270/2000
II CORTE DI DIRITTO PUBBLICO
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26 gennaio 2001
Composizione della Corte: giudici federali Wurzburger, presidente,
Hartmann e Betschart.
Cancelliere: Cassina.
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Visto il ricorso di diritto pubblico inoltrato il 13 novembre 2000 da Franco Verda, Origlio, patrocinato dall' avv. Mario Molo, Bellinzona, contro la decisione emessa il 10 ottobre 2000 dal Consiglio della magistratura del Cantone Ticino, con cui è stata pronunciata la destituzione del ricorrente dalla carica di giudice del Tribunale d'appello del Cantone Ticino per motivi disciplinari;
Ritenuto in fatto :
A.- Il 29 maggio 2000 il Procuratore generale della Confederazione ha comunicato al Direttore del Dipartimento delle istituzioni del Cantone Ticino che, nell'ambito di una domanda di assistenza giudiziaria proveniente dall' Italia e concernente tale Gerardo Cuomo, l'Ufficio federale di polizia e il Ministero pubblico della Confederazione erano venuti a conoscenza di informazioni che fondavano concreti sospetti di comportamenti penalmente rilevanti da parte di rappresentanti della magistratura ticinese. Il 31 maggio 2000 il Consiglio di Stato del Cantone Ticino ha quindi proceduto alla nomina dell'avv. dott. Luciano Giudici quale Procuratore pubblico straordinario incaricato di indagare sulla vicenda. Dopo avere raccolto una serie di informazioni preliminari, il 13 giugno 2000 quest'ultimo ha promosso l'accusa contro il Presidente del Tribunale penale del Cantone Ticino, avv. Franco Verda, per il titolo di violazione del segreto d'ufficio. A seguito di ciò, con decisione del 16 giugno 2000, il Consiglio della magistratura del Cantone Ticino ha avviato nei confronti del giudice Verda un procedimento disciplinare ed ha risolto in via cautelare di sospendere il medesimo dalle sue funzioni, senza tuttavia privarlo dell'onorario, giusta quanto previsto dall'art 84 cpv. 1 della legge organica giudiziaria civile e penale del Cantone Ticino, del 24 novembre 1910 (LOG).
B.- Il 4 agosto 2000 il Procuratore pubblico straordinario ha esteso l'accusa nei confronti del giudice Verda ai reati di corruzione passiva, istigazione a violazione del segreto d'ufficio e favoreggiamento ed ha disposto l' arresto del magistrato. Riunitosi il 9 agosto successivo, il Consiglio della magistratura ha preso atto di questi nuovi eventi, decidendo di attendere gli sviluppi dell'indagine prima di adottare ulteriori provvedimenti sul piano disciplinare. Dopo avere acquisito agli atti i documenti relativi all'inchiesta penale trasmessigli dal Procuratore pubblico straordinario, il 22 agosto 2000 detto Consiglio ha comunicato al giudice Verda che, alla luce di quanto emergeva da tale documentazione, era da prevedersi l'adozione nei suoi confronti di un provvedimento disciplinare.
Il magistrato è quindi stato invitato a prendere posizione in proposito. Mediante due scritti del 15 e del 29 settembre 2000, quest'ultimo ha potuto determinarsi sulla questione, contestando la conformità del procedimento in atto con l'art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, del 4 novembre 1950 (CEDU; RS 0.101), nonché chiedendo, in via principale, la sospensione dello stesso sino all'emanazione della sentenza penale e, in via subordinata, l'assunzione da parte del Consiglio della magistratura di ulteriori prove.
Nel frattempo, il 24 agosto 2000 il giudice Verda era stato posto in stato di libertà provvisoria e il 12 settembre il Consiglio della magistratura aveva deciso di affiancare al provvedimento cautelare della sospensione dalla carica quello della privazione integrale dell'onorario a far tempo dal 1° settembre 2000, così come previsto dall'art. 84 cpv. 2 LOG.
C.- Il 10 ottobre 2000 il Consiglio della magistratura ha pronunciato, in applicazione dell'art. 81 cpv. 1 lett. d e cpv. 2 LOG, la destituzione di Franco Verda dalla carica di giudice del Tribunale d'appello del Cantone Ticino con effetto al 18 giugno 2000 e la sua ineleggibilità a qualsiasi carica giudiziaria. L'autorità cantonale ha in sostanza ritenuto che questi, nella sua veste di Presidente del Tribunale penale cantonale, aveva profittato di una procedura di confisca di sua competenza per cercare di ottenere un illecito vantaggio pecuniario, evidenziando così un comportamento contrario alla dignità della carica ricoperta.
D.- Il 13 novembre 2000 Franco Verda ha inoltrato davanti al Tribunale federale un ricorso di diritto pubblico con il quale chiede l'annullamento di detta decisione cantonale. Lamenta la violazione degli art. 8, 9, 29, 30, 32 cpv. 1 e 49 cpv. 1 Cost. , dell'art. 14 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, del 16 dicembre 1966 (Patto ONU II; RS 0.103. 2), nonché degli art. 6 e 13 CEDU .
Chiamato ad esprimersi il Consiglio della magistratura ha postulato la reiezione del gravame, adducendo una serie di argomenti di cui si dirà, per quanto necessario, in seguito.
E.- Con decreto del 12 dicembre 2000, il Presidente della II Corte di diritto pubblico del Tribunale federale ha parzialmente accolto l'istanza di conferimento dell' effetto sospensivo contenuta nel gravame, nel senso che fino all'evasione del citato ricorso di diritto pubblico a Franco Verda non potrà essere chiesta la restituzione degli onorari percepiti durante il procedimento disciplinare cantonale.
Per il resto la domanda è stata respinta.
Considerando in diritto :
1.- a) L'atto impugnato è una decisione finale di ultima istanza cantonale (art. 88 cpv. 3 LOG; art. 86 cpv. 2 e 87 OG ) che colpisce in maniera diretta il ricorrente nei suoi interessi giuridicamente protetti (art. 88 OG). Il gravame, tempestivo (art. 89 cpv. 1 OG), è, quindi, di principio, ammissibile (art. 84 cpv. 1 OG).
b) Giusta l'art. 90 cpv. 1 OG, l'atto di ricorso deve soddisfare rigorosamente determinati requisiti di forma:
oltre alla designazione del decreto o della decisione impugnata (lett. a), esso deve contenere le conclusioni del ricorrente, l'esposizione dei fatti essenziali e quella concisa dei diritti costituzionali o della norma giuridica che si pretendono violati, specificando in che cosa consista tale violazione (lett. b). Nell'ambito di questo rimedio il Tribunale federale statuisce unicamente sulle censure sollevate dal ricorrente, alla condizione che esse siano sufficientemente sostanziate (DTF 125 II 492 consid. 1b, 117 Ia 393 consid. 1c, 412 consid. 1c e rinvii). È dunque alla luce di questi principi che dev'essere esaminato il presente gravame.
2.- a) Il ricorrente censura in primo luogo l'incostituzionalità della procedura di destituzione alla quale è stato sottoposto. Afferma che la stessa sarebbe lesiva del diritto, valido per ogni cittadino, di far giudicare da un tribunale la sua causa. A tale proposito sostiene che il Consiglio della magistratura, unica istanza ad essersi pronunciata a livello cantonale sul provvedimento litigioso, non è un'autorità giudiziaria ma un organismo corporativo, ragione per la quale detta garanzia non sarebbe stata nell' occasione rispettata. Il fatto poi che le risoluzioni adottate da detto Consiglio siano dichiarate definitive dalla legge pone le stesse in contrasto con il diritto di poter effettivamente ricorrere contro una decisione. Lamenta dunque la violazione degli art. 6 n. 1 CEDU, 29 e 30 Cost.
Aggiunge poi che non vi sarebbe nessuna valida ragione per non concedere anche ai magistrati ticinesi il doppio grado di giurisdizione ricorsuale che la legge garantisce ad ogni dipendente, privato o pubblico che sia, in caso di licenziamento.
Ravvisa in questa carenza una disattenzione del principio della parità di trattamento, di cui all'art. 8 Cost. Nel suo allegato ricorsuale, l'insorgente fa inoltre riferimento all'art. 13 CEDU, senza tuttavia sviluppare su questo punto delle censure rispettose dei criteri formali previsti dall'art. 90 cpv. 1 lett. b OG.
b) L'art. 6 n. 1 CEDU garantisce ad ogni persona il diritto ad un'equa e pubblica udienza davanti ad un tribunale indipendente ed imparziale costituito per legge, al fine sia della determinazione dei suoi diritti e dei suoi doveri di carattere civile, sia della fondatezza di ogni accusa penale che gli viene rivolta. Il ricorrente adduce che i rimproveri rivoltigli dall'autorità di vigilanza sarebbero essenzialmente di natura penale, motivo per cui le garanzie sancite da detta disposizione troverebbero applicazione al caso concreto. Sostiene poi che alla decisione litigiosa deve pure essere attribuito carattere civile, in virtù delle conseguenze che la stessa esplica nei suoi confronti sia sul piano salariale (restituzione degli onorari percepiti dopo l'apertura - avvenuta il 18 giugno 2000 - del procedimento disciplinare) che su quello pensionistico (versamento della sola prestazione di libero passaggio, in luogo della rendita di pensione che sarebbe maturata il 16 gennaio 2001, al compimento del suo sessantesimo anno d'età).
aa) La nozione di "contestazione di carattere civile", contemplata dall'art. 6 n. 1 CEDU, va interpretata in modo autonomo e non semplicemente nel senso inteso dal diritto interno dello Stato interessato: essa non include soltanto le cause di diritto civile in senso stretto, ma anche gli atti amministrativi emanati da un'autorità nell' esercizio del potere pubblico, purché gli stessi abbiano degli effetti determinanti su diritti e doveri di carattere civile (DTF 122 II 464 consid. 3b, 121 I 30 consid. 5c, 119 Ia 88 consid. 3b e relativi rinvii). Per prassi costante le vertenze concernenti il reclutamento, la carriera e lo scioglimento del rapporto di servizio di un pubblico funzionario non sono delle controversie di carattere civile ai sensi della citata disposizione convenzionale (DTF 126 I 33 consid. 2b con il rinvio ad alcune decisioni rese dalla Corte europea dei diritti dell'uomo). Sono tuttavia date delle eccezioni a questo principio nei casi in cui l'oggetto della lite verte sulla rivendicazione di un diritto puramente patrimoniale (DTF 126 I 33 consid. 2b, 125 I 313 consid. 4 con relativi rinvii). Nella sua più recente giurisprudenza, la Corte europea dei diritti dell'uomo tende tuttavia a sostituire il criterio patrimoniale con un cosiddetto criterio "funzionale", che tiene conto della vera natura dell'attività esercitata dall'agente pubblico, indipendentemente dalla qualifica, secondo il diritto interno, del rapporto giuridico che lega quest'ultimo allo Stato.
Pertanto le contestazioni che traggono la loro origine dalla partecipazione di un agente all'esercizio del potere pubblico non sono assoggettate all'art. 6 CEDU. Per contro tale norma si applica laddove, ad esempio, la lite verte su questioni pensionistiche, dal momento che, una volta posto in quiescenza, il dipendente pubblico non è più legato allo Stato da nessun particolare vincolo di fedeltà e la contestazione assume quindi carattere puramente patrimoniale (DTF 126 I 33 consid. 2b con riferimenti). Nel caso di specie, qualunque sia il criterio applicato, il ricorrente non può invocare l'esistenza di una controversia di carattere civile. Contrariamente a quanto asserito nell'impugnativa, egli, nella sua qualità di giudice del Tribunale d'appello del Cantone Ticino, esercitava infatti un'importante funzione istituzionale, implicante, a non averne dubbio, una sua partecipazione diretta all'esercizio del potere pubblico.
Occorre poi considerare che le questioni salariali e pensionistiche evocate nel gravame sono accessorie all'oggetto della vertenza, che tocca esclusivamente il problema dell'interruzione prematura del rapporto di servizio per motivi disciplinari, ragione per la quale si tratta di aspetti che non bastano da soli a conferire alla fattispecie carattere civile ai sensi della disposizione convenzionale in esame. Il ricorrente tenta di dimostrare il buon fondamento della propria tesi, affermando che il Tribunale federale ha già ammesso l'applicabilità dell'art. 6 n. 1 CEDU in alcune vertenze concernenti la sospensione o la revoca dell'autorizzazione all'esercizio del notariato pubblico.
Sennonché la prassi a cui egli fa riferimento concerne unicamente quei casi in cui codesta Corte, esaminando le disposizioni di diritto cantonale concretamente applicabili, ha concluso che l'attività del notaio era organizzata e strutturata alla stregua di una professione liberale, per la quale sono date in generale le garanzie procedurali sancite dalla precitata norma (DTF 123 I 87 consid. 2a; sentenza non pubblicata del 22 novembre 1993 in re W. consid. 2b e c; sentenza non pubblicata del 14 dicembre 1999 in re L. consid. 2c). Cosa questa che, invece, non può mai verificarsi nel caso di un magistrato dell'ordine giudiziario.
Pertanto, anche questo argomento si rivela privo di fondamento.
bb) Resta da esaminare se l'art. 6 n. 1 CEDU possa essere preso in considerazione nella presente fattispecie per quanto attiene alle garanzie da esso contemplate in ambito penale. Di regola, le liti in materia disciplinare non sono considerate come delle contestazioni vertenti su di un'"accusa penale", ai sensi della citata disposizione (Frowein/Peukert, Europäische Menschenrechtskonvention, EMRK-Kommentar, 2a ed., 1996 Kehl/Strasbourg/Arlington, n. 35 ad art. 6). Le autorità di Strasburgo interpretano in modo autonomo tale concetto, fondandosi su tre criteri tra loro alternativi. Innanzitutto esse verificano la qualifica, secondo l'ordinamento giuridico interno, dell'infrazione; in seguito valutano la vera natura della stessa e da ultimo esaminano la sanzione pronunciata, dal profilo dei suoi effetti e della sua severità (DTF 125 I 417 consid. 2, 121 I 379 consid. 3a,; Frowein/Peukert, op. cit. , n. 36 ad art. 6). Nel caso di specie le condizioni per ammettere l' esistenza di un'accusa penale non sono adempiute. La misura litigiosa è stata pronunciata in applicazione dell'art. 81 LOG, il quale concerne - come indicato nella legge - le sanzioni disciplinari che possono essere adottate nei confronti dei magistrati. La stessa non è volta a punire un reato, ma mira a ripristinare il buon funzionamento dell' apparato giudiziario e a ristabilire la fiducia in esso riposta dal pubblico. Il Consiglio della magistratura, al quale la legge delega il compito di pronunciare i provvedimenti contemplati dalla suddetta norma, non è un'autorità a cui compete l'esercizio dell'azione penale, essendo la stessa unicamente investita del potere di disciplinare e di sorvegliare i magistrati e le persone che svolgono funzioni giudiziarie (art. 77 LOG). Inoltre l'infrazione rimproverata al ricorrente, consistente nell'avere adottato un comportamento contrario alla dignità della magistratura, non riveste nessuna connotazione penale. Da ultimo va poi detto che la misura litigiosa, pur essendo la più incisiva prevista dall'art. 81 LOG, non denota quel grado di severità necessario a farla apparire alla stregua di una pena, come potrebbe ad esempio essere il caso per un provvedimento privativo della libertà personale. Per il che, anche da questo punto di vista, la presente vertenza non ricade nel campo d'applicazione della norma convenzionale in parola.
Ciò appare d'altra parte in linea con la prassi degli organi di Strasburgo, che si sono in più occasioni rifiutati di attribuire carattere penale all'atto di destituzione di un agente pubblico per motivi disciplinari (Ruth Herzog, Art. 6 EMRK und kantonale Verwaltungsrechtspflege, tesi, Berna 1995, pag. 66 con numerosi riferimenti giurisprudenziali alla nota n. 134). Il fatto poi che, in base alla legge ticinese, il magistrato rimosso divenga ineleggibile a qualsiasi carica giudiziaria (art. 81 cpv. 2 LOG) non basta a sovvertire tale conclusione. Non si tratta infatti di un provvedimento di ritorsione nei confronti del giudice sanzionato, quanto piuttosto di una misura accessoria alla destituzione, avente pure lei carattere disciplinare. Occorre a tale proposito considerare che, a causa del particolare e delicato ruolo che è chiamato a svolgere, il giudice deve godere sul piano personale della massima fiducia e considerazione da parte dei cittadini e delle altre istituzioni dello Stato: si tratta di sentimenti che ben difficilmente possono essere riposti in un magistrato che già in un'occasione è venuto meno ai propri doveri professionali in modo tanto grave da essere stato allontanato dalla propria funzione.
Da qui la necessità, per il buon funzionamento e la credibilità della giustizia, di impedire che, una volta rimosso per ragioni disciplinari, un ex magistrato possa nuovamente accedere ad una carica giudiziaria.
cc) Visto quanto precede, si deve dunque concludere che la fattispecie in esame non ricade nel campo di applicazione dell'art. 6 n. 1 CEDU. Per il che, non si rende necessario in questa sede stabilire se il Consiglio della magistratura sia o no un tribunale imparziale e indipendente, ai sensi di detta disposizione.
c) Il Tribunale federale ha già avuto modo di precisare che l'art. 30 Cost. non sancisce una garanzia generale della via giudiziaria, limitandosi tale norma ad istituire la facoltà di adire un tribunale laddove ciò è previsto dal diritto internazionale pubblico e, in particolar modo, dall'art. 6 n. 1 CEDU (DTF 126 II 377 consid. 8d/bb; cfr. anche il Messaggio del 20 novembre 1996 concernente la revisione della Costituzione federale, in: FF 1997 171 e seg.). Di conseguenza, nella misura in cui, come appena esposto (consid. 2b), quest'ultima disposizione convenzionale non trova applicazione alla fattispecie concreta, non si può affermare che la mancanza a livello cantonale di un' autorità giudiziaria, competente ad esaminare nel merito il provvedimento di destituzione in oggetto, disattenda l'art. 30 Cost. Occorre poi aggiungere che, contrariamente a quanto asserito nel gravame, la garanzia generale a ricorrere contro una decisione non può essere dedotta nemmeno dall' art. 29 Cost. , che si limita a raccogliere in un'unica disposizione gli aspetti parziali del diniego di giustizia formale concretizzati dalla giurisprudenza del Tribunale federale relativa all'art. 4 della Costituzione federale del 1874 (vCost.), quali il divieto del diniego e della ritardata giustizia, il divieto di formalismo eccessivo, nonché il diritto di essere sentito e il diritto al gratuito patrocinio (cfr. FF 1997 169 e seg.). Certo, in occasione della votazione federale del 12 marzo 2000 il popolo svizzero ha accettato (FF 2000 2656) il Decreto federale dell'8 ottobre 1999 sulla riforma della giustizia (FF 1999 7454), il quale prevede, tra le altre cose, l'introduzione nella Costituzione federale di un nuovo art. 29a, contemplante il diritto per ogni cittadino ad ottenere la decisione di un' autorità giudiziaria nell'ambito di una controversia giuridica.
A prescindere da qualsiasi considerazione in merito alla portata di questa disposizione, è sufficiente in questa sede rilevare come la stessa non fosse in vigore allorquando è stata emanata la decisione impugnata e non lo sia ancora al momento attuale. Di conseguenza, l'insorgente non può ancora prevalersi di un simile diritto. Da ultimo va ancora detto che, per quanto concerne la pretesa disparità di trattamento sul piano procedurale a cui fa riferimento il ricorrente, la situazione dei magistrati giudicanti è palesemente diversa sia da quella degli altri funzionari, i quali non sono investiti di un analogo potere, sia da quella di un qualsiasi dipendente attivo nel settore privato:
in simili circostanze nulla impedisce al Cantone Ticino di prevedere una diversa ripartizione delle competenze concernenti lo scioglimento del rapporto d'impiego, rispettivamente, l'esonero dalla carica (RDAT 1997 II 1 consid. 5c).
Pertanto anche la censura secondo cui, nel caso di specie sarebbe stato disatteso il principio di uguaglianza, di cui all'art. 8 Cost. , dev'essere respinta.
3.- a) Il ricorrente invoca poi la lesione del diritto di essere sentito. A questo proposito rimprovera al Consiglio della magistratura di avere pronunciato la sua destituzione senza prima aver assunto le prove da lui tempestivamente offerte. Censura in particolare il fatto che l'autorità cantonale non ha voluto né attendere i risultati della perizia medica disposta dal Procuratore pubblico straordinario per accertare il suo stato di salute, né sentire i testi che egli aveva indicato nel suo scritto del 29 settembre 2000. Afferma che, così facendo, essa ha tralasciato di acquisire agli atti una serie di elementi determinanti per valutare il suo grado di colpa. Sostiene in effetti che il Consiglio della magistratura non poteva emanare nessuna sanzione disciplinare, senza prima aver stabilito in che misura la grave malattia che lo aveva colpito nella seconda metà del 1998 (cancro alla prostata) avesse influito sulla sua personalità e sui suoi comportamenti.
b) Per costante giurisprudenza il diritto di essere sentito - dedotto dall'art. 29 cpv. 2 Cost. e sul cui rispetto il Tribunale federale si pronuncia con piena cognizione (DTF 121 I 54 consid. 2 con rinvii) - comprende varie facoltà, tra cui quella di fornire prove su fatti rilevanti per il giudizio, di partecipare alla loro assunzione, di prenderne conoscenza e di determinarsi in proposito.
Di massima l'autorità deve quindi assumere le prove offerte tempestivamente e nelle forme previste dal diritto processuale (DTF 119 Ib 492 consid. 5b/bb e riferimenti). Essa può tuttavia rinunciarvi, qualora sia pervenuta ad un convincimento sui fatti rilevanti già in base alle prove assunte, o ritenga, procedendo in maniera non arbitraria ad un apprezzamento anticipato delle prove offerte, che le stesse non porterebbero nuovi chiarimenti (DTF 122 V 157 consid. 1d, 119 Ib 492 consid. 5b/bb e rinvii). Se intende rifiutare le prove offerte, l'autorità deve di principio spiegare i motivi per cui esse risultano inidonee o superflue (sentenza del 21 dicembre 1992, pubblicata parzialmente in: ZBl 94/1993 pag. 316, consid. 2; sentenza del 19 settembre 1989, pubblicata parzialmente in: RDAT 1990 n. 43 consid. 3b).
c) aa) Il Consiglio della magistratura ha motivato il proprio rifiuto di assumere le prove notificate dal ricorrente, asserendo in sostanza che la rilevanza dei fatti da lui commessi intenzionalmente e, in parte, nell'esercizio delle sue funzioni di giudice del Tribunale d'appello e Presidente del Tribunale penale del Cantone Ticino era sufficiente ad evidenziare un grado di colpa tale da non lasciare in alcun modo spazio ad una sanzione meno incisiva di quella pronunciata, nemmeno nel caso in cui tali comportamenti fossero stati fortemente influenzati da una grave alterazione della personalità. Sempre secondo l'autorità di prime cure, con le sue azioni il ricorrente ha in effetti compromesso in modo irreparabile la sua credibilità quale magistrato, mettendo nel contempo a repentaglio la dignità dell'intero apparato giudiziario e l'immagine della giustizia ticinese, per cui si imponeva di procedere tempestivamente al suo allontanamento.
bb) Così come nel diritto penale, anche in ambito disciplinare vige la regola secondo la quale può essere sanzionato soltanto chi ha agito (o omesso d'agire) colpevolmente (Imboden/Rhinow, Schweizerische Verwaltungsrechtsprechung, Basilea 1986, n. 54 B IVc). A questo proposito l'art. 82 LOG prevede che, nella commisurazione della misura, il Consiglio della magistratura deve tenere conto, oltre che della rilevanza del fatto e del comportamento anteriore del magistrato, anche della colpa a lui imputabile.
Si deve tuttavia considerare che, come sottolineato anche dal Consiglio della magistratura, il diritto disciplinare persegue altri scopi rispetto al diritto penale. In particolare per quanto attiene all'amministrazione pubblica, esso mira principalmente a salvaguardarne il buon funzionamento e l'immagine presso il pubblico (Rhinow/Krähenman, Schweizerische Verwaltungsrechtsprechung: Ergänzungsband, Basilea 1990, n. 54 B I). Per questo motivo, i principi generali che reggono il diritto penale non trovano sempre identica applicazione in sede disciplinare. In particolare, allorquando si tratta di valutare la gravità dal punto di vista oggettivo e soggettivo di un'infrazione a determinati doveri di funzione, occorre in primo luogo tenere conto degli effetti che la medesima ha avuto sul corretto funzionamento del settore amministrativo nel quale si è verificata.
Parimenti occorre tenere conto dei fini perseguiti dal diritto disciplinare anche per quanto attiene alla commisurazione del provvedimento da irrogare. La scelta della sanzione deve essere effettuata tenendo conto in primo luogo del fatto che la medesima dovrà principalmente permettere il ripristino dell'ordine e dell'efficienza nel settore pubblico interessato. In simili circostanze, i fattori di attenuazione della pena non hanno il medesimo peso che in ambito penale, né tantomeno è possibile prendere in considerazione in maniera approfondita tutti gli aspetti della personalità del colpevole, come è invece il caso nel diritto penale.
cc) Nel caso di specie, il Consiglio della magistratura - fondandosi integralmente sulla versione dei fatti fornita dallo stesso ricorrente in sede d'inchiesta penale - ha in sostanza potuto accertare che nel mese di febbraio del 1999 egli, nella sua qualità di presidente del Tribunale penale ticinese, aveva ricevuto un'istanza, firmata dal Procuratore generale del Cantone Ticino, avv. Luca Marcellini, per la confisca di circa 3 milioni di franchi svizzeri appartenenti al cittadino italiano Francesco Prudentino e ad alcune società a lui vicine, in quanto ritenuti provento da attività criminale. Dopo una prima presa di contatto informale con il magistrato requirente al fine di valutare se questi fosse disponibile a trovare una soluzione in grado di porre termine, per ragioni di economia processuale, alla procedura in parola tramite una transazione, il 14 giugno 1999 il giudice Verda convocò le parti interessate ad un'udienza. In quell'occasione egli propose la confisca di all'incirca la metà dei beni posti sotto sequestro e la liberazione della quota restante per mancanza di prove sufficienti a dimostrarne l'origine criminosa. Ottenuto l'accordo sia del Procuratore generale che del patrocinatore di Prudentino, la transazione venne quindi trasposta nella sentenza resa il 24 giugno 1999 dallo stesso giudice Verda a conclusione del procedimento di confisca. Sennonché nel frattempo, e più precisamente il 14 maggio 1999, quest'ultimo si era recato insieme alla sua compagna (e ora moglie), Désirée Rinaldi, a Monte Carlo in quanto ospite di Gerardo Cuomo, un pregiudicato italiano con il quale da qualche mese aveva instaurato un rapporto d'amicizia. Qui il giudice Verda parlò al Cuomo del procedimento di confisca in atto nei confronti di Francesco Prudentino, mostrandogli una fotocopia dell'istanza introdotta dal Procuratore generale Marcellini dalla quale risultavano i singoli importi in gioco. Sempre secondo quanto ammesso dal ricorrente, in quell'occasione Cuomo, che era a conoscenza di una pesante posizione debitoria di Désirée Rinaldi, informò il magistrato ticinese - il quale non si oppose - della sua intenzione di prendere contatto con Francesco Prudentino per proporgli di lasciare a disposizione dello stesso Verda, ma per i bisogni della sua compagna, la metà della somma che quest'ultimo avrebbe dissequestrato al termine del procedimento di confisca. Gerardo Cuomo telefonò quindi seduta stante al Prudentino, il quale si dichiarò d'accordo con la proposta che gli venne formulata. Nelle settimane che fecero seguito a questo incontro, l'insorgente tenne aggiornato Gerardo Cuomo in merito all'evoluzione della procedura di confisca in corso. Tuttavia, una volta ottenuto il dissequestro parziale dei beni, Francesco Prudentino non rispettò gli accordi presi e trasferì i propri averi all'estero.
Ora, il fatto che il Consiglio della magistratura si sia rifiutato - nell'ottica di un apprezzamento anticipato delle prove - di dar seguito ai complementi istruttori richiesti dall'insorgente sfugge alle censure formulate nel gravame. A questo proposito occorre considerare che gli avvenimenti sopra descritti nonché le varie risultanze istruttorie agli atti permettono di affermare che, per quanto lo stato di salute del ricorrente abbia potuto influire sulla sua personalità, questi ha comunque evidenziato durante le varie fasi della vicenda un comportamento tutto sommato coerente e razionale, che non permette di prendere in seria considerazione l'ipotesi secondo la quale egli era divenuto completamente incapace di comprendere l' effettiva portata dei propri atti. Tutt'al più si potrebbe ipotizzare che l'insorgente abbia agito in uno stato di scemata responsabilità, a causa della malattia che proprio nella primavera del 1999 aveva ripreso a manifestarsi. Ma anche in questo caso ben difficilmente il Consiglio della magistratura sarebbe potuto pervenire ad una conclusione diversa da quella qui in discussione. Si deve infatti considerare che dal profilo deontologico le infrazioni commesse dal ricorrente risultano estremamente gravi. È in effetti del tutto inammissibile, nonché contrario ai più elementari doveri di funzione, che un alto magistrato dell'ordine giudiziario si rechi all'estero con dei documenti inerenti ad un procedimento penale di sua competenza, mostri gli stessi a delle persone del tutto estranee alla causa e accetti, almeno per atti concludenti, di far beneficiare la propria compagna di determinati vantaggi pecuniari direttamente legati all'esito della lite su cui dovrà pronunciarsi.
Ed è ancora inaccettabile che lo stesso magistrato giudicante comunichi informazioni in merito agli sviluppi di un processo in atto sempre a persone estranee al medesimo, sapendo oltretutto che queste sono in contatto con una delle parti attive nel procedimento. Ora, un simile modo d' agire appare a tal punto lesivo della dignità del magistrato che, sul piano delle responsabilità disciplinari, nulla muterebbe nella sostanza quand'anche si volessero riconoscere al ricorrente delle attenuanti per quanto riguarda la sua colpevolezza. Se ne deve dunque dedurre che è senza incorrere in nessuna forma di arbitrio che l'autorità cantonale ha ritenuto ininfluenti per l'esito della procedura disciplinare le prove offerte dal ricorrente. Di conseguenza, non sussistono gli estremi per ammettere una lesione del diritto di essere sentito.
4.- Il ricorrente ravvisa poi una violazione del principio della presunzione di innocenza nel fatto che il Consiglio della magistratura non ha atteso la conclusione del procedimento penale prima di adottare le misure di sua competenza.
a) La massima secondo cui ogni persona ha il diritto di essere considerata innocente sino alla prova della sua colpevolezza è sancita dall'art. 6 n. 2 CEDU e dall' art. 14 cpv. 2 Patto ONU II, per quanto attiene al diritto internazionale, come pure dall'art. 32 cpv. 1 Cost. per ciò che concerne invece il diritto interno svizzero.
b) aa) A questo proposito il Tribunale federale ha già avuto modo di considerare che la garanzia sancita dall' art. 6 n. 2 CEDU è unicamente valida nei casi in cui - a differenza di quello qui in esame (cfr. consid. 2b/bb) - è in discussione un'accusa penale ai sensi dell'art. 6 n. 1 CEDU (sentenza non pubblicata del 18 dicembre 1995 in re S., consid. 6a). Per il che, il ricorrente non può appellarsi alla citata disposizione.
bb) La medesima conclusione dev'essere in linea di massima considerata valida anche per l'art. 14 cpv. 2 Patto ONU II, il quale trova applicazione soltanto nei casi in cui si tratta di giudicare un "individuo accusato di un reato".
La dottrina tende infatti ad interpretare quest'ultimo concetto facendo essenzialmente capo ai medesimi criteri sviluppati dalla Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo per accertare l'esistenza o meno di un "accusa penale" ai sensi dell'art. 6 n. 1 CEDU (Esther Tophinke, Das Grundrecht der Unschuldvermutung, tesi, Berna 2000, pag. 158-159 con riferimenti). A prescindere da queste considerazioni, occorre comunque rilevare che in ogni caso su questo specifico punto il gravame difetta della necessaria motivazione richiesta dall'art. 90 cpv. 1 lett. b OG e andrebbe quindi dichiarato inammissibile.
cc) Resta dunque da valutare se il ricorrente possa appellarsi al già citato art. 32 cpv. 1 Cost. , il quale si rifà nei suoi contenuti ad alcuni principi che la prassi aveva già dedotto dall'art. 4 vCost (cfr. FF 1997 174-175).
Come emerge anche dalla marginale a tale norma, la massima in parola concerne i procedimenti penali. Vigente ancora la vecchia Costituzione federale del 1874, il Tribunale federale aveva lasciato aperto il quesito di sapere se detto principio fosse valido anche in materia disciplinare (sentenza non pubblicata del 18 dicembre 1995 in re S. consid. 6b). Anche nel caso di specie tale questione può rimanere indecisa dal momento che, comunque sia, il principio della presunzione di innocenza non risulta essere stato violato.
A questo proposito va infatti rilevato che, contrariamente a quanto sostenuto nel gravame, il Consiglio della magistratura non ha mai accusato il ricorrente di corruzione passiva o di violazione del segreto d'ufficio, ma si è limitato a considerare come gravemente incompatibile con la carica da lui ricoperta il suo comportamento in relazione alla procedura di confisca dei beni appartenenti a Francesco Prudentino e ad alcune società controllate da quest'ultimo.
L'autorità di sorveglianza non ha fatto altro che fondarsi sulle inequivocabili ammissioni fatte dall'insorgente, senza tener conto delle altre prove raccolte dal Procuratore pubblico straordinario, né esprimere un giudizio in merito alla rilevanza penale dei suoi atti. Ritenendo tuttavia che gli stessi dessero adito ad una serie di rimproveri sul piano disciplinare, è senza incorrere in nessuna violazione della presunzione di innocenza che essa non ha atteso la conclusione del procedimento penale per pronunciare la decisione qui impugnata. D'altra parte occorre ancora osservare che, in considerazione dei diversi scopi perseguiti, il provvedimento litigioso non ha alcun influsso sull'esito del procedimento penale ancora in corso, ragione per la quale anche da questo punto di vista la censura in esame dev'essere respinta.
5.- Il ricorrente lamenta inoltre la violazione del principio della forza derogatoria del diritto federale, sancito dall'art. 49 cpv. 1 Cost. (e non dagli art. 42 cpv. 1 e 191 Cost. , come indicato nel gravame). Sostiene in sostanza che, nella misura in cui l'art. 51 CP già stabilisce che il membro di un'autorità dimostratosi indegno di fiducia per aver commesso un crimine o un delitto deve essere dichiarato incapace di essere membro di un'autorità per un periodo da 2 a 10 anni, il Consiglio della magistratura non dispone di alcun margine per dichiarare quel medesimo soggetto ineleggibile a qualsiasi carica giudiziaria in virtù del diritto cantonale e, segnatamente, dell'art. 81 cpv. 2 LOG.
a) Il diritto federale ha il completo ed immediato sopravvento sul diritto cantonale in quelle materie per le quali la Costituzione federale o un decreto federale urgente prevedono la competenza della Confederazione (49 cpv. 1 Cost). In virtù di questo principio, è dunque fatto divieto ai Cantoni di legiferare in ambiti che sono già stati disciplinati in modo esaustivo dalla Confederazione, di eludere il diritto federale o, infine, di contraddirne il senso o lo spirito (DTF 118 Ia 299 consid. 3a con rinvii, riferito ancora all'art. 2 Disp. trans. vCost.). È evidente tuttavia che il diritto federale può prevalere sul diritto cantonale soltanto se le due normative poste a confronto riguardano lo stesso campo e tendono a salvaguardare lo stesso interesse collettivo. Per decidere se il principio in parola sia stato disatteso, occorre stabilire la portata rispettiva delle disposizioni federali e cantonali che secondo il ricorrente si affrontano e si contrastano nella fattispecie concreta. Il Tribunale federale esamina liberamente la conformità di una norma di diritto cantonale con il diritto federale, allorquando è chiamato a pronunciarsi in merito ad una simile questione nell'ambito dell'esame della pretesa violazione dell'art. 49 cpv. 1 Cost. (DTF 123 I 313 consid. 2b, 122 I 18 consid. 2b/aa e rinvii, entrambe ancora riferite all'art. 2 Disp. trans. vCost.).
b) La dichiarazione d'incapacità all'esercizio di una funzione, prevista dall'art. 51 CP, è, a non averne dubbio, una pena accessoria che può essere inflitta solo congiuntamente ad una pena principale. È dunque necessario che vi sia una condanna penale, e per di più che la stessa sia stata pronunciata in seguito ad un crimine o ad un delitto.
Inoltre il giudice penale deve reputare che, commettendo il reato, l'accusato si sia dimostrato indegno di fiducia. La norma in parola persegue la difesa della comunità contro atti antisociali e persone pericolose: di natura repressiva, essa si distingue chiaramente dal provvedimento disciplinare dell'ineleggibilità, previsto dall'art. 81 cpv. 2 LOG, il quale ha uno scopo anche preventivo. Le due misure non possono dunque essere confuse tra loro e trovano applicazione l'una indipendentemente dall'altra (Logoz/Sandoz, Commentaire du Code pénal suisse, 2a ed., Neuchâtel 1976, ad art. 51 n. 1). In effetti occorre considerare che il giudice penale esamina se il reo possa o debba essere colpito dalla pena accessoria in questione, mentre che l'autorità disciplinare è tenuta a valutare se il funzionario o il magistrato mostrino una tale dimenticanza dei rispettivi doveri professionali da dover essere interdetti dall'esercizio della funzione. Pertanto se il primo guarda essenzialmente al passato, la seconda si rivolge al futuro. Benché le due sanzioni siano simili, i campi da cui le stesse sgorgano sono molto diversi, come pure le loro giustificazioni. Inoltre la loro portata differisce in modo notevole: mentre quella prevista dall'art. 81 cpv. 2 LOG è una misura di carattere amministrativo circoscritta all' esercizio di una carica giudiziaria nel Cantone in cui è stata pronunciata, la pena accessoria dell'art. 51 CP è una vera e propria sanzione penale, generalmente valida e iscritta nel casellario giudiziale, giusta quanto previsto dall'art. 62 CP (per quanto appena esposto cfr. Emilio Catenazzi, Considerazioni sull'art. 51 e l'art. 58 del codice penale, in: RDAT 1978 pag. 244-245). Per tutti questi motivi, né il provvedimento litigioso né la norma cantonale sulla quale lo stesso si basa risultano lesivi dell'art. 49 cpv. 1 Cost.
6.- Da ultimo l'insorgente lamenta l'arbitrarietà del provvedimento di destituzione. Sostiene che lo stesso è del tutto sproporzionato in quanto non tiene conto né dell' effettivo grado di colpa, né del suo impeccabile stato di servizio, né tantomeno dell'oggettiva gravità delle infrazioni che gli sono state rimproverate. Afferma inoltre che l'art. 81 LOG limita in modo arbitrario le possibilità di commisurazione della sanzione disciplinare, dal momento che la misura più incisiva della destituzione è preceduta solo dalla possibilità di sospendere il magistrato per un periodo massimo di tre mesi.
a) Per prassi costante, l'arbitrio non può essere ravvisato già nella circostanza che un'altra soluzione, diversa da quella adottata dall'autorità cantonale, sia immaginabile o addirittura preferibile. Il Tribunale federale si scosta da quella scelta dalle istanze cantonali soltanto se la stessa appare manifestamente insostenibile, in contraddizione palese con la situazione effettiva, se viola in modo evidente una norma o un principio giuridico incontestato o se contrasta in modo intollerabile con il sentimento di giustizia e di equità (DTF 122 I 61 consid. 3a, 121 I 113 consid. 3a e rinvii).
b) aa) Nel caso concreto, già si è detto in precedenza di come, con il suo modo d'agire, l'insorgente abbia disatteso in maniera grossolana i propri doveri professionali, arrecando in questo modo un grave danno all'immagine e alla credibilità sua nonché dell'intero apparato giudiziario ticinese (cfr. consid. 3c/cc). Il fatto poi che tali infrazioni si siano verificate in stretta connessione ad un procedimento penale pendente, contribuisce ad acuire la gravità oggettiva delle stesse. Sul piano soggettivo, occorre poi considerare che i rimproveri rivolti al ricorrente dal Consiglio della magistratura concernono una serie di comportamenti intenzionali e non semplicemente colposi.
Contrariamente a quanto sostenuto nel gravame, l'autorità disciplinare cantonale non ha mancato di tenere conto del fatto che il ricorrente ha alle sue spalle quasi trent'anni di onorata e stimata carriera quale magistrato. Essa ha però considerato che né questo fattore, né i pretesi disturbi della personalità legati al suo stato di salute, permettessero di adottare nei suoi confronti un provvedimento più mite. Ora, considerato l'ampio margine di apprezzamento di cui dispone il Consiglio della magistratura in ambito disciplinare, occorre dire che una simile conclusione non può essere considerata arbitraria. I poteri e i privilegi del tutto particolari dei quali beneficia un giudice giustificano un certo rigore allorquando si tratta di censurarne il comportamento dal profilo disciplinare (Philippe Abravanel, La déontologie du Juge, in: AJP/PJA 4/1995 pag. 424 in fine). Inoltre, per adempiere i doveri derivantigli dalla sua funzione di persona preposta al mantenimento della pace nei rapporti sociali, il giudice deve poter godere della più ampia fiducia possibile da parte dei suoi potenziali utenti, ossia i cittadini (cfr. Sergio Bianchi, Il giudice e la sua indipendenza, in: RDAT 2000 I 59 e seg. con riferimenti):
qualora con il suo comportamento egli compromette - come è stato nel caso di specie - in modo irrimediabile questa particolare relazione che lo lega alle autorità e al pubblico, la misura della rimozione si avvera come un mezzo senz'altro idoneo e appropriato alla tutela degli interessi della collettività e al ripristino del corretto funzionamento delle istituzioni.
bb) Per quanto attiene poi alle critiche rivolte dal ricorrente avverso la disposizione cantonale su cui si fonda il provvedimento disciplinare litigioso, va detto che le stesse risultano infondate. Occorre in effetti rilevare come il legislatore ticinese abbia appositamente voluto contenere la durata massima della sospensione ad un periodo relativamente breve. Esso ha infatti considerato che, se prolungata nel tempo, la misura in parola potrebbe dar luogo a problemi legati alla nomina di giudici straordinari o a ritardi considerevoli causati dalla giacenza degli incarti (Messaggio del Consiglio di Stato ticinese n. 3947, del 27 maggio 1992, concernente l'istituzione del Consiglio della magistratura, pag. 10). Fondata dunque su motivi oggettivamente seri e pertinenti, la regolamentazione sancita dall'art. 81 cpv. 1 LOG non limita in modo arbitrario le possibilità d'intervento del Consiglio della magistratura a livello disciplinare.
7.- a) Stante tutto quanto precede, nella misura in cui risulta ammissibile, il ricorso deve dunque essere respinto.
b) Visto l'esito del gravame, la tassa di giustizia va posta a carico del ricorrente ( art. 156 cpv. 1, 153 e 153a OG ).
Per questi motivi
il Tribunale federale
pronuncia :
1. Nella misura in cui è ammissibile, il ricorso è respinto.
2. La tassa di giustizia di fr. 3000.-- è posta a carico del ricorrente.
3. Comunicazione al patrocinatore del ricorrente e al Consiglio della magistratura del Cantone Ticino.
Losanna, 26 gennaio 2001 VIZ
In nome della II Corte di diritto pubblico
del TRIBUNALE FEDERALE SVIZZERO:
Il Presidente,
Il Cancelliere,