Tribunale federale
Tribunal federal
{T 0/2}
4P.213/2004 /biz
Sentenza del 18 gennaio 2005
I Corte civile
Composizione
Giudici federali Corboz, presidente,
Klett, Kiss,
cancelliera Gianinazzi.
Parti
A.________,
B.________,
C.________,
ricorrenti,
patrocinate dall'avv. Angelo Jelmini,
contro
D.________,
opponente,
patrocinato dall'avv. Sara Gianoni Pedroni,
II Camera civile del Tribunale d'appello del Cantone Ticino, via Pretorio 16, 6901 Lugano.
Oggetto
art. 9 Cost. (procedura civile; apprezzamento delle prove),
ricorso di diritto pubblico contro la sentenza emanata il 26 luglio 2004 dalla II Camera civile del Tribunale d'appello del Cantone Ticino.
Fatti:
A.
L'8 settembre 1997 è stato dichiarato il fallimento della E.________, con sede a Bellinzona. Nell'ambito della procedura di fallimento sono state ammesse nella III classe della graduatoria, fra le altre, le società A.________, per un credito di fr. 408'797.10, B.________, per un credito di fr. 45'516.70, e C.________, per un credito di fr. 59'366.35.
Avendo l'amministrazione del fallimento rinunciato a procedere giudizialmente nei confronti degli organi della fallita, il 31 maggio 2001 le suddette società hanno convenuto D.________, già vicepresidente del consiglio d'amministrazione della E.________, dinanzi alla Pretura del Distretto di Bellinzona con un'azione di responsabilità fondata sull'art. 754 CO, onde ottenere il pagamento di fr. 150'000.--, oltre interessi. La petizione è stata integralmente respinta il 28 aprile 2003. Pur ammettendo la violazione degli obblighi sanciti dall'art. 716a cpv. 1 n. 7 e dall'art. 725 CO, il Pretore ha infatti stabilito che le società non avevano dimostrato l'esistenza di un nesso causale adeguato tra il danno da esse asserito ed il comportamento dell'amministratore, la cifra di fr. 150'000.-- non essendo stata per nulla messa in relazione né temporale né quantitativa con l'agire di quest'ultimo.
B.
L'appello interposto dalle soccombenti contro la pronunzia pretorile è stato respinto dalla II Camera civile del Tribunale d'appello del Cantone Ticino il 26 luglio 2004.
C.
Rimproverando alla Corte cantonale la violazione del divieto dell'arbitrio nell'apprezzamento delle prove e nell'accertamento dei fatti (art. 9 Cost.), il 14 settembre 2004 le tre società sono insorte dinanzi al Tribunale federale con un ricorso di diritto pubblico volto all'annullamento della predetta sentenza e al rinvio degli atti al Tribunale d'appello per nuovo giudizio.
Nelle osservazioni del 12 novembre 2004 D.________ ha proposto l'integrale reiezione del gravame mentre l'autorità cantonale ha rinunciato a presentare osservazioni.
Diritto:
1.
A prescindere da eccezioni che non si avverano in concreto, il ricorso di diritto pubblico per violazione dell'art. 9 Cost. ha natura meramente cassatoria (DTF 129 I 129 consid. 1.2.1 pag. 131 seg. con rinvii). Le ricorrenti potevano quindi chiedere solamente l'annullamento della sentenza impugnata. Nella misura in cui postulano il rinvio dell'incarto all'autorità cantonale, senza ulteriori istruzioni, la loro domanda è superflua, poiché con l'annullamento della decisione querelata da parte del Tribunale federale la causa è automaticamente ripristinata davanti a quell'autorità (cfr. DTF 128 I 280 consid. 1.1 non pubblicato, 112 Ia 353 consid. 3c/bb).
2.
Prima di chinarsi sugli argomenti esposti nell'allegato ricorsuale appare utile rammentare il contesto in cui si inserisce la controversia sottoposta all'esame del Tribunale federale.
2.1 I creditori che reputano di essere stati lesi nei loro interessi dagli atti di un organo della società anonima possono procedere giudizialmente contro di esso per ottenere il risarcimento del danno diretto, ovverosia del pregiudizio subito a titolo personale, indipendentemente dal danno della società (DTF 110 II 391 consid. 1). Tale azione presuppone tuttavia che il comportamento imputabile all'organo configuri un atto illecito - suscettibile di dar luogo, nei confronti del creditore procedente, ad una responsabilità ex art. 41 CO - un caso di culpa in contrahendo, oppure ancora ch'esso violi una norma legale del diritto societario intesa all'esclusiva tutela dei creditori (cfr. DTF 128 III 180 consid. 2c pag. 182 seg. con rinvii).
In concreto, le ricorrenti non hanno fondato la loro azione su di un atto illecito o sulla culpa in contrahendo. Esse si sono prevalse unicamente della violazione delle disposizioni legali relative agli obblighi che incombono al consiglio di amministrazione in caso di eccedenza di debiti, segnatamente dell'art. 716a cpv. 1 n. 7 e dell'art. 725 CO. Si tratta di norme che non sono state emanate nel solo interesse dei creditori bensì anche in quello della società medesima, per permetterle l'adozione di eventuali misure di risanamento e, in ogni caso, per evitare un ulteriore aggravamento della sua situazione patrimoniale (DTF 128 III 180 consid. 2c pag. 283 con rinvio).
Ciò significa che in concreto, contrariamente a quanto sembrano voler sostenere in ingresso alla loro impugnativa, le ricorrenti non possono far valere un danno diretto nei confronti dell'opponente.
2.2 Esse risultano in effetti lese in maniera indiretta, a causa dello stato d'insolvenza in cui è venuta a trovarsi la E.________ alla fine del 1995, che ha reso impossibile il pagamento delle fatture da loro emesse nell'anno successivo.
Ora, in caso di fallimento, spetta di principio all'amministrazione del fallimento far valere le pretese degli azionisti e dei creditori della società (art. 757 cpv. 1 CO). Un creditore può promuovere causa solamente sulla scorta di un mandato processuale, vale a dire quale cessionario della massa fallimentare (art. 260 LEF; art. 757 cpv. 2 CO); egli può allora rivendicare il risarcimento del danno cagionato direttamente alla società e indirettamente ai suoi creditori (DTF 128 III 180 consid. 2c pag. 283). Tale eventualità si è realizzata nella fattispecie in esame. Avendo l'amministrazione del fallimento rinunciato ad agire nei confronti degli organi della fallita giusta l'art. 754 CO, le ricorrenti - al beneficio della cessione dei diritti della massa - hanno adito le istanze giudiziarie cantonali onde ottenere la rifusione del pregiudizio sofferto dalla società.
2.3 Giusta l'art. 754 cpv. 1 CO gli amministratori sono responsabili del danno cagionato mediante la violazione, intenzionale o dovuta a negligenza, dei doveri loro incombenti.
In concreto le ricorrenti hanno convenuto in giudizio D.________, già vicepresidente del consiglio d'amministrazione della società fallita, rimproverandogli di aver tenuto un comportamento passivo, non consono ai doveri di un amministratore, e segnatamente di non aver allestito un bilancio ai valori di liquidazione rispettivamente di non essersi rivolto al giudice nonostante fosse chiaro, già a partire dall'esercizio 1995, che la società era sovraindebitata (art. 716a cpv. 1 n. 7 e art. 725 CO ). Per questo motivo hanno preteso da lui il risarcimento del danno patito in relazione alle forniture ordinate dal consiglio di amministrazione della fallita nel 1996, che le ricorrenti hanno regolarmente effettuato e che, non essendo mai state pagate, sono andate ad incrementare in misura corrispondente i passivi della società.
3.
In sede di appello le ricorrenti hanno affermato che l'opponente avrebbe dovuto agire conformemente a quanto prescritto dalle citate norme di legge nei primi mesi del 1996, quando ha preso conoscenza del rapporto di esercizio per il 1995, dal quale emergeva inequivocabile il sovraindebitamento della società.
3.1 La Corte cantonale ha invece stabilito che la conoscenza del rapporto d'esercizio per il 1995 - e, di conseguenza, della situazione fallimentare della società - non può essere fatta risalire all'inizio del 1996.
Il revisore della fallita, fiduciario di professione e dunque cognito del diritto societario, ha infatti dichiarato in sede testimoniale che il bilancio dell'esercizio 1995 era stato presentato in ritardo poiché i conti non erano pronti. Visto che per legge il bilancio deve essere sottoposto all'assemblea generale entro 6 mesi dalla chiusura dell'anno contabile (art. 699 cpv. 2 CO) e deve dunque essere giocoforza allestito prima di tale scadenza, la Corte ticinese ha dedotto dalla dichiarazione del teste che il bilancio 1995 non era stato presentato entro il 30 giugno 1996 bensì - atteso che il rapporto del revisore reca la data del 13 dicembre 1996 e che, come dichiarato sempre dal medesimo teste, qualche giorno prima egli aveva avuto modo di discuterne con gli organi della fallita - tra il luglio e il dicembre 1996. In tali circostanze, hanno proseguito i giudici cantonali, non è possibile stabilire con certezza, né con una certa approssimazione, se ed eventualmente in quale misura il comportamento passivo dell'opponente - che non aveva ritenuto di agire secondo quanto previsto dall'art. 725 CO - possa aver causato il danno vantato dalle società. La responsabilità dell'opponente per il danno derivante dal mancato pagamento delle fatture emesse dalle ricorrenti prima degli inizi di dicembre 1996 è stata pertanto negata.
3.2 Egli non è stato chiamato a rispondere nemmeno per il danno corrispondente alle fatture emesse dopo tale data.
L'istruttoria di causa ha infatti permesso di accertare che l'opponente ha rassegnato le dimissioni da membro del consiglio di amministrazione della fallita il 2 dicembre 1996 e che, stante l'inazione del presidente del consiglio, ha successivamente provveduto ad inoltrarle direttamente al registro di commercio che le ha per finire pubblicate sul FUSC il 23 gennaio 1997. Ciò significa che l'opponente avrebbe potuto eventualmente essere reso responsabile per il periodo che va dall'inizio dicembre 1996 - quando ha preso conoscenza del rapporto di revisione - sino alla metà di quel mese (data alla quale la sua iscrizione a RC sarebbe stata verosimilmente cancellata qualora le sue dimissioni fossero state tempestivamente inoltrate al registro di commercio) rispettivamente al 24 gennaio 1997. Sennonché le società non hanno provato se e in che misura le fatture si riferissero ad ordinazioni avvenute nel periodo in cui la responsabilità era innescata. Ritenuto che tale prova avrebbe potuto venir fornita, ad esempio versando agli atti la documentazione relativa alle ordinazioni, di cui non è pretesa l'inesistenza, i giudici ticinesi hanno escluso la sussistenza dei presupposti per poter applicare l'art. 42 cpv. 2 CO.
3.3 Alla luce di tutto quanto esposto la Corte ticinese ha concluso per la conferma della reiezione integrale della petizione.
4.
A mente delle ricorrenti la decisione di ammettere la responsabilità dell'opponente solo a far tempo dall'inizio dicembre 1996 sarebbe il frutto di un apprezzamento arbitrario del materiale probatorio agli atti.
Per giurisprudenza invalsa, in materia di valutazione delle prove il giudice cantonale del merito fruisce di un ampio margine di apprezzamento (DTF 118 Ia 28 consid. 1b). Il Tribunale federale annulla la sentenza cantonale, per violazione dell'art. 9 Cost., solo se il giudice ha abusato di tale potere e pronunciato una sentenza che appare - e ciò non solo nella sua motivazione ma bensì anche nell'esito - manifestamente insostenibile, in aperto contrasto con la situazione reale, gravemente lesiva di una norma o di un principio giuridico chiaro e indiscusso oppure in contraddizione urtante con il sentimento della giustizia e dell'equità (DTF 129 I 8 consid. 2.1 con rinvii). Incombe alla parte che ricorre, l'onere di dimostrare - con un'argomentazione dettagliata e precisa (art. 90 cpv. 1 lett. b OG) - che l'autorità cantonale ha emanato una decisione arbitraria nel senso appena descritto (DTF 129 I 113 consid. 2.1 pag. 120). Quando, come nel caso in rassegna, viene censurata la valutazione del materiale probatorio, è in particolare necessario dimostrare che il giudice ha manifestamente misconosciuto il senso e la portata di un mezzo di prova, che ha omesso senza valida ragione di tener conto di un elemento di prova importante, suscettibile di modificare l'esito della vertenza, oppure che ha ammesso o negato un fatto ponendosi in aperto contrasto con gli atti di causa o interpretandoli in modo insostenibile (DTF 129 I 8 consid. 2.1).
5.
In concreto le ricorrenti rimproverano innanzitutto al Tribunale d'appello di essere incorso nell'arbitrio accertando, sulla scorta della deposizione testimoniale del revisore, che il bilancio dell'esercizio 1995 non era stato presentato entro il termine del 30 giugno 1996 bensì ad una data rimasta imprecisata tra il luglio ed i primi di dicembre 1996.
La critica finisce qui. Le ricorrenti non spendono infatti una parola per spiegare per quale motivo la valutazione della deposizione contenuta nella sentenza impugnata sarebbe manifestamente insostenibile. Motivato in maniera carente, su questo punto il gravame si avvera d'acchito inammissibile.
6.
La tesi per cui la responsabilità dell'opponente sarebbe stata innescata già all'inizio del 1996, poggia invero su altri argomenti.
6.1 Secondo le ricorrenti, a prescindere dal momento in cui è avvenuta la consegna del rapporto di revisione, l'opponente, vista la sua posizione in seno alla società, conosceva - o avrebbe dovuto conoscere, qualora avesse fatto prova della dovuta diligenza - la situazione finanziaria della società sin dall'inizio del 1996. È stato infatti "accertato e provato" che l'opponente era la persona incaricata dell'allestimento dei bilanci del gruppo F.________, ch'egli era regolarmente in ufficio, che disponeva dei requisiti per operare come revisore della società e conosceva i disposti legali che regolano gli obblighi degli amministratori e le loro responsabilità, in particolare per quanto concerne l'art. 725 CO.
Non solo. Dato che il compito di preparare i bilanci relativi all'esercizio 1995 spettava all'opponente e che è stato proprio il ritardo nel loro allestimento che ha reso impossibile la consegna del rapporto di revisione entro i termini legali, la decisione di negare la sua responsabilità lede gravemente il principio giuridico sancito dall'art. 725 CO, potendo allora un amministratore semplicemente ritardare l'allestimento dei bilanci per poi parare la sua responsabilità dimissionando prima di consegnarli ai revisori. Una simile soluzione sarebbe in contraddizione urtante con il sentimento di giustizia e di equità.
6.2 L'opponente propone di dichiarare inammissibili anche queste censure siccome formulate per la prima volta dinanzi al Tribunale federale.
6.2.1 L'osservazione è pertinente. Contrariamente a quanto asserito nel gravame, le circostanze di fatto evocate dalle ricorrenti non risultano né accertate né provate nella pronunzia impugnata e questo perché - come rilevato dall'opponente - non sono state fatte valere dinanzi all'autorità cantonale. Né le ricorrenti affermano il contrario. Posto che la responsabilità dell'opponente è stata basata unicamente sul fatto ch'egli aveva preso conoscenza del rapporto di revisione all'inizio del 1996 (cfr. appello punto 8 pag. 7), i giudici ticinesi non hanno effettuato accertamenti specifici in merito alla funzione da lui svolta in seno all'azienda né tantomeno in merito ad una sua eventuale responsabilità nel ritardo nella consegna dei documenti necessari all'allestimento del rapporto di revisione. A ragione. Trattandosi di un procedimento retto dal principio attitatorio, incombeva alle parti allegare i fatti dai quali derivavano le loro pretese (da mihi facta, dabo tibi ius; cfr. art. 85 CPC/TI).
6.2.2 Ora, nel quadro del ricorso di diritto pubblico la presentazione di nuove allegazioni, fatti o prove, che non sono stati sottoposti all'autorità cantonale, è di principio vietata. La giurisprudenza ammette eccezionalmente l'adduzione di nuovi argomenti di fatto (e di diritto) nei seguenti casi: qualora si tratti di circostanze la cui rilevanza è emersa per la prima volta nella motivazione della decisione impugnata; qualora si tratti di un aspetto il cui esame si imponeva e del quale l'autorità cantonale avrebbe manifestamente dovuto tenere conto oppure qualora si tratti di argomenti che hanno acquisito importanza solo nel quadro dell'assunzione di prove giusta l'art. 95 OG (cfr. DTF 128 I 354 consid. 6c).
In concreto, le ricorrenti non si prevalgono di una delle eccezioni appena menzionate.
6.3 Ne discende che, presentati per la prima volta dinanzi al Tribunale federale, senza che siano dati i presupposti per derogare, eccezionalmente, al divieto di nova vigente nel ricorso di diritto pubblico, gli argomenti sollevati nel gravame ed esposti al consid. 6.1 non possono essere tenuti in considerazione.
7.
Ciò significa che, in conclusione, il gravame dev'essere dichiarato integralmente inammissibile.
Gli oneri processuali e le ripetibili seguono la soccombenza (art. 156 cpv. 1 e 7 nonché art. 159 cpv. 1, 2 e 5 OG ).
Per questi motivi, il Tribunale federale pronuncia:
1.
Il ricorso è inammissibile.
2.
La tassa di giustizia di fr. 5'000.-- è posta a carico delle ricorrenti, in solido, le quali rifonderanno all'opponente, sempre con vincolo di solidarietà, fr. 6'000.-- per ripetibili della sede federale.
3.
Comunicazione ai patrocinatori delle parti e alla II Camera civile del Tribunale d'appello del Cantone Ticino.
Losanna, 18 gennaio 2005
In nome della I Corte civile
del Tribunale federale svizzero
Il presidente: La cancelliera: