Tribunale federale
Tribunal federal
{T 0/2}
2P.104/2006 /biz
Sentenza del 22 marzo 2007
II Corte di diritto pubblico
Composizione
Giudici federali Merkli, presidente,
Hungerbühler, Wurzburger, Müller e Karlen,
cancelliere Bianchi.
Parti
A.________,
ricorrente, patrocinato dall'avv. Rossana Romanelli Bellomo,
contro
Consiglio di Stato del Cantone Ticino,
Residenza governativa, 6500 Bellinzona.
Oggetto
art. 6 CEDU e 27 Cost. (apertura di uno studio
medico secondario),
ricorso di diritto pubblico contro la decisione
emanata il 14 marzo 2006 dal Consiglio di Stato
del Cantone Ticino.
Fatti:
A.
Specialista FMH in psichiatria e psicoterapia, il dr. med. A.________ è stato ammesso al libero esercizio della professione medica nel Cantone Ticino nel 1996. Dopo alcuni anni di attività presso i servizi psico-sociali dell'organizzazione sociopsichiatrica cantonale, all'inizio di luglio del 2005 ha aperto un proprio studio medico a Mendrisio ed è stato conseguentemente autorizzato ad esercitare a carico dell'assicurazione obbligatoria delle cure medico-sanitarie. Il 16 luglio 2005 egli ha chiesto all'Ufficio di sanità del Dipartimento ticinese della sanità e della socialità di poter aprire uno studio medico secondario a Paradiso, in cui avrebbe operato da uno a quattro pomeriggi alla settimana condividendo una struttura già gestita da alcune colleghe.
B.
Con decisione del 12 ottobre 2005 l'Ufficio di sanità ha respinto l'istanza, per l'assenza di un bisogno effettivo per la popolazione. Su ricorso dell'interessato, il 14 marzo 2006 il Consiglio di Stato ha confermato la pronuncia dipartimentale, rilevando che il requisito del bisogno effettivo era stabilito da una chiara norma legale e che la densità di psichiatri nel Luganese era già superiore alla media svizzera.
C.
Il 18 aprile 2006 A.________ ha interposto un ricorso di diritto pubblico dinanzi al Tribunale federale, con cui chiede di annullare la decisione del Consiglio di Stato e di invitare tale istanza ad autorizzare l'apertura dello studio medico secondario. Lamenta la violazione degli art. 6 CEDU e 27 Cost.
Chiamato ad esprimersi, il Consiglio di Stato si rimette al giudizio del Tribunale federale, senza formulare particolari osservazioni.
Diritto:
1.
1.1 La decisione impugnata è stata pronunciata prima dell'entrata in vigore, il 1° gennaio 2007, della legge federale del 17 giugno 2005 sul Tribunale federale (LTF; RS 173.110; RU 2006 pag. 1069): conformemente all'art. 132 cpv. 1 LTF, alla presente procedura è pertanto ancora applicabile la legge federale del 16 dicembre 1943 sull'organizzazione giudiziaria (OG; RU 1969 pag. 784 segg.).
1.2 Il gravame interposto è fondato sulla pretesa violazione di diritti costituzionali dei cittadini ed è stato esperito tempestivamente da una persona toccata nei suoi interessi giuridicamente protetti dal giudizio contestato. Esso è inoltre diretto contro un giudizio di ultima istanza cantonale. La competenza del Tribunale amministrativo ticinese è infatti di per sé data per clausola enumerativa (cfr. gli art. 55 cpv. 3 e 60 della legge cantonale di procedura per le cause amministrative, del 19 aprile 1966; LPAmm) e nessuna norma cantonale prevede la possibilità di adire tale istanza contro decisioni governative come quella impugnata. In particolare, la legge cantonale del 18 aprile 1989 sulla promozione della salute ed il coordinamento sanitario (Legge sanitaria; LSan) istituisce il ricorso all'autorità menzionata contro il rifiuto e la revoca dell'autorizzazione all'esercizio di una professione sanitaria (art. 59 cpv. 5 LSan), ma non contro il diniego del permesso per la gestione di un ambulatorio secondario (art. 74 LSan). Secondo il diritto cantonale, la decisione contestata è quindi definitiva. In questa misura, l'impugnativa rispetta pertanto le condizioni di ammissibilità poste dagli art. 84 e segg. OG.
1.3 Il ricorso di diritto pubblico ha di principio natura meramente cassatoria e non può quindi tendere che all'annullamento della decisione impugnata (DTF 129 I 129 consid. 1.2.1; 127 II 1 consid. 2c). Un'eccezione è tuttavia data quando il gravame è diretto, come in concreto, contro il rifiuto di un'autorizzazione di polizia. In tal caso il ricorrente può infatti chiedere al Tribunale federale di invitare l'autorità cantonale a rilasciare il permesso negato, se tutte le condizioni risultano adempiute (DTF 124 I 327 consid. 4b/bb; 115 Ia 134 consid. 2c; 114 Ia 209 consid. 1b). La conclusione in questo senso formulata dal ricorrente appare quindi anch'essa ricevibile.
2.
Il ricorrente ravvisa preliminarmente la violazione, in sede cantonale, dell'art. 6 n. 1 CEDU. Egli sostiene infatti che la controversia concerne la determinazione di diritti e doveri di carattere civile ai sensi di tale norma, per cui l'ordinamento ticinese avrebbe dovuto prevedere la facoltà di ricorso ad un'istanza giudiziaria indipendente ed imparziale. Egli aggiunge però anche che tale violazione sarebbe stata sanata nell'ambito della procedura ricorsuale dinanzi al Tribunale federale.
A prescindere dal fatto che quest'ultima argomentazione rende di per sé superfluo ogni esame ulteriore della questione, la censura non potrebbe comunque condurre all'accoglimento del ricorso. In effetti, è vero che le garanzie dell'art. 6 n. 1 CEDU sarebbero applicabili nel caso concreto, in quanto il litigio verte su una limitazione nell'esercizio di un'attività economica privata (DTF 130 I 388 consid. 5.3; 125 I 7 consid. 4a; 123 I 87 consid. 2a; 122 II 464 consid. 3c). Il principio della buona fede impone tuttavia di sollevare le doglianze tratte dall'art. 6 n. 1 CEDU già nell'ambito del procedimento cantonale; in caso contrario si considera che l'interessato abbia rinunciato a prevalersene (DTF 131 I 467 consid. 2.2; 123 I 87 consid. 2b; 120 Ia 19 consid. 2c/bb). La regola vale anche quando quale ultima istanza cantonale si è pronunciata un'autorità non giudiziaria - come il Consiglio di Stato (DTF 121 II 219 consid. 2b) - e viene sostenuto che contro la relativa decisione dev'essere possibile aggravarsi dinanzi ad un'istanza indipendente ed imparziale, ma la legislazione cantonale manifestamente non prevede una simile via di ricorso (DTF 123 I 87 consid. 2d; 120 Ia 19 consid. 2c/bb; sentenza 1P.188/2005 del 14 luglio 2005, in: Pra 2006 n. 25, consid. 2.4). Ora, il ricorrente non ha invocato la disattenzione dell'art. 6 n. 1 CEDU nella propria impugnativa al Consiglio di Stato, né ha d'altro canto tentato di ricorrere ad un'autorità giudiziaria cantonale (cfr. DTF 131 I 467 consid. 2.2). La censura risulterebbe quindi in ogni caso perenta e il gravame, su questo punto, inammissibile.
3.
Il ricorrente adduce inoltre che il rifiuto opposto alla richiesta di poter aprire uno studio medico secondario configura una limitazione della libertà economica non giustificata da preminenti ragioni di interesse pubblico e quindi incostituzionale.
3.1 La libertà economica, garantita dall'art. 27 Cost., protegge ogni attività economica privata esercitata a titolo professionale e volta al conseguimento di un guadagno o di un reddito (DTF 132 I 97 consid. 2.1; 131 I 333 consid. 4). A tale garanzia possono pertanto appellarsi anche gli operatori sanitari, in particolare i medici (DTF 130 I 26 consid. 4.1; 128 I 92 consid. 2a; 118 Ia 175 consid. 1). Quale corollario alla libera scelta della professione, al libero accesso ad un'attività economica privata ed al suo libero esercizio (cfr. art. 27 cpv. 2 Cost.), la norma costituzionale tutela, tra l'altro, anche la libera scelta del luogo di lavoro (DTF 113 V 22 consid. 4d; 100 Ia 169 consid. 3a; sentenza I 750/04 del 5 aprile 2006, in: SVR 2007 IV n. 1, consid. 5.2).
Come tutti i diritti fondamentali, anche la libertà economica non è assoluta, ma può essere soggetta a restrizioni alle condizioni previste dall'art. 36 Cost. Tali restrizioni devono quindi avere una base legale, essere giustificate da un interesse pubblico preponderante o dalla protezione dei diritti fondamentali altrui e rispettare il principio di proporzionalità nonché l'intangibilità, nella sua essenza, del diritto invocato. Inammissibili sono in particolare le misure protezionistiche e di politica economica che intervengono nel gioco della libera concorrenza per favorire certi rami professionali o determinate forme di esercizio di un'attività (DTF 132 I 97 consid. 2.1; 131 I 223 consid. 4.2; 130 II 87 consid. 3; 130 I 26 consid. 4.5).
Quando viene fatta valere la violazione di un diritto fondamentale da parte delle autorità cantonali, il Tribunale federale verifica la sufficienza della base legale soltanto sotto l'angolo ristretto dell'arbitrio. Se però la limitazione del diritto fondamentale è grave, esamina questo aspetto con pieno potere di cognizione (DTF 130 I 360 consid. 14.2; 128 I 19 consid. 4c/bb). Esso verifica in ogni caso liberamente se l'interpretazione di per sé sostenibile del diritto cantonale sia compatibile con la garanzia costituzionale invocata, ovvero se la limitazione rispetta i principi di interesse pubblico e di proporzionalità (DTF 130 I 65 consid. 3.3; 129 I 173 consid. 2.2; 124 I 310 consid. 3b).
3.2 Nelle concrete evenienze, le autorità cantonali hanno respinto la domanda di apertura di uno studio medico secondario fondandosi sull'art. 74 della legge sanitaria ticinese, secondo cui:
"La gestione di ambulatori secondari soggiace all'autorizzazione del Dipartimento ed è concessa quando è accertato un bisogno effettivo per la popolazione. Tali ambulatori possono essere aperti all'utenza solo se il titolare è presente."
3.3
3.3.1 In base alla prassi, l'obbligo di ottenere un'autorizzazione per poter esercitare una determinata professione costituisce una restrizione grave della libertà economica (DTF 125 I 335 consid. 2b; 123 I 212 consid. 3a). Nel caso di specie, controversa non è tuttavia la possibilità di praticare un'attività lavorativa in quanto tale, dato che il ricorrente è pacificamente ammesso al libero esercizio quale medico, bensì una determinata modalità nell'organizzazione di tale attività. Di conseguenza, se il rifiuto del permesso per l'apertura di uno studio secondario limita ovviamente la libera scelta dei medici dal profilo logistico, non è però sicuro che tale misura costituisca una restrizione grave della loro libertà economica (cfr. DTF 113 Ia 38 consid. 3 [non pubbl.]; sentenza 2P.331/1994 del 16 novembre 1995, consid. 2; cfr. anche la casistica riassunta in: Walter Kälin, das Verfahren der staatsrechtlichen Beschwerde, 2a ed., Berna 1994, pag. 182 seg.). Per i motivi indicati di seguito, la questione può comunque rimanere aperta.
3.3.2 È pacifico che il diritto ticinese subordina l'apertura di uno studio medico secondario alla cosiddetta clausola del bisogno (al riguardo, in generale, cfr. Tomas Poledna, Bedürfnis und Bedürfnisklauseln im Wirtschaftsverwaltungsrecht, in: Festgabe zum schweizerischen Juristentag 1994, Zurigo 1994, pag. 511 segg.). L'autorità inferiore ha concretizzato questo principio comparando il coefficiente di densità dei medici psichiatri per il distretto di Lugano, pari a 34,4 ogni 100'000 abitanti, con il dato complessivo a livello nazionale, dove la densità è di 32,4 ogni 100'000 abitanti. In termini assoluti, secondo l'istanza inferiore nel Luganese sarebbero necessari 43 medici specializzati in psichiatria e psicoterapia, mentre ve ne sono già 46. Il ricorrente contesta tuttavia che si possa assumere il dato nazionale come parametro attestante la soglia del bisogno.
3.3.3 Orbene, per sua stessa natura la clausola del bisogno lascia inevitabilmente un certo margine d'apprezzamento alle autorità chiamate ad applicarla, poiché il bisogno da coprire non è in fondo mai definibile mediante criteri oggettivi (DTF 130 I 26 consid. 6.3.1.2; cfr. anche Poledna, op. cit., pag. 512). Nell'applicazione di tale clausola è inoltre lecito fondarsi innanzitutto su criteri d'ordine quantitativo (cfr. DTF 111 Ia 31; sentenza 2P.280/1995 dell'11 marzo 1996, consid. 4a). Come il Tribunale federale ha avuto modo di precisare in relazione alla limitazione del numero di fornitori di prestazioni ammessi ad esercitare a carico dell'assicurazione obbligatoria contro le malattie, non è infine di principio insostenibile ammettere lo status quo quale valore di riferimento che comprova il bisogno esistente (DTF 130 I 26 consid. 6.3.1.1; sentenza 2P.134/2003 del 6 settembre 2004, in: RDAF 2005 I 182, consid. 6.1). Certo, si potrebbe d'altro canto rilevare che la densità di psichiatri sull'insieme del Canton Ticino, di 31,9 ogni 100'000 abitanti, è inferiore alla media nazionale. Discutibile potrebbe pure apparire il metodo di calcolo della presenza medica, basato sulla ripartizione in quattro aree del territorio cantonale. In effetti, al di là del fatto che il ricorrente vorrebbe insediare il proprio studio secondario nell'agglomerato luganese, un'eventuale concentrazione degli studi nei centri urbani non precluderebbe forzatamente l'utilità di un esercizio a tempo parziale dell'attività in una regione periferica. Tutto sommato si può comunque concludere che le autorità inferiori hanno interpretato ed applicato l'art. 74 LSan in maniera pertinente e ragionevole.
3.4
3.4.1 Per quanto concerne l'interesse pubblico alla base della restrizione litigiosa, va premesso che l'assoggettamento dell'esercizio di un'attività professionale ad una clausola del bisogno è, per definizione, in contraddizione con la garanzia della libertà economica. Di per sé, una simile condizione deve quindi essere prevista, perlomeno implicitamente, dalla Costituzione federale o essere fondata su regalie cantonali (cfr. art. 94 cpv. 4 Cost.; DTF 130 I 26 consid. 6.2, con riferimenti dottrinali; cfr. anche DTF 113 Ia 38 consid. 4b). Questo presupposto non sembra invero adempiuto nella fattispecie. Di certo, il Consiglio di Stato non si esprime su questo punto né indica quali finalità di interesse pubblico perseguirebbe l'art. 74 LSan. Nella propria decisione, malgrado le critiche sollevate dall'insorgente già in quella sede, il Governo ticinese si limita infatti a rilevare che tale norma rappresenta una disposizione in vigore e pertanto applicabile a tutti gli effetti.
3.4.2 Anche i materiali legislativi appaiono silenti sugli scopi della disposizione. La clausola del bisogno per l'apertura di uno studio secondario non era prevista in modo generalizzato nella pregressa legge sanitaria ticinese, del 18 novembre 1954 (vLSan; BU/TI 1955 pag. 9), che la limitava all'apertura di gabinetti dentistici secondari (art. 35 vLSan; cfr. anche gli art. 37 e 43 vLSan che istituivano limitazioni per i farmacisti [al riguardo cfr. l'art. 83 cpv. 3 e 4 LSan]). Essa figurava per contro già nel Messaggio governativo concernente l'attuale legge sanitaria, con una formulazione assai restrittiva, ma senza spiegazioni specifiche (Messaggio del Consiglio di Stato n. 3083 del 16 settembre 1986, in: RVGC, sessione primaverile 1989, pag. 233 segg., in part. pag. 307 ad art. 75). Il tenore della norma è poi divenuto l'attuale in sede di esame commissionale, ma anche il relativo rapporto non si sofferma su tale punto (Rapporto della Commissione speciale in materia sanitaria n. 3083R del 9 settembre 1988, in: RVGC, vol. cit., pag. 317 segg., in part. pag. 378 ad art. 74). Il disposto è infine stato adottato dal Gran Consiglio senza suscitare discussioni (RVGC, sessione autunnale 1988, pag. 1380).
3.4.3 Più in generale, la revisione della legge sanitaria, partendo dalla constatazione della crescita costante della densità medica, aveva come obiettivo anche il rafforzamento della protezione degli utenti contro possibili abusi diagnostici o terapeutici (Messaggio cit., pag. 257). L'idea soggiacente è quella dell'esistenza di una correlazione tra il numero di operatori sanitari attivi in un dato territorio e le prestazioni mediche erogate, in termini assoluti, nel medesimo comprensorio. In senso analogo, il Tribunale federale ha d'altronde stabilito che può esservi un interesse pubblico a limitare il numero di medici autorizzati a praticare a carico dell'assicurazione obbligatoria contro le malattie, in quanto è effettivamente verosimile che la densità medica abbia una certa influenza sui costi della salute e quindi sui premi dell'assicurazione contro le malattie (DTF 130 I 26 consid. 6.2; sentenza 2P.134/2003 del 6 settembre 2004, in: RDAF 2005 I 182, consid. 6.3).
3.5
3.5.1 Se quelli appena evocati fossero i motivi d'interesse pubblico perseguiti dal legislatore ticinese, la misura litigiosa risulterebbe invero inidonea a raggiungerli e comunque sproporzionata rispetto alla restrizione della libertà economica imposta al ricorrente (sul principio della proporzionalità e le relative regole, cfr. DTF 131 I 91 consid. 3.3; 130 II 425 consid. 5.2; 129 I 173 consid. 5).
In effetti, a prescindere dal fatto che la questione della limitazione dei medici abilitati ad esercitare a carico dell'assicurazione obbligatoria è di per sé regolata dal diritto federale (DTF 130 I 26 consid. 5.3.2; cfr. l'art. 55a della legge federale sull'assicurazione malattie, del 18 marzo 1994 [LAMal; RS 832.10], e l'ordinanza che vi si fonda, del 3 luglio 2002 [RS 832.103]), il ricorrente è in ogni caso già riconosciuto dalle casse malati, essendo stato ammesso al libero esercizio della professione nel 1996. L'interdizione di aprire uno studio secondario in assenza di bisogno per la popolazione non consente quindi di stabilizzare o diminuire il numero di medici, ma impone loro "soltanto" dei limiti nell'esercizio della professione. Inoltre se è vero che la possibilità di operare in più studi può permettere, entro determinati limiti, di ampliare il bacino di potenziali pazienti, è altrettanto vero che il medico non autorizzato ad esercitare in un gabinetto complementare sarà indotto a dispensare maggiori prestazioni nel suo studio principale. L'inadeguatezza della restrizione prevista dall'art. 74 della legge sanitaria per limitare il numero di operatori sanitari in un determinato territorio è corroborata anche dal fatto che l'apertura di uno studio principale non soggiace al requisito del bisogno (cfr. art. 55 segg. LSan). Nulla impedirebbe pertanto al ricorrente di chiudere il suo studio a Mendrisio per trasferirlo a Lugano. In quest'ottica, la norma litigiosa potrebbe comportare effetti addirittura contrari all'interesse pubblico, favorendo l'insediamento degli studi medici nei centri urbani a scapito delle regioni periferiche ed impedendo l'esercizio di un'attività solo accessoria in queste regioni, dove forse non si giustificherebbe un'apertura su tutto l'arco della settimana (cfr. DTF 113 Ia 38 consid. 4b).
3.5.2 Proprio in quest'ultima sentenza citata, il Tribunale federale ha sancito che un divieto generale di esercitare in più di due gabinetti dentistici non è giustificato da un interesse preponderante alla protezione della salute pubblica e viola il principio della proporzionalità (DTF 113 Ia 38 consid. 4d). La medesima conclusione dev'essere tratta nel caso in esame. L'interesse privato del ricorrente a non dover operare in un solo luogo sul territorio cantonale, salvo bisogno accertato, rappresenta un elemento importante della sua libertà economica e risulta superiore al presunto, eventuale interesse pubblico alla limitazione degli studi medici secondari. La restrizione impostagli si avvera pertanto lesiva dell'art. 27 Cost.
3.5.3 Significativo risulta del resto anche il raffronto intercantonale. In effetti, alcuni Cantoni prevedono espressamente la possibilità di esercitare in più studi e la subordinano unicamente all'obbligo, legittimamente imposto anche dall'art. 74 LSan, di praticare personalmente in ogni studio e quindi di aprire gli stessi solo alternativamente (cfr. l'art. 95 della loi sur la santé publique del Canton Vaud, l'art. 66 della loi de santé del Canton Neuchâtel, l'art. 66 cpv. 2 della loi sur la santé del Canton Vallese, l'art. 33 cpv. 2 della legge sull'igiene pubblica del Cantone dei Grigioni, il § 33 della Gesundheitsgesetz del Canton Lucerna, il § 12 della Ärzteverordnung del Canton Zurigo e il § 4 della Verordnung I zum Gesundheitsgesetz del Canton Zugo). La maggior parte dei Cantoni non sembra invece disciplinare esplicitamente la questione, per cui, in assenza di base legale, non dovrebbero sussistere i presupposti per poter rifiutare una richiesta di apertura di uno studio secondario. Una limitazione a questo proposito è infine stata reperita soltanto in due leggi cantonali, entrambe relativamente datate (cfr. il § 14 della Gesundheitsgesetz del Cantone di Basilea Campagna, del 10 dicembre 1973, che permette l'apertura di un solo studio medico, e l'art. 17 della legge über das Gesundheitswesen del Canton Uri, del 27 settembre 1970, che consente l'apertura di uno studio secondario "sofern dies im Interesse der öffentlichen Gesundheit liegt"). Pure in base a questo esame comparativo la disposizione ticinese appare quindi assai singolare.
4.
4.1 In virtù delle considerazioni che precedono, il ricorso va pertanto accolto. Dal momento che il gravame è rivolto contro un atto d'applicazione concreta di una norma legale cantonale, l'incostituzionalità accertata non comporta l'annullamento dell'art. 74 LSan, peraltro nemmeno chiesto, ma solo della decisione del Consiglio di Stato che vi si fonda (cfr. DTF 132 I 153 consid. 3; 131 I 313 consid. 2.2). Quanto alla richiesta di invitare le autorità cantonali a rilasciare il permesso litigioso, è vero che con l'emanazione del presente giudizio l'impedimento apparentemente principale all'apertura di uno studio secondario viene a cadere. Va tuttavia lasciata alle istanze inferiori l'incombenza di esaminare se la domanda del ricorrente adempie tutte le eventuali ulteriori condizioni poste dalla legislazione cantonale, ad esempio per quanto concerne la presenza personale nell'ambulatorio o l'idoneità della struttura e dei locali destinati all'attività professionale. Oltre all'annullamento del giudizio impugnato, si giustifica quindi di rinviare gli atti al Consiglio di Stato affinché proceda in tal senso, pronunciandosi nuovamente anche sulla ripartizione delle spese e l'eventuale assegnazione di ripetibili per la sede cantonale.
4.2 Visto l'esito del gravame e considerato che lo Stato del Cantone Ticino è intervenuto in causa senza alcun interesse pecuniario, si prescinde dal prelievo delle spese processuali (art. 156 cpv. 2 OG). ll Cantone dovrà tuttavia corrispondere al ricorrente, patrocinato da un'avvocata, un congruo importo a titolo di ripetibili della sede federale ( art. 159 cpv. 1 e 2 OG ).
Per questi motivi, il Tribunale federale pronuncia:
1.
Nella misura in cui è ammissibile, il ricorso è accolto. La decisione impugnata è annullata e gli atti sono rinviati al Consiglio di Stato del Cantone Ticino affinché proceda nel senso dei considerandi.
2.
Non si preleva tassa di giustizia.
3.
Lo Stato del Cantone Ticino rifonderà al ricorrente un'indennità di fr. 2'500.-- a titolo di ripetibili della sede federale.
4.
Comunicazione alla patrocinatrice del ricorrente e al Consiglio di Stato del Cantone Ticino.
Losanna, 22 marzo 2007
In nome della II Corte di diritto pubblico
del Tribunale federale svizzero
Il presidente: Il cancelliere: