Tribunale federale
Tribunal federal
{T 0/2}
1B_47/2007 /biz
Sentenza del 28 giugno 2007
I Corte di diritto pubblico
Composizione
Giudici federali Féraud, presidente,
Reeb, Eusebio,
cancelliere Crameri.
Parti
Avv. A.A.________,
Avv. B.A.________,
ricorrenti,
patrocinati dagli avv.ti Mario Postizzi e Goran Mazzucchelli,
contro
Amministrazione federale delle contribuzioni, Eigerstrasse 65, 3003 Berna,
Tribunale penale federale, I. Corte dei reclami penali, casella postale 2720, 6501 Bellinzona.
Oggetto
richiesta di levata dei sigilli,
ricorso in materia penale contro la sentenza emanata
il 20 febbraio 2007 dalla I. Corte dei reclami penali del Tribunale penale federale.
Fatti:
A.
Il 24 dicembre 2004 l'Amministrazione federale delle contribuzioni (AFC) è stata autorizzata ad aprire un'inchiesta fiscale speciale nei confronti degli avvocati A.A.________ e B.A.________, quest'ultima titolare di uno studio legale e notarile a Lugano. Il legale è sospettato d'aver commesso gravi infrazioni fiscali per aver sottaciuto al fisco federale una parte importante della sua sostanza e dei suoi redditi imponibili, ricorrendo in particolare a conti bancari non dichiarati intestati a società di tipo "off-shore". Il 2/3 febbraio 2005 la Divisione delle inchieste speciali dell'AFC ha perquisito il citato studio legale, sequestrando numerosi documenti cartacei e informatici, posti sotto suggello. L'11 aprile 2005 l'AFC ha presentato alla Corte dei reclami penali del Tribunale penale federale una richiesta di levata dei sigilli sui documenti e sui supporti informatici sequestrati.
B.
Con sentenza dell'8 agosto 2005 la Corte dei reclami penali ha accolto la richiesta di dissuggellamento stabilendo per la cernita, che sarà effettuata dalla Corte medesima, una procedura in tre fasi, confermata il 6 febbraio 2006 dal Tribunale federale nella DTF 132 IV 63. Questa procedura prevede dapprima la separazione dei documenti utili all'inchiesta da quelli che non lo sono, la distinzione in seguito di quelli coperti dal segreto professionale dell'avvocato da quelli che non lo sono e, infine, per i documenti restanti e utili all'inchiesta, a protezione dei clienti, la depennazione o la codificazione, se del caso, dei loro nomi, facendo capo, se necessario, alla collaborazione di un esperto.
C.
L'8 giugno 2006 le parti e il giudice delegato, considerata la voluminosa documentazione sequestrata (126 cartoni), si sono riuniti per definire preliminarmente gli aspetti pratici della levata dei sigilli, prevista su più giorni. Viste le insormontabili divergenze sull'utilità o no della documentazione sotto suggello, il giudice delegato ha comunicato alle parti che il tribunale avrebbe statuito autonomamente su tutti gli incarti sequestrati. Le parti si sono dichiarate d'accordo con questo approccio, rinunciando alla procedura in contraddittorio. In seguito, con decisioni del 14 settembre, 28 settembre e 31 ottobre 2006 la Corte dei reclami penali ha statuito sulla maggior parte della documentazione dissuggellata, decidendo quali incarti erano necessari ai fini dell'inchiesta e quali dovevano essere restituiti, in quanto inutili, ai proprietari.
D.
Con decisione del 20 febbraio 2007, la I. Corte dei reclami penali ha accolto la richiesta di versare agli atti tutti i documenti ancora in sospeso, concernenti la contabilità dello studio legale in discussione. Ha inoltre vietato all'AFC di utilizzare o trasmettere a terzi, per altre procedure, documenti o informazioni concernenti clienti potenzialmente protetti dal segreto professionale senza l'accordo preliminare dei ricorrenti.
E.
Avverso questo giudizio gli avvocati A.A.________ e B.A.________ presentano un ricorso in materia penale al Tribunale federale. Chiedono di annullarlo e di ordinare alla I. Corte dei reclami penali di procedere alla cernita della documentazione secondo quanto previsto nella sentenza dell'8 agosto 2005, garantendo la protezione dei clienti attraverso la cancellazione dei loro nomi o sostituendoli con dei codici.
La I. Corte dei reclami penali, senza formulare particolari osservazioni e riconfermandosi nella decisione impugnata, propone di respingere il gravame, in quanto ammissibile. Nelle sue osservazioni l'AFC conclude per la reiezione dell'impugnativa. Con scritto dell'8 maggio 2007, i ricorrenti, precisato di non sollecitare un ulteriore scambio di scritti e censurati nuovi mezzi di prova prodotti dall'AFC, si confermano nelle loro tesi e conclusioni.
Con decreto presidenziale del 27 marzo 2007 al ricorso è stato conferito effetto sospensivo.
Diritto:
1.
1.1 La decisione impugnata è stata pronunciata dopo l'entrata in vigore, il 1° gennaio 2007 (RU 2006 I 1205), della legge federale sul Tribunale federale del 17 giugno 2005 (LTF; RS 173.110): il ricorso è quindi disciplinato dal nuovo diritto (art. 132 cpv. 1 LTF).
1.2 Presentato dagli imputati, le cui conclusioni sono state disattese (art. 81 cpv. 1 lett. b n. 1 LTF), contro una decisione resa dalla I. Corte dei reclami penali del Tribunale penale federale in materia di provvedimenti coattivi (art. 79 LTF; cfr. DTF 131 I 52 consid. 1.2.2; 130 II 302 consid. 3.1), il ricorso in materia penale (art. 78 cpv. 1 LTF), tempestivo (art. 100 cpv. 1 LTF), è di massima ammissibile.
1.3 Il ricorso può essere presentato per violazione del diritto, conformemente a quanto stabilito dagli art. 95 e 96 LTF . Il Tribunale federale applica d'ufficio il diritto (art. 106 cpv. 1 LTF). Secondo l' art. 42 cpv. 1 e 2 LTF , il ricorso dev'essere motivato in modo sufficiente. Il Tribunale federale esamina in linea di principio solo le censure sollevate; esso non è tenuto a vagliare, come lo farebbe un'autorità di prima istanza, tutte le questioni giuridiche che si pongono, se queste ultime non sono presentate nella sede federale.
2.
2.1 Nella decisione impugnata è stato rilevato che, come precisato nella precedente sentenza del 14 settembre 2006, la Corte dei reclami penali ha esaminato in maniera esaustiva tutti gli incarti sequestrati e visionato i supporti informatici dello studio legale, conformemente alla citata procedura in tre fasi, versando agli atti la documentazione utile all'inchiesta e non coperta dal segreto professionale dell'avvocato e restituendo ai ricorrenti gli incarti non pertinenti per le indagini. Gli atti restanti, ossia quelli potenzialmente soggetti al segreto professionale, sono stati oggetto delle decisioni del 28 settembre e del 31 ottobre 2006, ad eccezione di gran parte della contabilità dello studio legale tema del giudizio impugnato. Constatate asserite difficoltà oggettive legate alla cernita di questi atti, l'AFC, invitata a esprimersi al riguardo, ha chiesto che tutta la documentazione contabile restante sia messa agli atti.
2.2 La I. Corte dei reclami penali, affermato che l'anonimizzazione di tutti gli atti rimanenti imporrebbe un lavoro considerevole e di dubbia proporzionalità, ritiene che, nella fattispecie, le sarebbe impossibile, come anche per un eventuale esperto, distinguere i clienti protetti dal segreto professionale dell'avvocato da quelli che non lo sono. Si tratterrebbe, secondo l'istanza precedente, di un impedimento oggettivo all'anonimizzazione degli incarti restanti. Essa aggiunge che la confusione tra l'attività tipica di avvocato e quella di fiduciario commercialista non permetterebbe ai ricorrenti di appellarsi al segreto professionale dell'avvocato e che nella fattispecie i ricorrenti, sebbene invitati a farlo, non hanno neppure cercato di stilare una lista dei loro clienti non commerciali. L'istanza precedente, ritenuto che gli incarti litigiosi non sarebbero manifestamente inutili all'inchiesta, ciò che non sarebbe d'altra parte contestato dai ricorrenti, li ha versati agli atti in forma non anonimizzata.
2.3 I ricorrenti fondano la legittimazione a ricorrere sulla loro qualità di imputati e sul fatto che la ricorrente è titolare dello studio legale colpito dal sequestro. Certo, questo rilievo è esatto riguardo ai requisiti posti dall'art. 81 cpv. 1 lett. b n. 1 LTF. Diversa è tuttavia la questione della loro facoltà a prevalersi del segreto professionale, non opponibile riguardo a informazioni connesse ad attività dove prevale il carattere commerciale o quando l'avvocato stesso sia imputato. Quest'ultima fattispecie è adempiuta nei confronti del ricorrente, come già rilevato nella sentenza del 6 febbraio 2006 (consid. 2.4, 3.2.1, 3.2.3 e 3.3.2), mentre non era chiaro se ciò fosse il caso anche nei confronti della ricorrente (consid. 3.3.1). Mal si comprende del resto perché, nel frattempo, la posizione processuale della ricorrente e di conseguenza l'opponibilità da parte sua del segreto professionale, non sia stata chiarita.
3.
3.1 Essi fanno valere la violazione degli art. 45, 46 e 50 DPA , 9 13 e 29 Cost. e 6 e 8 CEDU, senza poi precisare meglio le asserite violazioni delle invocate norme, e censurano, parzialmente, l'accertamento dei fatti rilevanti, ritenendolo manifestamente inesatto. Essi adducono che il gravame è determinato dalla volontà di tutelare la clientela degli studi legali e, su un piano generale, di salvaguardare la fiducia nella categoria professionale dell'avvocato.
I ricorrenti rilevano in particolare che nell'ambito dell'udienza di levata dei sigilli del 27 luglio 2006 è stata offerta la possibilità alla ricorrente di presentare alla Corte dei reclami penali un elenco degli incarti che riteneva soggetti al segreto professionale. Al suo dire, problemi di salute del ricorrente le avrebbero impedito di concretare tale opportunità, pur manifestando la disponibilità a rispondere, ove la Corte lo avesse richiesto, a eventuali domande inerenti determinati incarti. Ella sostiene che l'istanza precedente ha poi proceduto in modo autonomo alla cernita, secondo la citata procedura in tre fasi, senza chiedere ulteriori indicazioni ai ricorrenti.
3.2 In tale ambito i ricorrenti fanno valere la violazione della buona fede processuale e, in particolare, del diritto di essere sentiti, perché la Corte dei ricorsi penali avrebbe mutato la propria prassi relativa alla cernita, non offrendo loro la possibilità di parteciparvi.
3.2.1 La censura è manifestamente infondata. Certo, l'istanza inferiore non si esprime del tutto sulla questione, sebbene nel verbale dell'8 giugno 2006 della riunione preliminare in vista dell'udienza di levata dei sigilli il giudice delegato precisava che riteneva indispensabile la presenza dei ricorrenti. Dagli atti di causa risulta nondimeno quanto segue. Nel verbale dell'udienza di levata dei sigilli, avvenuta il 27 luglio 2006 alla presenza della ricorrente e del suo patrocinatore, è stato precisato che, viste le divergenze insormontabili tra le parti circa l'utilità della documentazione rimanente per l'inchiesta, la Corte avrebbe statuito su tutti gli incarti, applicando essa medesima la procedura in tre fasi: le parti si sono dichiarate d'accordo con questo approccio, rinunciando quindi alla procedura in contraddittorio, ma lasciando tuttavia alla ricorrente la possibilità di presentare alla Corte, entro il 20 agosto 2006, una lista degli incarti sigillati per i quali ritiene sia da salvaguardare il segreto professionale dell'avvocato.
3.2.2 Ciò nondimeno, con lettera del 10 agosto 2006, la ricorrente ha semplicemente comunicato che "alcuni impegni lavorativi urgenti" non le avrebbero permesso di prendere tempestivamente posizione: sottolineava che avrebbe provveduto a indicare gli incarti rientranti nell'attività tipica dell'avvocato entro il 1° settembre seguente. Con scritto del 31 agosto 2006, il suo patrocinatore ha poi semplicemente ribadito di non aver dato seguito alla prospettata comunicazione a dipendenza dello stato di salute generale (non meglio precisato) del ricorrente, che non avrebbe permesso a quest'ultimo né alla ricorrente di indicargli i dati necessari. Il 1° settembre 2006 la Corte ha comunicato al patrocinatore che i verbali della menzionata udienza, trasmessi per firma e per eventuali osservazioni, non erano ancora stati ritornati. Dall'incarto non risulta, né i ricorrenti lo sostengono, d'aver nondimeno trasmesso, durante i mesi seguenti, la prospettata lista e ciò prima dell'emanazione della decisione impugnata, del 20 febbraio 2007. Un simile modo di procedere, dilatorio, non merita chiaramente protezione. L'accenno dei ricorrenti, nelle osservazioni del 9 febbraio 2007, della loro disponibilità ad assistere l'istanza precedente nel lavoro di anonimizzazione non è, in siffatte circostanze, decisivo (sull'obbligo di collaborazione e sul dovere di dimostrazione nella procedura fiscale cfr. DTF 132 IV 63 consid. 4.6). Ciò non toglie, come ancora si vedrà, che l'istanza precedente doveva comunque procedere alla prospettata cernita.
3.3 Certo, riguardo alla questione dell'impossibilità di distinguere i dati protetti dal segreto professionale da quelli che non lo sono, i ricorrenti sostengono che si sarebbe in presenza di un accertamento manifestamente inesatto e contraddittorio dei fatti, visto che, al loro dire, le fatture inviate ai clienti sarebbero di colore giallo per le attività riguardanti l'avvocatura (tipica e non tipica) e verde per quella notarile, anch'essa tutelata dal segreto professionale.
Questa distinzione cromatica, contrariamente all'assunto ricorsuale, non implica manifestamente la restituzione delle fatture verdi ai ricorrenti, ritenuto che dal colore delle stesse non risulta affatto se si tratti di un'attività dove prevale l'attività tipica del notaio, rispettivamente dell'avvocato o quella commerciale, non soggetta al segreto. Poiché, sempre al loro dire, per le fatture di colore giallo è indicato il nome del cliente, sarebbe sufficiente attribuire la fattura agli incarti dello studio legale, segnatamente a una delle seguenti categorie: incarti non asportati dallo studio legale (A), incarti esaminati dal TPF e restituiti poiché ritenuti inutili (B), incarti consegnati all'AFC poiché utili e non coperti dal segreto (C) e, infine, incarti consegnati all'AFC in forma anonimizzata poiché coperti dal segreto (D). Essi ne deducono, in maniera invero poco comprensibile, che risulterebbe in modo automatico se la fattura concerne o no l'attività protetta dal segreto (D) o quella commerciale (C), visto ch'esse indicherebbero altresì quasi sempre la natura della pratica.
3.4 I ricorrenti sostengono poi che una volta classificati i nomi dei clienti (secondo la distinzione cliente tipico/cliente commerciale) partendo dalle fatture, l'anonimizzazione della restante documentazione contabile si ridurrebbe a un'operazione puramente meccanica. Affermano nondimeno, che vi sarebbero comunque altri atti, che non presenterebbero tuttavia alcun interesse per l'autorità fiscale, oltre a numerosi doppioni. Ne deducono, che la criticata consegna della documentazione contabile restante - senza cernita e anonimizzazione - sarebbe arbitraria, vista la possibilità di procedere alla suddivisione appena esposta. Aggiungono che ciò vanificherebbe inoltre il lavoro di cernita già svolto dall'istanza precedente.
3.5 Essi, proponendo questa nuova tesi, disconoscono tuttavia che il Tribunale federale fonda la sua sentenza sui fatti accertati dall'autorità inferiore (art. 105 cpv. 1 LTF). Può scostarsi da questo accertamento solo qualora esso sia avvenuto in modo manifestamente inesatto o in violazione del diritto ai sensi dell'art. 95 LTF (art. 105 cpv. 2 LTF). La parte ricorrente che intende contestare i fatti accertati dall'autorità inferiore deve quindi spiegare, in maniera circostanziata, per quale motivo ritiene che le condizioni di una delle citate eccezioni previste dall'art. 105 cpv. 2 LTF sarebbero realizzate; in caso contrario non si può tener conto di uno stato di fatto diverso da quello posto a fondamento della decisione impugnata (cfr. DTF 130 III 136 consid. 1.4 pag. 140; sentenza 1C_3/2007 del 20 giugno 2007 consid. 1.4.3 destinata a pubblicazione). I citati accenni di critica non dimostrano l'esistenza di siffatti presupposti.
3.6 I ricorrenti nemmeno tentano di spiegare perché, durante i mesi che hanno preceduto l'emanazione del contestato giudizio, non avrebbero potuto indicare questo sistema all'istanza precedente. Ora, secondo l'art. 99 cpv. 1 LTF, possono essere addotti fatti nuovi e nuovi mezzi di prova soltanto se ne dà motivo la decisione dell'autorità inferiore. Limitandosi ad accennare al fatto che dopo la ricezione della decisione impugnata, ai fini del ricorso in esame, avrebbero potuto accedere alla documentazione contabile residua, da essi peraltro compiutamente conosciuta, essi non dimostrano l'impossibilità di presentare all'autorità precedente questo sistema, avendo avuto a disposizione vari mesi per farlo. Questi fatti e mezzi di prova, nuovi, sono quindi inammissibili.
3.7 Certo, i ricorrenti affermano che il rimprovero mosso nei loro confronti, di non aver assistito l'istanza precedente nel lavoro di identificazione della clientela tipica, poggerrebbe anch'esso su un accertamento manifestamente inesatto dei fatti. Al riguardo si limitano tuttavia a rilevare che la mancata presentazione della prospettata lista degli incarti tipici sarebbe dovuta, a torto come si è visto, a ragioni oggettive. Aggiungono ch'essa non sarebbe comunque stata determinante, visto che l'istanza inferiore, come risulta dalle precedenti sentenze da essa emanate, ha potuto procedere autonomamente alla cernita degli altri incarti, distinguendovi l'attività tipica dell'avvocato da quella commerciale.
4.
4.1 I ricorrenti criticano poi il rimprovero mosso loro di carenza di diligenza, per non aver separato l'attività tipica dell'avvocato da quella commerciale, poiché non vi sarebbe alcuna norma che imporrebbe a uno studio legale di tenere due contabilità distinte (cfr. tuttavia, riguardo agli intermediari finanziari, come la ricorrente, per esempio l'art. 7 della legge federale relativa alla lotta contro il riciclaggio, del 10 ottobre 1997; RS 955.0, concernente l'obbligo di allestire documenti; Michael Pfeifer, in Walter Fellmann/Gaudenz G. Zindel [editori], Kommentar zum zum Anwaltsgesetz, Zurigo 2005, n. 35 e 36 all'art. 13). Accennano inoltre, in maniera generica, alla violazione del principio della proporzionalità, poiché nella decisione impugnata il criterio qualitativo soccomberebbe a quello quantitativo. Sostengono poi che il divieto imposto dall'istanza precedente all'AFC di utilizzare o trasmettere a terzi le informazioni potenzialmente protette dal segreto professionale sarebbe inidoneo e, di fatto, non verificabile. Essi censurano l'affermazione dell'istanza precedente (consid. 4.3) secondo cui gli incarti in sospeso non risultano manifestamente inutili all'inchiesta, "ciò che gli imputati d'altronde non contestano": essi non cercano tuttavia di dimostrare l'arbitrarietà di detto accertamento.
4.2 Nella decisione impugnata l'istanza precedente si è limitata ad affermare che "l'anonimizzazione di tutti gli atti in questione imporrebbe un lavoro considerevole di dubbia proporzionalità", ritenendo che "determinante nella fattispecie è la constatazione dell'impossibilità, per la Corte dei reclami penali - ma anche per un eventuale esperto designato dall'autorità - di distinguere i clienti protetti dal segreto professionale dell'avvocato da quelli che non lo sono", ciò che costituirebbe un "impedimento oggettivo all'anonimizzazione degli incarti restanti". Essa ha poi stabilito che la giurisprudenza del Tribunale federale dovrebbe essere compresa nel senso che la distinzione tra ciò che dev'essere restituito al detentore delle carte poste sotto suggello, inutili all'inchiesta, e quanto dev'essere versato agli atti, se del caso in forma anonimizzata, "deve aver luogo sin quando tale operazione è possibile. Quando la stessa diviene impossibile, perché l'avvocato non ha separato in maniera diligente l'attività tipica dell'avvocato dall'attività commerciale" il segreto professionale non sarebbe più tutelato.
4.3 Questa tesi, sbrigativa e superficiale, non può essere condivisa già per il fatto che nella fattispecie non sono ravvisabili impedimenti oggettivi alla cernita che, come stabilito all'udienza di levata dei sigilli del 27 luglio 2006, la Corte, a conoscenza della mole degli incarti da esaminare, aveva deciso di effettuare autonomamente applicando lei stessa la citata procedura in tre fasi, rinunciando, con l'accordo delle parti, alla procedura in contraddittorio. La circostanza che i ricorrenti non abbiano separato diligentemente l'attività tipica dell'avvocato da quella commerciale (cfr. al riguardo DTF 114 III 105 consid. 3b e c) e non abbiamo prodotto la nota lista, non comporta di per sé la decadenza della cernita e del segreto professionale (al riguardo vedi DTF 132 IV 63 consid. 2.3 e 2.4 e 3.3.2 inediti; 132 II 103 consid. 2.1), ma, semmai, in caso di dubbio, che si concluda più facilmente sulla natura di attività commerciale, non soggetta al segreto. D'altra parte, dalle fatture prodotte dalla ricorrente si evince ch'esse in effetti indicano la natura dell'attività svolta: il loro esame non è quindi impossibile ma, ciò che è indubbio, implica un notevole, di per sé evitabile, dispendio di tempo.
4.4 In siffatte circostanze la I. Corte dei reclami penali, senza neppure procedere a una cernita sommaria, non poteva semplicemente limitarsi a rilevare che i motivi invocati dall'AFC sono "apparentemente fondati" e che gli incarti ancora in sospeso non risulterebbero manifestamente inutili all'inchiesta, ciò che gli imputati non contesterebbero (assunto peraltro non corretto, visto che nelle osservazioni del 9 febbraio 2007 hanno criticato le tesi dell'AFC e insistito sull'applicazione della menzionata procedura in tre fasi), versando quindi tutta la documentazione agli atti senza anonimizzarla. L'importante mole della documentazione da esaminare ed eventualmente da anonimizzare, quale criterio meramente quantitativo, e il relativo importante dispendio di tempo per procedervi, non possono infatti di per sé comportare un indebolimento della tutela del segreto professionale dell'avvocato e del notaio e la mancata applicazione della procedura scelta dall'istanza precedente con cognizione di causa, ricordato che la quantità della documentazione suggellata le era nota fin dall'inizio (cfr. Lorenz Erni, Anwaltsgeheimnis und Strafverfahren, in: Das Anwaltsgeheimnis, Zurigo 1997, pag. 32 n. 69). È nondimeno chiaro che il ricorrente, quale imputato, non può prevalersi del segreto professionale e che, viste le particolarità della fattispecie e le molteplici attività commerciali svolte dai ricorrenti e la loro carente collaborazione, l'anonimizzazione potrà limitarsi ai documenti che rientrano chiaramente nell'attività tipica dell'avvocato.
5.
5.1 Ne segue che la decisione impugnata dev'essere annullata. La I. Corte dei reclami penali dovrà quindi, in applicazione della procedura in tre fasi, procedere alla necessaria cernita. Essa potrà avvalersi della collaborazione dei ricorrenti, i quali, in caso di assenza, potranno istruire o farsi rappresentare dal loro legale.
5.2 Si giustifica di non prelevare spese giudiziarie (art. 66 LTF). Nella fissazione delle ripetibili occorre tener conto dell'agire dilatorio dei ricorrenti e della circostanza che gran parte delle censure ricorsuali erano infondate o inammissibili, per cui l'indennità per ripetibili della sede federale dev'essere ridotta (art. 68 cpv. 1 LTF).
Per questi motivi, il Tribunale federale pronuncia:
1.
Nella misura in cui è ammissibile, il ricorso è accolto e la decisione impugnata è annullata.
2.
Non si prelevano spese giudiziarie. L'Amministrazione federale delle contribuzioni rifonderà ai ricorrenti un'indennità ridotta di fr. 1'500.-- per ripetibili della sede federale.
3.
Comunicazione ai patrocinatori dei ricorrenti, all'Amministrazione federale delle contribuzioni e alla I. Corte dei reclami penali del Tribunale penale federale.
Losanna, 28 giugno 2007
In nome della I Corte di diritto pubblico
del Tribunale federale svizzero
Il presidente: Il cancelliere: