Bundesgericht
Tribunal fédéral
Tribunale federale
Tribunal federal
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{T 0/2}
2C_848/2014
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Sentenza del 24 aprile 2015
II Corte di diritto pubblico
Composizione
Giudici federali Zünd, Presidente,
Donzallaz, Stadelmann,
Cancelliera Ieronimo Perroud.
Partecipanti al procedimento
A.________,
patrocinato dall'avv. Marco Garbani,
ricorrente,
contro
1. Dipartimento delle istituzioni del Cantone Ticino, Sezione della popolazione, 6500 Bellinzona,
2. Consiglio di Stato del Cantone Ticino,
Residenza governativa, 6501 Bellinzona,
opponenti.
Oggetto
Revoca del permesso di domicilio,
ricorso contro la sentenza emanata il 4 luglio 2014
dal Tribunale amministrativo del Cantone Ticino.
Fatti:
A.
A.________, cittadino kosovaro, i fratelli e la madre sono entrati in Svizzera il 15 agosto 1994 al fine di ricongiungersi con il loro padre, rispettivamente marito. Posto dapprima al beneficio di un permesso di dimora, egli si è visto rilasciare il 7 dicembre 2005 un permesso di domicilio. Il 10 agosto 2006 si è sposato in patria con una connazionale, dalla quale ha divorziato, sempre nel paese d'origine, l'8 dicembre 2010.
A.________ ha interessato a diverse riprese le autorità amministrative e penali svizzere nei seguenti termini:
- 3 settembre 2001: DAP 1834/01 per grave infrazione alle norme della circolazione e condanna alla pena detentiva di 15 giorni, sospesi condizionalmente con un periodo di prova di 3 anni, e a una multa di fr. 500.---;
- 11 ottobre 2001: Ammonimento dell'allora Sezione dei permessi e dell'immigrazione (adesso Sezione della popolazione) e avvertimento riguardo alle conseguenze in caso di recidiva e di comportamento scorretto;
- 18 maggio 2009: Sentenza della Corte delle assise correzionali di Bellinzona per ripetuto furto, in parte tentato e per complicità (nel corso del 2005), violazione di domicilio, in parte tentata, danneggiamento, infrazione grave (nel 2006) alla legge federale del 19 dicembre 1958 sulla circolazione stradale (LCStr; RS 741.01), infrazione (sempre nel 2006) alla legge federale del 20 giugno 1997 sulle armi (LArm; RS 514.54) e condanna alla pena pecuniaria di 300 aliquote giornaliere da fr. 60.-- ciascuna, sospesa condizionalmente con un periodo di prova di 2 anni, e a una multa di fr. 600.--;
- 25 giugno 2009: Secondo ammonimento da parte della Sezione della popolazione;
- 6 giugno 2012: Sentenza della Corte delle assise correzionali di Riviera per due risse (nel 2009 e nel 2010) e condanna alla pena detentiva di 16 mesi, a valere quale unica pena richiamata la sentenza penale del 18 maggio 2009, di cui 10 sospesi condizionalmente con un periodo di prova di 3 anni. L'8 novembre 2012 il Giudice dei provvedimenti coercitivi ha ordinato il suo collocamento in sezione aperta e in regime di semi prigionia.
B.
Sulla base dei fatti citati, segnatamente della sentenza penale del 6 giugno 2012 e dopo avere concesso a A.________ la facoltà di esprimersi, ciò che ha fatto il 20 dicembre 2012, la Sezione della popolazione del Dipartimento delle istituzioni del Cantone Ticino gli ha revocato, il 14 gennaio 2013, il permesso di domicilio per motivi di ordine pubblico e gli ha fissato un termine con scadenza al 29 aprile successivo per lasciare la Svizzera.
Il citato provvedimento è stato confermato su ricorso dapprima dal Consiglio di Stato ticinese, il 3 luglio 2013, e poi dal Tribunale cantonale amministrativo, con sentenza del 4 luglio 2014.
Nel frattempo, e più precisamente il 21 giugno 2013, l'Ufficio della migrazione e del diritto civile dei Grigioni non è entrato nel merito della domanda di A.________ volta ad ottenere l'autorizzazione a cambiare cantone e a trasferirsi nei Grigioni.
C.
Il 15 settembre 2014 A.________ ha presentato un ricorso in materia di diritto pubblico al Tribunale federale, con cui chiede l'annullamento della sentenza cantonale. Censura, in sintesi, la violazione dei principi della proporzionalità e della parità di trattamento nonché un diniego di giustizia.
Chiamati ad esprimersi, il Tribunale cantonale amministrativo, senza formulare osservazioni, si è riconfermato nelle motivazioni e nelle conclusioni della propria sentenza, mentre il Consiglio di Stato si è rimesso al giudizio di questa Corte. La Sezione della popolazione ha rinviato alla propria decisione e alle osservazioni presentate in sede cantonale dal Governo ticinese e, infine, l'Ufficio federale della migrazione si è allineato alle considerazioni formulate dalle autorità cantonali.
Con scritto del 7 novembre 2014 il ricorrente si è espresso sulle osservazioni formulate dalle autorità cantonali e da quella federale.
Diritto:
1.
1.1. Il Tribunale federale esamina d'ufficio e con piena cognizione la sua competenza (art. 29 cpv. 1 LTF), rispettivamente l'ammissibilità dei gravami che gli vengono sottoposti (DTF 137 I 371 consid. 1 pag. 372 e rinvio).
1.2. Esperito in tempo utile (art. 46 cpv. 1 lett. a e 100 cpv. 1 LTF) dal destinatario della decisione querelata (art. 89 cpv. 1 LTF), il gravame è nella fattispecie ammissibile quale ricorso in materia di diritto pubblico ai sensi degli art. 82 segg. LTF, in quanto concerne la revoca di un permesso che avrebbe altrimenti ancora effetti giuridici (art. 83 lett. c n. 2 a contrario LTF; DTF 135 II 1 consid. 1.2.1 pag. 4).
2.
2.1. Con tale rimedio può, tra l'altro, essere censurata la violazione del diritto federale (art. 95 lett. a LTF), nozione che comprende i diritti costituzionali dei cittadini (DTF 133 III 446 consid. 3.1 pag. 447 seg.). Rispettate le condizioni prescritte dall'art. 42 cpv. 2 LTF, il Tribunale federale applica comunque il diritto d'ufficio (art. 106 cpv. 1 LTF) e può accogliere o respingere un ricorso anche per motivi diversi da quelli invocati o su cui si è fondata l'autorità precedente (DTF 133 II 249 consid. 1.4.1 pag. 254). Esigenze più severe valgono invece in relazione alla denuncia della violazione di diritti fondamentali. Il Tribunale federale esamina infatti simili censure solo se l'insorgente le ha sollevate e motivate in modo preciso (art. 106 cpv. 2 LTF; DTF 134 II 244 consid. 2.2 pag. 246; 133 II 249 consid. 1.4.2 pag. 254).
2.2. Per quanto riguarda i fatti, il Tribunale federale fonda il suo ragionamento giuridico sull'accertamento svolto dall'autorità inferiore (art. 105 cpv. 1 LTF). Esso può scostarsene solo se è stato eseguito in violazione del diritto ai sensi dell'art. 95 LTF o in modo manifestamente inesatto, ovvero arbitrario (art. 105 cpv. 2 LTF; DTF 133 II 249 consid. 1.2.2 pag. 252), profilo sotto il quale viene esaminato anche l'apprezzamento delle prove addotte (DTF 136 III 552 consid. 4.2 pag. 560; sentenza 2C_959/2010 del 24 maggio 2011 consid. 2.2). L'eliminazione del vizio indicato deve inoltre poter influire in maniera determinante sull'esito della causa, aspetto che, insieme a quello dell'asserito arbitrio, compete al ricorrente sostanziare (art. 97 cpv. 1 LTF).
2.3. Il ricorrente adduce, a titolo informativo, di essere convolato a nozze con una cittadina comunitaria con la quale conviveva da qualche anno. Oltre a non essere documentato, trattasi di un fatto nuovo che, in virtù dell'art. 99 LTF, non può essere preso in considerazione.
3.
3.1. In primo luogo il ricorrente afferma di essere cittadino serbo e non kosovaro. Ciò sarebbe comprovato sia dalla copia del passaporto serbo rilasciato nel 2012 e integrata nel proprio gravame sia da quelle dei documenti precedenti al 2012, sempre serbi, figuranti agli atti. Tale elemento sarebbe determinante ai fini dell'applicazione del Trattato di domicilio e consolare conchiuso il 16 febbraio 1888 tra la Svizzera e la Serbia (RS 0.142.118.181), il cui art. 1 conferisce parità di trattamento con i cittadini svizzeri e che le autorità cantonali avrebbero volontariamente ignorato, commettendo in tal modo un diniego di giustizia.
3.2. Contrariamente a quanto addotto, dall'inserto di causa non emerge in modo chiaro e lampante quale sia la cittadinanza del ricorrente. Se i documenti d'identità forniti nel 2001 indicavano la Repubblica federale di Jugoslavia come paese di origine (vedasi copia del permesso di dimora rilasciato il 15 febbraio 2001), successivamente nel 2003 l'interessato ha indicato di essere cittadino della Serbia e Montenegro (vedasi copia dell'autorizzazione di corta durata del 21 maggio 2003), venendo comunque già prima d'allora considerato come kosovaro (cfr. DA del 3 settembre 2001) e facendone poi menzione dal 2004 nelle domande di modifica o di rinnovo dei permessi di soggiorno (cfr. richieste del 25 giugno 2004 e dell'11 maggio 2005). È vero che egli ha anche dichiarato negli anni 2009-2010 di essere cittadino serbo (cfr. sentenza della Corte delle assise correzionali del 18 maggio 2009 nonché copia permesso di domicilio emesso il 15 gennaio 2010). Senonché quasi contemporaneamente ha presentato alle autorità ticinesi un passaporto kosovaro, emesso il 10 agosto 2010. Va poi ricordato che egli è nato in Kosovo, vi ha vissuto, vi si è sposato e vi ha anche divorziato (cfr. negli atti cantonali, certificato di matrimonio dell'11 ottobre 2006 e sentenza di divorzio dell'8 dicembre 2010, pronunciata da un tribunale kosovaro). La problematica non merita tuttavia di essere ulteriormente approfondita. Quand'anche si volesse partire dal presupposto che egli è cittadino serbo, pure in tale evenienza, per i motivi che verranno esposti di seguito (cfr. consid. 9), il Trattato da lui richiamato non gli è di nessun ausilio. Il fatto che le competenti autorità cantonali non vi si siano riferite non implica di riflesso alcun diniego di giustizia.
4.
Il ricorrente rimprovera alla Sezione della popolazione e al Consiglio di Stato di non essersi pronunciati sulla sua richiesta di rilascio di un permesso di dimora condizionato. Sennonché, in ragione dell'effetto devolutivo dei ricorsi interposti in precedenza, egli è unicamente legittimato a formulare conclusioni riguardanti l'annullamento o la riforma della sentenza del Tribunale cantonale amministrativo. Al riguardo l'impugnativa è pertanto inammissibile (DTF 134 II 142 consid. 1.4 pag. 144).
A titolo del tutto abbondanziale va comunque rammentato che, come già giudicato da questa Corte, una simile istanza (cioè la richiesta di concedere un permesso di dimora quale misura meno incisiva in seguito alla revoca del permesso di domicilio) è, per consolidata prassi, inammissibile e contraria al diritto federale (sentenze 2C_764/2013 del 15 aprile 2014 consid. 3.6, 2C_1068/2012 dell'11 febbraio 2013 consid. 2.2 e 2C_733/2012 del 24 gennaio 2013 consid. 10 e rispettivi riferimenti).
5.
5.1. Il ricorrente lamenta in seguito una disparità di trattamento, in quanto i suoi coimputati, nel secondo processo penale, beneficerebbero tuttora di autorizzazioni di soggiorno in Ticino allorché, oltre ad essere stati condannati più pesantemente di lui, avrebbero già interessato in passato le autorità di polizia e forse anche quelle assistenziali. Al riguardo aggiunge che la Corte cantonale (e prima di lei la Sezione della popolazione e il Consiglio di Stato) avrebbe deliberatamente omesso di pronunciarsi sulla questione, commettendo in tal modo un diniego di giustizia nonché avrebbe erratamente considerato che la lamentata disparità di trattamento si riferiva al fatto che i coimputati avrebbero ottenuto un permesso di dimora dopo la revoca del loro permesso di domicilio, ciò che non avrebbero mai affermato.
5.2. Ci si può chiedere se le critiche in questione, le quali si esauriscono per lo più in semplici affermazioni di carattere appellatorio, adempiano le esigenze di motivazione dei combinati art. 42 cpv. 2 e 106 cpv. 2 LTF e siano, di conseguenza ammissibili. Si volesse da ciò prescindere, va rilevato che il ricorrente non spiega né dimostra - come già peraltro, sia rilevato di transenna, non ha fatto nel gravame presentato alla Corte cantonale (cfr. ricorso del 23 agosto 2013 pag. 5 n. 5) - che le fattispecie da lui evocate corrispondono in tutti i punti essenziali con la propria situazione (vedasi al riguardo DTF 137 V 334 consid. 6.2.1 pag. 348), motivo per cui nulla permette di ritenere che il principio della parità di trattamento sia stato disatteso. In queste condizioni, anche se la Corte cantonale non ha trattato, rispettivamente non ha trattato correttamente la censura sottopostale, ciò tuttavia non porta a conseguenza siccome detta critica era sin dall'inizio priva di consistenza.
6.
Il ricorrente afferma che non avrebbe mai ricevuto il primo ammonimento. Egli rimprovera quindi a tutte le autorità cantonali - le quali non hanno potuto fornire la prova dell'avvenuta notifica del medesimo, non avendo prodotto la ricevuta della ricezione del rispettivo invio raccomandato e nemmeno fornita la prova dell'avvenuto pagamento della relativa fattura - di averne tenuto conto per giustificare la revoca del proprio permesso di domicilio. L'argomento è privo di rilevanza. Come già rilevato da questa Corte, se quanto addebitato allo straniero è sufficientemente grave per portare alla revoca del permesso di domicilio, allora la competente autorità cantonale non è tenuta a pronunciare prima un ammonimento ai sensi dell'art. 96 cpv. 2 LStr (causa 2C_453/2011 del 28 novembre 2011 consid. 2.2.2 e 2C_935/2010 del 7 giugno 2011 consid. 3.1). Premesse queste considerazioni e dato che per i motivi esposti di seguito (cfr. consid. 7), la revoca del permesso di domicilio del ricorrente si rivela giustificata, l'autorità avrebbe potuto pronunciarla anche senza prima emettere alcun ammonimento. In queste condizioni, il fatto che il ricorrente, come da lui preteso, non abbia mai ricevuto l'ammonimento emanato nel 2001, non porta a conseguenza. Su questo punto il ricorso, infondato, dev'essere respinto.
A titolo del tutto abbondanziale va comunque aggiunto che la seconda condanna penale del 18 maggio 2009, sospesa condizionalmente, e l'ammonimento del 25 giugno 2009 costituivano dei moniti sufficienti e che spettava al ricorrente trarne le necessarie conclusioni sul comportamento da adottare.
7.
La procedura riguarda la revoca del permesso di domicilio di una persona che vive stabilmente in Svizzera dall'agosto 1994 e che dispone di un permesso di domicilio dal dicembre 2005.
7.1. L'art. 63 cpv. 2 LStr prevede tra l'altro che il permesso di domicilio di uno straniero che soggiorna regolarmente e ininterrottamente da oltre 15 anni in Svizzera può essere revocato se, giusta l'art. 62 lett. b LStr, è stato condannato a una pena detentiva di lunga durata. Una pena privativa della libertà è considerata di lunga durata se è stata pronunciata per più di un anno, a prescindere dal fatto che la stessa sia stata o meno sospesa (DTF 137 II 297 consid. 3 pag. 302 segg.; 135 II 377 consid. 4.2 pag. 379 segg.). Affermare, come fatto dal ricorrente (vedasi ricorso pag. 14), che per essere ritenuta di lunga durata la pena privativa dev'essere almeno di due anni non corrisponde quindi all'attuale giurisprudenza del Tribunale federale.
7.2. Anche in presenza di motivi di revoca, una tale misura si giustifica infine solo quando è proporzionata. Nell'esercizio del loro potere discrezionale, le autorità competenti tengono conto degli interessi pubblici e della situazione personale dello straniero, valutando in particolare la gravità della colpa rimproveratagli, il tempo trascorso dal compimento di eventuali comportamenti penalmente rilevanti, la durata del soggiorno in Svizzera e il grado d'integrazione raggiunto come pure gli svantaggi incombenti sullo stesso e sulla sua famiglia a dipendenza della misura che è stata presa (art. 96 LStr; sentenze 2C_934/2011 del 25 luglio 2012 consid. 5.1; 2C_972/2011 dell'8 maggio 2012 consid. 2.3 e 2C_622/2009 del 10 marzo 2010 consid. 5.3 seg.).
7.3. Sempre in base alla giurisprudenza, per ammettere la revoca di un permesso di domicilio devono essere poste esigenze tanto più elevate quanto più lungo è il tempo vissuto in Svizzera. Anche nei confronti di stranieri nati e che hanno sempre vissuto nel nostro Paese - fattispecie non realizzata in concreto - una simile misura non è tuttavia esclusa e può essere adottata sia quando una persona si sia macchiata di delitti particolarmente gravi - di carattere violento, a sfondo sessuale, o in relazione con il commercio di stupefacenti - sia quando il soggetto in discussione si è reso punibile a più riprese (per un riassunto della giurisprudenza al riguardo cfr. sentenza 2C_28/2012 del 18 luglio 2012 consid. 3; cfr. inoltre le sentenze 2C_38/2012 del 1° giugno 2012 consid. 3.3 e 2C_722/2010 del 3 maggio 2011 consid. 3.2 così come la sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo in re Dalia contro Francia del 19 febbraio 1998, Recueil CourEDH 1998-I pag. 76 § 50 segg.).
Pure in questo contesto, il primo criterio per valutare la gravità della colpa e per procedere alla ponderazione degli interessi è costituito dalla condanna inflitta (sentenze 2C_323/2012 del 6 settembre 2012 consid. 3.4 e 2C_432/2011 del 13 ottobre 2011 consid. 3.1).
7.4. Senza contestare formalmente quanto addebitatogli, il ricorrente, con un'argomentazione alquanto prolissa e confusa, cerca di dimostrare che la condanna penale del 6 giungo 2012 non doveva riferirsi alla rissa svoltasi il 12 aprile 2009, motivo per cui anche la rispettiva pena doveva essere di durata inferiore. Sostenendo che il cittadino non deve essere penalizzato se l'autorità lavora male, afferma che questa rissa avrebbe dovuto essere inglobata nella condanna del 18 maggio 2009, che le autorità amministrative avrebbero dovuto esserne informate allora e tenerne conto quando hanno emanato l'ammonimento del 25 giugno 2009. Altrimenti detto, visto che dal profilo amministrativo la condanna penale del 2012 andava considerata solo per la seconda rissa, con una pena "ridotta", non si sarebbe potuto revocargli l'autorizzazione di soggiorno. Tale argomentazione, ai limiti della temerarietà, va respinta.
Come risulta dall'inserto di causa, e peraltro già rilevato dalle autorità cantonali (cfr. decisione governativa del 3 luglio 2013, punto c pag. 8), l'atto di accusa, che contemplava pure le prima rissa, è stato depositato dalla Procura pubblica solo il 21 aprile 2011. Le autorità amministrative non potevano pertanto venirne a conoscenza prima. Va poi rilevato che l'interessato aveva la possibilità di contestare la sentenza penale pronunciata il 6 giugno 2012 se non ne condivideva il contenuto o la durata della pena inflittagli, ciò che non ha fatto. È quindi fuori luogo da parte sua rimetterla in discussione ora.
Premesse queste considerazioni, tenuto conto della pena privativa della libertà della durata di 16 mesi pronunciata nei suoi confronti il 6 giugno 2012, è indubbia la sussistenza di un motivo di revoca del permesso di domicilio (art. 63 cpv. 2 in relazione con l'art. 62 lett. b LStr; precedente consid. 7.1). Su questo punto il ricorso si rivela infondato e come tale dev'essere respinto.
7.5. Il ricorrente afferma di seguito che non vi è alcun interesse pubblico preponderante al suo rinvio dalla Svizzera. Ciò sarebbe dimostrato dal fatto che le competenti autorità in materia degli stranieri avrebbero aspettato più di sei mesi dalla conoscenza dell'ultima sentenza penale prima di emanare il provvedimento litigioso. La mancanza d'interesse pubblico al suo allontanamento sarebbe in seguito confermata dal fatto che il Tribunale cantonale amministrativo, oltre ad impiegare diversi mesi per evadere il gravame sottopostogli, avrebbe trascurato l'art. 53 dell'ora abrogata legge cantonale sulle cause amministrative del 19 aprile 1966 (vLPamm; tuttora applicabile in virtù dell'art. 113 cpv. 2 dell'attuale LPamm) secondo cui "la decisione motivata deve essere intimata entro 30 giorni dall'ultimo atto di causa" in relazione con l'art. 11 della medesima legge il quale sancisce tra l'altro che "i termini stabiliti dalla legge sono perentori". Tale inazione dimostrerebbe che lui non rappresenta (va) alcun pericolo per l'ordine pubblico poiché in caso contrario le autorità in questione si sarebbero affrettate ad emettere prima le loro rispettive decisioni. Il provvedimento contestato violerebbe pertanto il divieto dell'arbitrio nonché il principio della proporzionalità.
7.6. Come risulta dall'inserto di causa la sentenza penale del 6 giugno 2012 è stata intimata alla Sezione della popolazione il 16 agosto 2012, con l'indicazione "annuncio d'appello". Interpellata il 23 agosto e il 5 ottobre 2012 la competente autorità giudiziaria ha comunicato che detto giudizio non era ancora cresciuto in giudicato ed è unicamente nel novembre 2012 che l'autorità di prime cure in materia di diritto degli stranieri è stata avvisata dello stralcio dell'appello. E il 5 dicembre 2012 è stata avviata la procedura ora oggetto di disamina, nell'ambito della quale è stata data al ricorrente la facoltà di determinarsi, ciò che ha fatto il 20 dicembre 2012. Non si può pertanto rimproverare alle competenti autorità cantonali in materia una qualsiasi lungaggine ed è a ragione che le stesse hanno aspettato, prima di procedere alla revoca dell'autorizzazione di soggiorno, che la pronuncia penale crescesse in giudicato. Nel caso contrario infatti esse sarebbero incorse in una manifesta violazione dei diritti di parte dell'interessato (diritto di essere sentito, presunzione d'innocenza, principio in dubio pro reo). Ed è sempre a ragione che prima di emanare il provvedimento litigioso, sia stata data a costui - sempre al fine di rispettare i suoi diritti - l'opportunità di fare valere i propri argomenti. In queste condizioni, tenuto conto che la sentenza penale è stata emanata il 6 giugno 2012 e intimata alle parti e alle autorità interessate il 17 agosto 2012, che è passata in giudicato nel novembre 2012, che il diritto di esprimersi è stato accordato il 5 dicembre 2012 ed esercitato il 20 dicembre successivo e che la revoca è stata pronunciata il 14 gennaio 2013, ne discende che i termini entro i quali l'autorità di prime cure ha agito appaiono alquanto brevi e del tutto usuali. Niente permette quindi su questi punti di condividere l'opinione del ricorrente.
7.7. Per quanto concerne la lamentata disattenzione arbitraria dei combinati art. 53 e 11 vLPamm e di riflesso, del principio di celerità (su questa nozione, vedasi DTF 134 IV 43 consid. 2.5 pag. 47; 130 IV 54 consid. 3.3.3 pag. 56 e rispettivi rinvii), questa Corte ha già avuto modo di pronunciarsi su tale questione nella causa 2C_226/2014 del 24 ottobre 2014 giungendo alla conclusione che la tesi delle autorità cantonali, la quale trovava riscontro anche nel corrispondente messaggio legislativo cantonale, secondo cui trattasi di un termine non perentorio ma ordinatorio, andava condivisa (sentenza citata, consid. 4.9). Nel caso concreto nulla nel gravame permette di allontanarsi da tale soluzione, soprattutto se considera che il ricorrente si limita a citare il testo dei disposti in questione e a ripetere che si tratta di un termine perentorio, senza però spiegare e ancora meno dimostrare in che sarebbe arbitrario (cfr. sulla nozione di arbitrio, DTF 135 V 2 consid. 1.3 pag. 4; 134 I 263 consid. 3.1 pag. 265 seg.) propendere per una diversa interpretazione. Anche su questo punto il ricorso si rivela infondato.
Ad ogni buon conto va osservato che, quand'anche si volesse condividere la tesi del ricorrente, questi comunque non ha fatto valere e nemmeno ha preteso di avere subito un pregiudizio dovuto al mancato rispetto del termine previsto dall'art. 53 LPamm. La critica, che si rivelerebbe ai limiti della temerarietà, andrebbe pertanto respinta poiché manifestamente infondata.
8.
Il ricorrente rimprovera alle autorità cantonali di avere sorvolato il suo comportamento, la durata, gli affetti e il fatto che non ha mai vissuto in Kosovo e di avere arbitrariamente dato maggior peso agli interessi pubblici. La critica, che non adempie manifestamente le esigenze di motivazione dell'art. 42 cpv. 2 LTF sfugge ad un esame di merito. Ma quand'anche si volesse da ciò prescindere si può in proposito rinviare ai pertinenti considerandi della sentenza impugnata, in questa sede interamente condivisi, ove la questione della proporzionalità del provvedimento contestato e delle conseguenze che ne derivano per l'interessato è stata ampiamente e dettagliatamente esaminata (cfr. sentenza impugnata pag. 9 seg. consid. 5.3). Anche al riguardo il ricorso si rivela privo di pertinenza.
9.
Infine il ricorrente fa valere la violazione del Trattato di domicilio e consolare conchiuso il 16 febbraio 1888 tra la Svizzera e la Serbia (RS 0.142.118.181), il cui art. 1 conferisce parità di trattamento con i cittadini svizzeri. Sennonché egli dimentica che l'art. 4 del citato Trattato ammette espressamente la possibilità che i cittadini di uno Stato contraente vengano "rimandati" in seguito ad una sentenza ed in applicazione delle leggi, ciò che corrisponde alla propria situazione. La critica, manifestamente infondata, va quindi respinta.
10.
Per i motivi illustrati il ricorso, nella misura in cui è ammissibile, si avvera infondato e va quindi respinto.
11.
Le spese seguono la soccombenza e vanno poste a carico del ricorrente (art. 66 cpv. 1 LTF). Non si accordano ripetibili ad autorità vincenti (art. 68 cpv. 3 LTF).
Per questi motivi, il Tribunale federale pronuncia:
1.
In quanto ammissibile, il ricorso è respinto.
2.
Le spese giudiziarie di fr. 2'000.-- sono poste a carico del ricorrente.
3.
Comunicazione al patrocinatore del ricorrente, alla Sezione della popolazione del Dipartimento delle istituzioni, al Consiglio di Stato e al Tribunale amministrativo del Cantone Ticino, nonché alla Segreteria di Stato della migrazione.
Losanna, 24 aprile 2015
In nome della II Corte di diritto pubblico
del Tribunale federale svizzero
Il Presidente: Zünd
La Cancelliera: Ieronimo Perroud