102 Ia 516
Urteilskopf
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71. Sentenza del 5 maggio 1976 nella causa X. contro Procuratore pubblico della giurisdizione sottocenerina
Regeste
Wahrung des Berufsgeheimnisses im Rahmen eines Strafverfahrens - Durchsuchung und Beschlagnahme von Dokumenten.
1. Die Durchsuchung von Akten beim Träger eines Berufsgeheimnisses, der selbst Beschuldigter in einem Strafverfahren ist, setzt die Abwägung zwischen öffentlichen und privaten Interessen voraus.
2. Zu einer unterschiedslosen Durchsuchung und Beschlagnahme aller in einer Notariatskanzlei verwahrten Dokumente kann die Strafverfolgungsbehörde selbst dann nicht schreiten, wenn dringender Verdacht dafür besteht, dass der Notar eine strafbare Handlung begangen hat.
3. Die Organe der Strafjustiz sind an das Amtsgeheimnis gebunden und zur Zurückerstattung von Dokumenten, die für das betreffende Strafverfahren unerheblich sind, verpflichtet.
4. Prüfungsbefugnis des Bundesgerichts.
La Procura pubblica della giurisdizione sottocenerina ha aperto un procedimento penale contro X., avvocato e notaio. Questi avrebbe, nella sua qualità di pubblico notaio, rogato una quarantina di atti di compravendita immobiliare tra la ditta Y. S.A. e diversi acquirenti stranieri, nei quali il prezzo di compera era falsamente indicato in misura inferiore a quanto effettivamente pagato.
Il Sostituto Procuratore pubblico della giurisdizione sottocenerina aveva maturato il grave sospetto che il notaio X. avesse cooperato su larga scala alla commissione di reati di falsità, di violazione del decreto federale sull'acquisto di fondi da parte di persone all'estero ed eventualmente di altri reati. Il Sostituto Procuratore pubblico ha ordinato una perquisizione domiciliare negli uffici del prevenuto e il sequestro di tutti gli oggetti aventi importanza per il procedimento sia come mezzi di prova sia perché soggetti a confisca e, segnatamente, cinque incarti in cui erano conservati i documenti relativi ad altrettanti atti notarili rogati dal notaio X. Il magistrato eseguì personalmente la perquisizione e il sequestro.
La perquisizione avvenne alla presenza di un collaboratore dello Studio e delle impiegate dell'ufficio. Gli incarti sequestrati, elencati nel verbale di sequestro allestito seduta stante, vennero consegnati in quattro mappe sigillate.
Contro l'ordine di perquisizione e di sequestro il notaio X. insorgeva davanti alla Camera dei ricorsi penali del Tribunale di appello del Cantone Ticino (CRP), postulando l'annullamento di entrambi i decreti. La CRP ha respinto il reclamo.
Contro la decisione della CRP il notaio X. ha proposto davanti al Tribunale federale un ricorso di diritto pubblico fondato sulla violazione dell'art. 4 Cost. e del principio della forza derogatoria del diritto federale (art. 2 disp. trans. Cost.).
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Il Tribunale federale ha respinto il ricorso, in quanto ricevibile.
Considerando in diritto:
1. a) La CRP, ultima istanza cantonale, ha emanato la propria sentenza fruendo di un libero potere d'esame. In tali circostanze solo la sua decisione può essere impugnata con un ricorso di diritto pubblico (DTF 99 Ia 598 e riferimenti). Nei limiti in cui è volto contro le decisioni del Sostituto Procuratore pubblico, il ricorso si rivela pertanto inammissibile.
b) La decisione della CRP non pone fine al procedimento penale nell'ambito del quale venne adottata. Essa è pertanto una decisione incidentale ai sensi dell'art. 87 OG. Giusta questa disposizione il ricorso di diritto pubblico per violazione dell'art. 4 Cost. è ammissibile contro decisioni incidentali emanate in ultima istanza cantonale solo se da queste risulta un danno irreparabile per il ricorrente. Nel caso concreto la questione se la decisione impugnata causa un tale danno al ricorrente può restare indecisa: adito con un ricorso di diritto pubblico contro una decisione incidentale emanata in ultima istanza dall'autorità cantonale, il Tribunale federale entra infatti nel merito di censure fondate sulla violazione dell'art. 4 Cost. se accanto alle stesse vengono sollevate altre censure che devono comunque essere esaminate. Nel caso in esame X. non fonda il proprio ricorso unicamente sulla violazione dell'art. 4 Cost., ma fa valere anche una violazione del principio della forza derogatoria del diritto federale, sancito dall'art. 2 delle Disposizioni transitorie Cost. Quest'ultima censura può essere fatta valere contro ogni decisione cantonale di ultima istanza (art. 86 OG), dunque anche contro una decisione incidentale. Essendosi la CRP pronunciata in ultima istanza cantonale, il presente ricorso è ricevibile anche per quanto attiene alle pretese violazioni dell'art. 4 Cost., senza che debba essere esaminato se dalla decisione impugnata derivi o meno un danno irreparabile per il ricorrente (DTF 99 Ia 44, DTF 96 I 463, DTF 95 I 443).
2. a) Il ricorrente sostiene che al sequestro dei documenti osta in principio il segreto professionale dell'avvocato-notaio cui egli è tenuto. Nel caso concreto deve essere ritenuto che i documenti sequestrati non si riferiscono all'attività del ricorrente quale avvocato, ma alla sua attività quale notaio: il segreto professionale cui egli si appella è
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pertanto quello del notaio e non quello dell'avvocato. Tale circostanza è però in casu di scarsa se non di nessuna rilevanza. Pur essendo l'attività notarile regolata differentemente nei diversi cantoni, è generalmente ammesso che il notaio deve mantenere il segreto su quanto confidatogli nell'esercizio della sua professione nella stessa misura in cui è tenuto al segreto l'avvocato (cfr. SIEBEN, Das Berufsgeheimnis auf Grund des eidgenössischen Strafgesetzbuches, Tesi Berna 1943, pag. 54).D'altro canto, sia il codice di procedura penale ticinese (CPP) - che, all'art. 75, enumera le persone che possono rifiutare di deporre quali testimoni - che l'art. 321 CP - che enumera sia gli avvocati che i notai tra le persone che possono entrare in considerazione quali autori del reato di violazione del segreto professionale - non operano differenze tra il segreto professionale dell'avvocato e quello del notaio. È pur vero che, di regola, il campo d'attività dell'avvocato è notevolmente più vasto di quello del notaio: l'avvocato viene infatti frequentemente a conoscenza di segreti la cui divulgazione lederebbe la clientela nella sfera strettamente personale o intima, mentre il notaio viene di regola a conoscere segreti concernenti preponderantemente gli interessi economici della clientela, con la riserva della rogazione di atti del diritto di famiglia o del diritto successorio. Ciò non toglie che, quantomeno per quanto attiene alla fattispecie in esame, il segreto professionale del notaio e quello dell'avvocato non presentano differenza alcuna.
b) Il codice di procedura penale ticinese prevede che le persone che sono in possesso di oggetti che possono avere importanza per l'istruzione di un processo, sia come mezzi di prova o perché soggetti a confisca, sono tenute, se richieste, a consegnarli al magistrato inquirente ( art 120-121 CPP ). Le persone che possono rifiutarsi di deporre in qualità di testi non possono essere costrette a consegnare oggetti in questione (art. 121 cpv. 3 CPP).
Secondo l'interpretazione delle autorità cantonali, tale disposto sarebbe applicabile unicamente a chi entra in considerazione quale teste, e non al detentore del segreto esso stesso prevenuto nel procedimento penale di cui si tratta. Nell'esame di tale interpretazione il Tribunale federale fruisce di cognizione libera, in quanto il sequestro di documenti costituisce
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un'ingerenza non indifferente nella sfera personale segreta (v. sotto consid. 3b; DTF 97 I 850; DTF 98 Ia 100 consid. 2). L'interpretazione data dalle autorità cantonali alla citata norma non si scosta dal testo letterale della stessa. L'art. 121 cpv. 3 CPP dispone che i "mezzi coercitivi non si applicano contro quelle persone che hanno facoltà di rifiutarsi a deporre come testimonio": ciò significa chiaramente che la regola vale unicamente per le persone che, in un determinato procedimento penale, entrano in considerazione quali testimoni, e non per l'accusato. Tale interpretazione è inoltre conforme al senso della disposizione. Secondo la dottrina dominante, le persone che possono rifiutarsi di deporre quali testi a tutela del loro segreto professionale non possono fondarsi sulla tutela di tale segreto per opporsi al sequestro di documenti, se, in un determinato procedimento penale, non entrano in considerazione quali testi ma quali accusati (DTF 101 Ia 11 con riferimenti a dottrina e giurisprudenza). La norma di cui all'art. 121 cpv. 3 CPP è fondata su tale modo di vedere che, pur non incontestato, rappresenta tuttavia la tesi dominante in Svizzera. L'interpretazione che le autorità ticinesi danno alla citata norma non presenta pertanto il fianco a critiche. Alla luce delle norme della procedura penale ticinese, la presente fattispecie costituisce quindi un caso in cui il segreto professionale dell'avvocato-notaio non osta alla perquisizione e al sequestro dei documenti.
3. a) Il ricorrente lamenta la lesione del principio della forza derogatoria del diritto federale, fondando avantutto le sue critiche sull'art. 321 CP, a norma del quale sono puniti a querela di parte (tra gli altri) i notai che rivelano segreti a loro confidati per ragione della loro professione o di cui hanno avuto notizia nell'esercizio della medesima. Tale disposizione presuppone l'esistenza del segreto professionale dei notai. Essa non impedisce però ai Cantoni di adottare norme, giusta le quali anche le persone tenute al segreto professionale possono essere chiamate, in certe circostanze, a dare informazioni all'autorità o a testimoniare in giudizio. Una riserva in tal senso è espressamente prevista dall'art. 321 n. 3 CP (DTF 95 I 443; DTF 91 I 203). L'art. 321 CP non indica in qual modo i Cantoni debbano regolare nelle singole leggi di procedura l'obbligo di testimonianza dei notai e il sequestro di documenti presso di loro, ma si limita, quale norma del diritto penale, a chiarificare il fatto
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che gli accusati non possono essere puniti se, in virtù di norme imperative del diritto cantonale, devono rivelare fatti coperti dal segreto professionale (cfr. GIACOMETTI, ZBl 54, 1944 pagg. 316/17). In quanto fondata sull'art. 321 CP, la censura di violazione del principio della forza derogatoria del diritto federale si rivela pertanto infondata.b) Il ricorrente lamenta un'ulteriore violazione del testé citato principio, fondandosi sull'art. 27 CC, norma intesa alla protezione della personalità. È generalmente riconosciuto che la protezione dei diritti della personalità, quale offerta dagli art. 27 e 28 CC , comprende la protezione della sfera privata riservata (DTF 91 I 204 con riferimenti dottrinali, DTF 25 I 447, 44 II 322; EGGER, Comm. n. 39 segg. e 52 ad art. 28 CC; BLASS, Die Berufsgeheimnishaltungspflicht der Ärzte, Apotheker und Rechtsanwälte, Tesi Zurigo 1944, pag. 71 e segg.). Gli art. 27 e 28 CC sono norme di diritto civile che, di per sé, tornano applicabili unicamente ai rapporti tra privati. Non si può quindi ritenere, sotto un profilo teorico, che gli art. 27 e 28 CC limitino direttamente il potere dello Stato d'intervenire nei confronti dei privati (come invece è stato implicitamente affermato in DTF 91 I 206). Il diritto alla protezione della sfera di segretezza privata rientra tuttavia, almeno nel suo contenuto essenziale, nella sfera dei diritti elementari della personalità e, in questa misura, i diritti della personalità tutelati dagli art. 27 e 28 CC rappresentano una parte del diritto fondamentale della libertà personale (cfr. DTF 98 Ia 514; GRISEL, La liberté personnelle et les limites du pouvoir judiciaire, Revue internationale de droit comparé 1975 pag. 568; SALADIN, Grundrechte im Wandel, pag. 98, 418; cfr. sentenza della Corte costituzionale germanica dell'8 marzo 1972, pubblicata in Entscheidungen des Bundesverfassungsgerichts 32, 373 e nella Neue Juristische Wochenschrift 1972 I pag. 1123 segg.).
La tutela del segreto professionale dei medici, avvocati, notai ecc. riveste un'importanza tale che il mantenimento di tale segreto, almeno nei suoi effetti più importanti, rimane coperto dal diritto fondamentale della libertà personale. Il fatto che il ricorrente si sia appellato, richiamandosi all'art. 27 CC, ad una violazione del principio della forza derogatoria del diritto federale, e non ad una violazione del
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diritto costituzionale non scritto della libertà personale, è in casu ininfluente: in effetti, egli fa valere che i diritti della personalità, quali tutelati dall'art. 27 CC, assumono in una certa misura il rango di diritti garantiti dalla costituzione.
4. Nella concreta fattispecie, oggetti coperti dal segreto professionale, cui il ricorrente è tenuto nei confronti di diversi clienti, dovrebbero essere resi noti all'autorità penale. Tale provvedimento colpisce il segreto professionale dell'avvocato-notaio nella sua essenza e costituisce un'ingerenza nella sfera segreta privata, la cui tutela è compresa nel diritto fondamentale della personalità. Perché una tale ingerenza sia lecita occorre, per regola generale, che poggi su di una chiara base legale, risponda ad un interesse pubblico e non leda il principio della proporzionalità. Applicando il principio della proporzionalità, il Tribunale federale fa capo a una duplice formula. Nella maggioranza dei casi il Tribunale si limita a verificare se la misura impugnata è atta a raggiungere lo scopo che la stessa si prefigge. Eccezionalmente si esprime in modo più differenziato esigendo, da un lato, che il mezzo usato sia proprio a conseguire lo scopo d'interesse pubblico prefisso pur tutelando nella maggior misura possibile la libertà personale e, d'altro canto, che esista un rapporto ragionevole tra il risultato che si vuol raggiungere e le restrizioni della libertà che si rendono necessarie per il conseguimento di tale risultato (DTF 97 I 508 e citazioni). Come giustamente rilevato dalla più autorevole dottrina, quest'ultima condizione si confonde con quella dell'interesse pubblico (A. GRISEL, op.cit., pag. 560).
Come già indicato sopra, il codice di procedura penale ticinese rappresenta una base legale sufficiente per l'adozione delle misure contestate. Giusta le citate norme del CPP, il sequestro di documenti non può essere eseguito presso un notaio contro la sua volontà, qualora il notaio stesso potesse invocare il segreto professionale se fosse sentito quale testimone; nulla si oppone, per contro, al sequestro se, nel procedimento penale in oggetto, prevenuto è il notaio stesso.
Deve tuttavia ancora essere esaminato se le misure adottate siano coperte dall'interesse pubblico. Ingerenze nella sfera segreta privata si giustificano da questo profilo solo per tutelare un interesse pubblico comparativamente superiore all'interesse privato minacciato (DTF 91 I 206; HAUSER, ZStrR 90, 1974, pag. 253). La comparazione degli interessi pubblici
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e privati, o di due interessi pubblici contrastanti, non porta sempre e comunque all'ammissibilità del sequestro di documenti presso detentori di un segreto professionale che fossero prevenuti in un determinato procedimento penale.In tale ponderazione degli interessi assumono rilevanza la pena comminata per il reato di cui è imputato il detentore del segreto (cfr. nello stesso senso, DTF 98 Ia 424 segg.; HAUSER, ZStrR 90, 1974, pag. 231/32), nonché altre circostanze, quali per esempio l'occasionalità dell'infrazione o il numero più o meno grande delle infrazioni imputate o eventuali circostanze attenuanti cui manifestamente può appellarsi l'accusato. Così nel caso di un procedimento penale per delitti contro l'onore, punibili a querela di parte e per i quali la pena massima comminata, prescindendo dal caso della calunnia, è di sei mesi, può tranquillamente essere ammesso che il segreto professionale osta al sequestro di documenti (cfr. DTF 101 Ia 10): pur essendo insoddisfacente che in tali casi il prevenuto possa sfuggire a una condanna, l'interesse alla tutela del segreto appare infatti comparativamente superiore a quello del perseguimento penale di delitti contro l'onore o di altri delitti che oggettivamente non possono essere considerati gravi.
Nel caso in esame il ricorrente è prevenuto colpevole di ripetuta falsità in documenti. A norma dell'art. 317 n. 1 cpv. 2 CP, la falsificazione intenzionale di documenti da parte di un notaio è punita con la reclusione fino a cinque anni o con la detenzione non inferiore a sei mesi, ed ha luogo il perseguimento d'ufficio dell'infrazione. Come sopra riferito, la pena comminata, seppur elemento importante, non è ancora determinante per l'esito della ponderazione degli opposti interessi. Potrebbe infatti darsi che, in presenza di singole infrazioni dell'art. 317 n. 1 cpv. 2 CP, l'interesse al perseguimento penale non sia comparativamente di peso tale da autorizzare senz'altro una perquisizione di carte il cui contenuto sia coperto dal segreto professionale del prevenuto.
Alla Corte cantonale non può essere addebitato nella concreta fattispecie alcun arbitrio se, sulla base di gravi indizi emersi nel corso del procedimento penale in oggetto, ha ritenuto fondato il sospetto che il notaio X. abbia, in contratti di compravendita da lui rogati, consapevolmente e intenzionalmente indicato un prezzo inferiore a quello
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pattuito tra le parti. A ciò deve aggiungersi che al ricorrente non vengono imputate singole od occasionali falsificazioni di documenti; l'attività delittuosa di cui egli è prevenuto porta sulla sistematica falsificazione di documenti, perpetrata in almeno una quarantina di casi. Tali circostanze non permettono di far ritenere che il presente sia un caso limite: le circostanze concrete portano senza dubbio alla conclusione che l'interesse pubblico inteso al perseguimento penale dell'attività criminosa è, nella fattispecie, superiore a quello di mantenere il segreto professionale del ricorrente (cfr. ZR 33, 1934, pag. 146 segg.; FREY, ZStrR 72, 1957, pag. 25). Ne consegue che la perquisizione e il sequestro dei documenti presso il ricorrente sono, in linea di principio, coperti dall'interesse pubblico al perseguimento penale. Resterà da decidere se tale interesse copra o meno tutti gli incarti oggetto dell'impugnata decisione.Sotto il profilo del principio fondamentale della proporzionalità deve ancor essere esaminato se con la misura querelata possa esser raggiunto il suo scopo, che è quello di accertare i fatti, e se l'autorità inquirente non disponga a tal fine di altri mezzi. È fuor di dubbio che il sequestro dei documenti riferentisi alle compravendite di fondi qui in discussione è idoneo a fornire all'autorità penale chiarimenti circa le vere intenzioni delle parti. Ne consegue che l'impugnata misura è, di per sé, atta a realizzare lo scopo perseguito. Secondo l'esposizione della CRP, che non appare insostenibile, l'inchiesta in corso presenta notevoli difficoltà a dipendenza dell'atteggiamento reticente e contraddittorio del prevenuto. I documenti sequestrati presso quest'ultimo possono, nel caso concreto, permettere un controllo dell'esattezza delle informazioni fornite dai testi e degli accertamenti eseguiti dagli inquirenti. Tali documenti offrono inoltre la possibilità di far emergere la verità nel caso in cui eventuali ammissioni dei compratori circa rogiti indicanti un prezzo di compravendita inferiore a quello effettivamente pattuito fossero contestate dal prevenuto. Per un'attendibile delucidazione della fattispecie, cui è tenuta l'autorità penale, la perquisizione dei documenti sequestrati si rivela pertanto indispensabile. Ne consegue che la misura contestata è idonea a perseguire lo scopo prefisso; poiché non appare lesiva del principio della proporzionalità, bensì conforme ai precetti costituzionali, la decisione
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impugnata non può, in linea di principio e con riserva di ulteriore esame, essere sindacata dal giudice costituzionale. Occorre altresì rilevare, come giustamente sottolineato dal Sostituto Procuratore pubblico, che l'apertura da parte dell'autorità penale degli incarti sequestrati presso l'ufficio legale e notarile del ricorrente e protetti dal segreto professionale, non equivale a divulgazione del segreto, in quanto anche i membri dell'autorità giudiziaria sono tenuti all'ossequio del segreto (art. 320 CP) e devono porre cura a che il contenuto delle carte perquisite non giunga a conoscenza di persone che non vi hanno diritto (art. 123 cpv. 1 CPP).
5. a) Accertato che il sequestro impugnato non è, in principio, lesivo di alcun diritto costituzionale del ricorrente, resta da esaminare se, nel caso concreto, siano o meno date le condizioni previste dal diritto cantonale per la misura impugnata, o se l'esecuzione della misura stessa sia in contrasto con prescrizioni procedurali.
A norma dell'art. 114 cpv. 1 CPP "non si potrà procedere a perquisizione nelle abitazioni, se non quando esistano gravi indizi che vi si trovi nascosto l'autore di un reato o che vi si possano rinvenire oggetti utili alla scoperta della verità". Interpretando letteralmente questa norma della procedura penale ticinese, devesi concludere che la perquisizione domiciliare si appalesa legittima non appena emergano gravi indizi circa la possibilità di rinvenire oggetti utili a stabilire la verità nell'ambito di un procedimento penale.
Che tale circostanza sia data in concreto risulta già da quanto esposto nei precedenti considerandi; al momento dell'adozione della misura impugnata sussistevano infatti seri motivi per ritenere che negli uffici del ricorrente potessero essere rinvenuti documenti atti a chiarire l'iter che ha portato alla rogazione dei contratti di compravendita ritenuti dall'autorità giudiziaria rilevanti per l'apertura dell'inchiesta penale a carico del notaio X. Secondo il senso della riferita norma, la perquisizione, e quindi il successivo sequestro, non è però ammissibile se non in presenza di gravi indizi di reato. Secondo le regole generali del diritto procedurale, misure quali quelle adottate nei confronti del ricorrente non possono essere decise in assenza di gravi indizi di reato (cfr. art. 33 CPP, riferito all'arresto). Sulla base delle risultanze dell'istruttoria condotta fino al momento in cui è stato emanato il decreto
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impugnato, l'autorità cantonale poteva ammettere senz'arbitrio l'esistenza di gravi indizi secondo cui il notaio X. avrebbe rogato numerosi contratti di compravendita immobiliare nei quali il prezzo della transazione indicato non corrispondeva a quello effettivamente pattuito tra le parti ed effettivamente soluto dai singoli acquirenti. Dall'atto ricorsuale non traspare chiaramente se il ricorrente muove, su questo punto, una censura d'arbitrio alla CRP. Ammettendo che X. abbia sollevato una tale censura, la stessa non può che essere considerata infondata.b) A norma dell'art. 28 cpv. 1 CPP, le sentenze e i decreti suscettibili di essere impugnati devono essere motivati. È incontestato che tale disposto si applica pure ai decreti di perquisizione e di sequestro. Il ricorrente sostiene che la decisione impugnata sarebbe arbitraria, in quanto il decreto del magistrato requirente sarebbe carente di motivazione. Dagli atti acquisiti all'incarto si evince che il decreto del magistrato venne stilato su di un formulario prestampato. Il testo di quella decisione precisava che il sequestro era ordinato nell'ambito di un procedimento penale incoato contro il ricorrente e che dovevano essere colpiti da sequestro gli oggetti che avessero potuto avere una qualche importanza per l'istruzione del processo, sia come mezzi di prova, sia perché soggetti a confisca: tra tali oggetti venivano specialmente indicati alcuni incarti. A tergo del formulario impiegato erano riportate le norme del codice di procedura penale applicate. La motivazione dei decreti di perquisizione e di sequestro può essere stringata, senza con ciò sfociare nell'arbitrio (cfr. in questo senso sentenza inedita del 25 novembre 1974 in re American Express Banking Corporation, consid. 2a; NIEDERER: Die Vermögensbeschlagnahme im schweizerischen Strafprozessrecht, Tesi Zurigo 1968, pag. 48). In particolare, una motivazione sommaria appare sufficiente nei casi in cui, come nella presente fattispecie, il magistrato che ordina una perquisizione procede personalmente all'esecuzione della stessa. L'opinione della CRP, la quale ritiene che il decreto impugnato debba essere considerato sufficientemente motivato, non presta pertanto il fianco a critiche, almeno sotto lo stretto profilo dell'arbitrio; nelle concrete circostanze non occorre quindi esaminare se la seconda stesura, motivata, del decreto impugnato (emanato in data 4 giugno 1975, in sostituzione del decreto 28 maggio 1975) sia o meno viziata da un'eventuale carenza di
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motivazione.c) Il ricorrente fa da ultimo valere che, accanto ai documenti menzionati nel decreto del Sostituto Procuratore pubblico, sarebbero stati sequestrati altri 42 incarti riferentisi a contratti di compravendita circa i quali non sarebbe emerso alcun elemento di prevenzione di reato: tale estensione del sequestro sarebbe, a mente sua, arbitraria. Se è vero che le autorità penali non possono, senza cadere nell'arbitrio, procedere a sequestri indiscriminati di incarti nella vaga speranza di trovare elementi di prevenzione di reato, è pur vero che non può essere preteso dall'autorità penale di enumerare in un decreto di sequestro tutti i documenti che devono essere colpiti dalla misura, con la conseguenza che solo gli incarti espressamente menzionati potrebbero in tal caso essere oggetto di sequestro: l'autorità penale non può infatti sapere preventivamente in ogni caso quali siano gli oggetti "che hanno qualche importanza per l'istruzione del processo" reperibili in sede di perquisizione: rinvenendosi in quella sede oggetti di tal sorta, gli stessi potranno essere sequestrati: l'ordine di sequestro, in quanto riferito in modo generale a documenti che "potrebbero essere di qualche importanza per l'istruzione del processo", non appare pertanto lesivo delle norme della procedura cantonale. È chiaro, come riferito sopra, che l'autorità penale non può, in presenza di gravi indizi di reato a carico di un notaio, procedere alla perquisizione o al sequestro indiscriminato di tutti gli incarti custoditi in uno studio notarile nella indefinita speranza che, eventualmente, in qualche documento possa essere reperito un indizio di un reato qualsiasi (cfr. DTF 98 Ia 426). D'altro canto, il diritto di sequestro della magistratura inquirente non può essere limitato in modo eccessivo. Se esistono elementi positivi atti a far concludere che certi documenti possano essere rilevanti per l'istruzione penale in corso, il relativo sequestro è coperto dalla disposizione di cui all'art. 120 CPP. L'esistenza di tali elementi ricade, per sua stessa natura, nel potere d'apprezzamento degli inquirenti, e il Tribunale federale potrebbe intervenire unicamente qualora risultassero indiscriminatamente sequestrati documenti in merito ai quali non fosse riscontrabile alcuna connessione con il procedimento penale nell'ambito del quale sono stati ordinati la perquisizione e il sequestro. Nella concreta
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fattispecie, per quanto può desumersi dagli atti acquisiti all'incarto, il Sostituto Procuratore pubblico ha esteso il sequestro... (seguono indicazioni sulla natura degli atti sequestrati); la connessione oggettiva con il procedimento penale in corso contro il ricorrente può quindi essere sostenuta senz'arbitrio; pure senz'arbitrio può, d'altro canto, essere sostenuto che, in presenza di seri indizi secondo cui un notaio, in una quarantina di atti di compravendita da lui rogati, avrebbe indicato un prezzo inferiore a quello pattuito fra le parti, gli incarti relativi a tali rogiti possono essere considerati "di una certa importanza per l'istruzione del processo". È ben vero che da tali atti possono venir portati a conoscenza della magistratura penale fatti, coperti dal segreto professionale, non in diretta relazione con il procedimento penale in corso; tale inconveniente, inevitabile, risiede però nella natura stessa della cosa (cfr. sentenza citata del 25 novembre 1974, consid. 3). D'altro canto, gli organi della giustizia penale sono tenuti al segreto di funzione e devono restituire le carte che risultano estranee al processo (art. 123 cpv. 3 CPP) (v. sopra consid. 4 in fine; cfr. sentenza citata del 25 novembre 1974 consid. 3b, c).La censura secondo cui il Sostituto Procuratore pubblico avrebbe violato l'art. 120 CPP sequestrando anche documenti manifestamente estranei al procedimento penale in corso, si rivela così infondata.