BGE 90 II 259
 
30. Estratto della sentenza 10 marzo 1964 della I Corte civile nella causa Schwarzkopf contro Castelli.
 
Regeste
Art. 6 MSchG, Art. 1 Abs. 2 lit. d UWG.
Eine später eingetragene Bildmarke, die sich von der älteren nur dadurch unterscheidet, dass der Kopf weisse Streifen aufweist und die Haare anders gewellt sind, kann zu Verwechslungen Anlass geben.
 
Sachverhalt


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A.- La ditta Hans Schwarzkopf, in Amburgo-Altona, produce e vende prodotti chimici diversi, segnatamente cosmetici per la cura dei capelli. Dal 1924 ha fatto registrare anche in Svizzera tre sue marche: la prima, meramente figurativa, attualmente iscritta sotto N. 120'686, raffigura in nero la sagoma di una testa d'uomo; la seconda,

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registrata sotto N. 158'258, raffigura pure la testa umana nera ma è seguita dalla parola "Charme" in neretto; la terza, N. 158'254, è meramente verbale e costituita dall'indicazione "Schwarzkopf Shampoon Shampoon Tête-Noire".
Il 3 aprile 1954, il dott. Vero Castelli, autore di una formula chimica di lozione per i capelli, ha depositato presso l'Ufficio federale della proprietà intellettuale una marca che venne registrata sotto N. 150'642, concernente un "Prodotto farmaceutico e cosmetico a base di amino acidi" e raffigurante una testa nera di donna tratteggiata in bianco con i capelli al vento a cui è sovrapposta la sigla NH2. Tuttavia, nei prospetti e negli imballaggi, la testa femminile è riprodotta completamente in nero su sfondo giallo e la sigla NH2 risulta in bianco.
La ditta Schwarzkopf, ritenuto che la figura depositata dal dott. Castelli poteva ingenerare confusione con le sue marche, invitò quest'ultimo ad astenersi dall'uso della marca N. 150'642 ed a provvedere perchè la medesima fosse radiata dal registro. Il 2 settembre 1962, visto che le sue diffide erano rimaste infruttuose, Schwarzkopf convenne Castelli davanti alla Camera civile del Tribunale di appello del Canton Ticino, domandando di ordinare la radiazione della marca controversa, di proibirne al titolare qualsiasi uso e di riconoscere il convenuto colpevole di concorrenza sleale.
B.- La petizione di Schwarzkopf è stata respinta dalla Corte cantonale con sentenza 18 settembre 1963, le cui motivazioni possono essere riassunte come segue.
Contrariamente a quanto afferma il convenuto, la figura di una testa umana non costituisce un cosiddetto segno libero che, a causa della sua generale divulgazione, abbia perso ogni sua individualità e sia divenuto segno comune per indicare un determinato genere di merce. Infatti, tale figura non indica, per sè sola, alcuna merce; può indicarla soltanto qualora, grazie ad ulteriori elementi distintivi, sia messa in relazione con la provenienza di un determinato

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prodotto. Tale è il caso per le marche della ditta Schwarzkopf nelle quali il colore nero della sagoma di testa d'uomo è messa in relazione con il nome della ditta produttrice (schwarzer Kopf).
Tuttavia, un segno inizialmente individuale può diventare di pubblico dominio qualora sia usato liberamente dalla generalità dei produttori di una determinata merce ed abbia così definitivamente perso ogni potere distintivo. In concreto non è provato che una siffatta divulgazione del controverso segno, come indicazione di cosmetici per i capelli, si sia verificata.
Invece si deve ammettere che la suindicata figura sia un segno debole, vale a dire che non ha uno spiccato carattere distintivo, così che per imporsi all'attenzione del pubblico debba presentarsi in forme o combinazioni particolari che le conferiscano una individualità. Altrettanto dicasi quando l'interessato tollera l'uso di marche più o meno analoghe alla sua, conseguendo il risultato che il pubblico si abitua alla coesistenza di marche poco differenziate.
Tale è il caso anche per la marca Schwarzkopf. Come risulta dagli atti, da una ventina di anni a questa parte sono state depositate almeno una dozzina di marche per prodotti cosmetici aventi come segno dominante la figura di una testa umana, così che l'attrice non è più legittimata a rivendicare l'uso esclusivo di quella figura. Essa ha soltanto il diritto di esigere che la nuova marca differisca sufficientemente per evitare una facile confusione con la marca già iscritta. Le marche delle due parti, pur considerando irrilevante la sovrapposizione della sigla NH2 in quella del dott. Castelli, si distinguono facilmente in modo da escludere una facile confusione. Quella del convenuto pone l'accento sulla lunga e animata chioma al vento e colpisce con questo elemento caratteristico e predominante l'attenzione del pubblico e, pertanto, si differenzia chiaramente da quella dell'attrice.
C.- Schwarzkopf ha tempestivamente interposto al Tribunale federale un ricorso per riforma, con il quale

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domanda l'annullamento della sentenza cantonale e l'accoglimento delle sue domande petizionali. Le sue argomentazioni possono essere riassunte come segue.
La Corte cantonale, esaminando la possibilità di confusione fra le marche delle due parti, ha considerato per l'attrice solo le due registrate ai N. 120'686 e 158'254, trascurando la marca mista, figurativa e verbale N. 158'258 che maggiormente si presta a confnsione con quella del convenuto. Già per questa ragione la sentenza cantonale deve essere annullata.
Ad ogni modo, la Corte cantonale, ammettendo che la marca del convenuto si differenzia sufficientemente da quelle dell'attrice, precedentemente depositate, ha violato l'art. 6 LMF. Non è vero che queste marche costituiscano segni deboli. L'elemento colorativo, la cui rilevanza è stata sottovalutata dalla Corte di appello, è così importante che l'attrice si era dichiarata disposta a consentire al dott. Castelli l'uso della figura di testa umana in altro colore. Questi, respingendo una proposta in tal senso, ha dimostrato di voler trarre profitto dalla possibile confusione con i prodotti, universalmente noti, della ditta Schwarzkopf. Egli ha d'altronde confermato questa sua intenzione facendo uso, nei prospetti e negli imballaggi, di una figura completamente nera, anzichè della sagoma tratteggiata riprodotta nella sua marca. Se avesse anche solo tentato di distinguere la sua marca da quella dell'attrice, avrebbe determinato il suo segno di testa umana in una foggia e soprattutto in un colore diverso. Comunque, modificando nella pratica, senza plausibile motivo, la marca depositata, il dott. Castelli ha aumentato il rischio di confusione e si è, quindi, reso colpevole anche di concorrenza sleale.
L'addebito fatto dalla Corte cantonale all'attrice, di aver indebolito le sue marche tollerando anche nelle marche di terzi l'uso della figura di testa umana, è infondato. Comunque, la Corte cantonale ha riconosciuto che la figura nera di testa umana non costituisce segno libero, per cui il diritto dell'attrice alla tutela della sua marca sarebbe innegabile,

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anche se la stessa avesse tollerato in un caso l'uso di una marca similare.
D.- Il convenuto propone di respingere il ricorso. In particolare, egli contesta la ricevibilità delle critiche agli accertamenti di fatto esposte dalla ricorrente e nega che l'attrice gli abbia fatto la proposta di far uso del segno della testa umana in un altro colore. Egli avrebbe acconsentito ad una soluzione in tal senso della vertenza, ma l'attrice non avrebbe accettato tale proposta.
E.- Il Tribunale federale ha accolto il ricorso,
 
Considerando in diritto:
Invece, potrebbe disputarsi se la figura in questione non sia divenuta da marca protetta, segno libero ed abbia perso ogni potere distintivo individuale a motivo della sua generale divulgazione nel commercio di un determinato prodotto. Senonchè ciò esigerebbe che una siffatta trasformazione avesse annullato presso la cerchia di tutti gli interessati la consapevolezza della appartenenza della marca ad un determinato prodotto o ad un determinato produttore (RU 62 II 325, 83 II 219). Ora, secondo gli accertamenti vincolanti della sentenza impugnata, ciò non è provato, non bastando, per ammettere un uso generalizzato, che un certo numero di produttori di lozioni per capelli abbiano usato ed usino un profilo di testa nella loro marca.
3. Ciò stante, il segno depositato dall'attrice poteva

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costituire oggetto di una marca di fabbrica. Ne consegue che la marca successivamente depositata dal convenuto è valida soltanto se, a'sensi dell'art. 6 cpv. 1 LMF, si distingue per caratteri essenziali da quella del ricorrente.
Per accertare l'adempimento di questa condizione, giova esaminare separatamente le marche delle due parti, determinando l'impressione generale e durevole che i diversi elementi essenziali lasciano nella mente dei presumibili compratori. In proposito si deve tener conto del grado di attenzione che è lecito attendersi dalla clientela interessata, avuto riguardo che, qualora le controverse marche concernano merci destinate al medesimo uso, l'acquirente non presta di regola una particolare attenzione (RU 83 II 220, 87 II 36 consid. 2 b, 88 II 376, 379).
a) La figura di testa umana, riprodotta nella marca dell'attrice, può essere utilizzata come simbolo di svariati prodotti, ma non indica per sè sola una determinata provenienza dei medesimi. Essa ha potuto perciò essere impiegata, nello spazio di una ventina di anni, per rappresentare almeno nove diversi prodotti cosmetici di altrettanti produttori. Si potrebbe pertanto conseguirne che abbia una individualità insignificante e che l'abbia persa in virtù dell'uso commerciale generalizzato, e concludere che, come statuito nella giurisprudenza, trattasi di un segno debole non opponibile a marche successive per difetto di potere distintivo (RU 63 II 285, 73 II 188, 79 II 100, 83 II 221).
Tuttavia un segno che, nelle sue forme generiche, può apparire debole, può nondimeno assumere una propria individualità ed essere, quindi, degno della tutela legale, se si presenta in fogge o combinazioni che ne richiamino la provenienza nella memoria della clientela interessata (RU 58 II 454/55); oppure quando, grazie ad una lunga pratica e ad una pubblicità appropriata, appaia nella cerchia degli interessati come il normale segno distintivo di una determinata casa produttrice (RU 83 II 221 e citazioni).
In concreto, l'attrice non rivendica il segno generico di una testa umana, ma quello particolare di una testa nera

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che costituisce l'espressione figurativa del suo nome. Per un elementare fenomeno psicologico, una siffatta marca è suscettibile di provocare nella clientela l'immediata immedesimazione della immagine riprodotta sull'imballaggio con il nome della ditta produttrice. Al riguardo, poco importa che tale individuazione si verifichi solo per effetto del colore: la giurisprudenza ha ripetutamente statuito che il colore della marca, grazie all'impressione che scolpisce nella memoria dell'acquirente, possiede una speciale forza individuatrice, onde, in particolari combinazioni con altri elementi, merita la protezione legale (RU 58 II 454/55, 61 II 385).
Non vi è dubbio che i prodotti della ricorrente si sono da tempo imposti nel commercio nel tipico segno della testa nera; tanto più che l'attrice, valendosi di un suo diritto, ha approfittato dello speciale potere di individuazione del suo nome, riproducendolo anche in una marca verbale. È vero che la ricorrente, tollerando l'esistenza di un certo numero di marche analoghe, può aver conseguito un indebolimento della sua nei confronti di quelle marche, ma tale circostanza non le impedisce di opporsi ad una nuova marca che non si distingua sufficientemente dalla propria, visto che quest'ultima - come sopra dimostrato - non è diventata di pubblico dominio (RU 73 II 61 consid. 1, 189 consid. 4, 76 II 394).
La marca dell'attrice possiede quindi un potere distintivo certo. Per stabilire se una marca successivamente depositata si distingua sufficientemente dalla medesima e sia quindi legittima, occorre poi tener conto che i relativi prodotti sono acquistati sia da persone del ramo, come profumieri e parrucchieri, sia dalla massa dei consumatori, dai quali, già per la varietà dei prodotti del genere, non è possibile nè attendersi nè pretendere un'attenzione più che superficiale, di modo che una rassomiglianza anche lontana è sufficiente a far scambiare un prodotto per l'altro.
b) Contrariamente a quanto esposto nella sentenza impugnata, la marca depositata dal convenuto, vista nel

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suo aspetto generale, lascia nella memoria dell'acquirente in primo luogo il ricordo di un profilo di testa umana e in secondo luogo quello del colore nero di tale profilo. La tratteggiatura nera, come è ad esempio presente sulle fiale, invece della colorazione piena nera, non è, soprattutto se i tratti sono molto vicini l'uno all'altro, un elemento di distinzione sufficiente per modificare durevolmente e per caratteri essenziali l'impressione d'assieme. Il dettaglio della chioma al vento non possiede un potere di richiamo così elevato da sovrapporsi all'immagine dominante del profilo di testa nera, segnatamente per chi non leghi l'acquisto all'esercizio di una particolare attenzione, come in concreto, ove si tratta di un prodotto di uso abbastanza frequente e che non esige una spesa fuori dell'ordinario. La formula chimica NH2 sovrapposta alla figura, come ha già rilevato la Corte cantonale, non ha significato per il pubblico acquirente, che non è costituito di chimici o di farmacisti e non è che un'indicazione sulla composizione della lozione. Essa potrebbe anzi contribuire a far credere che si tratti unicamente di una specialità del medesimo fabbricante. Ciò basterebbe per ammettere il rischio di confusione che la legge intende appunto evitare (RU 61 II 56, 87 II 38 e citazioni).
La marca del convenuto adotta il concetto espresso in quella della controparte senza possedere, a sua volta, una particolare originalità grafica (non lo è il profilo di una testa di donna invece che di uomo) che imprima nel ricordo un'immagine differente, ed essendo così idonea a suscitare un'analoga associazione di idee, rende più difficile l'identificazione della provenienza dei due prodotti. Esiste quindi senz'altro il rischio che l'acquirente metta il prodotto del convenuto in relazione con quelli della ditta attrice e gli attribuisca la medesima provenienza. Il pericolo di confusione aumenta, qualora il convenuto usi la propria marca, come effettivamente avviene, non con la figura di testa di donna tratteggiata secondo il deposito e l'iscrizione nel registro, bensì con colorazione nera piena.


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Ciò vale anche nel confronto con la marca verbale dell'attrice (Schwarzkopf/Tête noire), che traduce in parole il contenuto essenziale della figura, come a sua volta la marca figurativa è la rappresentazione grafica del contenuto essenziale del nome della ditta attrice (cfr. anche MATTER, p. 114; TROLLER, Immaterialgüterrecht vol. I p. 251).
Occorre infine tener presente che il convenuto avrebbe potuto scegliere facilmente un altro profilo od un'altra figura o disegno di testa umana e comunque un profilo che si differenziasse da quello dell'attrice soprattutto nel colore e non solo in un elemento, nel caso in esame accessorio e secondario, come l'aspetto della capigliatura.
Il Reichsgericht ha, è vero, respinto un'azione della Schwarzkopf contro una ditta che aveva pure adottato nella sua marca una figura di testa nera, ma esso ha motivato il suo giudizio, facendo rilevare che, in tal caso, la figura di testa nera appariva d'importanza del tutto accessoria e marginale, poichè l'accento principale e quasi esclusivo eravi posto sui lunghi capelli ondulati e perchè all'elemento figurativo era aggiunta la marca verbale "Wella" o "Wellin" con una sottolineatura pure ondulata, richiamante immediatamente l'idea dell'onda e capelli ondulati (Zeitschrift für gewerblichen Rechtsschutz und Urheberrecht, pag. 216 e seg.). Questi elementi distintivi non si ritrovano nella marca del convenuto. La capigliatura al vento non sovrasta il profilo della testa nera e la figura così creata non possiede una originalità così spiccata da creare una marca nuova con significato autonomo, tale da escludere ragionevolmente il rischio di confusione con le marche dell'attrice.
4. Contro l'uso in qualità di marca di una figura diversa da quella registrata stanno a favore dell'attrice le azioni previste dalla LMF. Il fatto di usare la marca in una forma diversa da quella depositata ed ancor più simile a quella dell'attrice costituisce, tuttavia, nelle concrete circostanze, anche un atto di concorrenza sleale, essendo procedimento idoneo a ingenerare confusione con la merce

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altrui (art. 1 cpv. 2 lett. d LCS: cf. anche RU 82 II 236 in medio). È altresì atto di concorrenza sleale, secondo la norma testè citata applicabile cumulativamente con la LMF, l'uso da parte del convenuto della marca imitata, su prospetti e stampati (RU 87 II 39 consid. 3).