BGE 135 II 274 |
28. Estratto della sentenza della II Corte di diritto pubblico nella causa Divisione delle contribuzioni del Cantone Ticino contro A. SA (ricorso in materia di diritto pubblico) |
2C_673/2008 del 9 febbraio 2009 |
Regeste |
Art. 137 und 138 DBG; Quellensteuer; Rückerstattung durch die Veranlagungsbehörde zu viel bezahlter Steuern; Frist für den Rückerstattungsantrag. |
Sachverhalt |
Cittadino italiano titolare di un permesso di dimora, B. ha lavorato nel 2005 come venditore per la A. SA. Dal suo salario lordo quest'ultima ha trattenuto l'imposta alla fonte in base ad un'aliquota del 16,311 %, riversando poi il relativo importo alle competenti autorità fiscali. |
Il 25 luglio 2006 la A. SA ha segnalato all'Ufficio cantonale delle imposte alla fonte che il tasso doveva in realtà essere del 13,70 % ed ha perciò chiesto la restituzione della somma versata in eccesso. L'istanza è tuttavia stata respinta. Con decisione del 24 ottobre 2006 l'autorità di tassazione ha poi confermato tale pronuncia anche su reclamo. A suo giudizio gli interessati avrebbero potuto chiedere una decisione sull'estensione dell'assoggettamento soltanto entro la fine di marzo del 2006, mentre dopo la scadenza di questo termine di perenzione una modifica della tassazione avrebbe potuto intervenire soltanto in presenza di motivi di revisione, in concreto non dati.
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Contro la decisione su reclamo, la A. SA è insorta dinanzi alla Camera di diritto tributario del Tribunale d'appello che, con sentenza dell'11 agosto 2008, ha invece accolto il ricorso e rinviato gli atti per nuova decisione all'Ufficio delle imposte alla fonte. In sostanza la Corte cantonale ha ritenuto che in assenza di una decisione formale la tassazione alla fonte non era ancora cresciuta in giudicato e che l'importo versato in eccesso poteva e doveva quindi venir restituito.
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Il 15 settembre 2008 la Divisione delle contribuzioni del Cantone Ticino ha presentato un ricorso in materia di diritto pubblico dinanzi al Tribunale federale con cui ha chiesto di annullare la sentenza della Camera di diritto tributario e di confermare la decisione su reclamo.
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Il Tribunale federale ha respinto il ricorso.
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(riassunto)
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Dai considerandi: |
Erwägung 2 |
Erwägung 3 |
3.1 Secondo un principio generale, le devoluzioni fatte in ragione di motivi che poi non si avverano, che in realtà non sussistono o che in seguito vengono a cadere devono essere restituite, a meno che la legge preveda il contrario. Codificata all'art. 62 cpv. 2 CO per il diritto privato, questa regola vale anche nell'ambito del diritto pubblico (HÄFELIN/MÜLLER/UHLMANN, Allgemeines Verwaltungsrecht, 5a ed. 2006, n. 760; RHINOW/KRÄHENMANN, Schweizerische Verwaltungsrechtsprechung, Ergänzungsband, 1990, n. 32 B I pag. 93). Nel diritto tributario, essa implica che le imposte non dovute devono sostanzialmente essere restituite (sentenza 2A.320/2002 / 2A.326/2002 del 2 giugno 2003 consid. 3.2, in ASA 74 pag. 666). La restituzione di prestazioni effettuate sulla base di una decisione formalmente cresciuta in giudicato è però possibile soltanto qualora vi sia un motivo per ritornare su tale decisione (RHINOW/KRÄHENMANN, op. cit., n. 32 B II pag. 93). |
Erwägung 4 |
4.1 Sotto il titolo marginale "Decisione", l'art. 137 LIFD stabilisce che in caso di contestazione sulla ritenuta d'imposta, il contribuente o il debitore della prestazione imponibile può esigere dall'autorità di tassazione, sino alla fine del mese di marzo dell'anno che segue la scadenza della prestazione, una decisione in merito all'esistenza e all'estensione dell'assoggettamento (cpv. 1); il debitore della prestazione imponibile è tenuto ad operare la trattenuta sino a quando la decisione è cresciuta in giudicato (cpv. 2). L'art. 138 LIFD è invece intitolato "Pagamento degli arretrati e restituzione". Esso prevede che se il debitore della prestazione imponibile non ha operato oppure ha operato solo in parte la ritenuta d'imposta, l'autorità di tassazione lo obbliga a versare l'imposta non trattenuta. Rimane salvo il regresso del debitore nei confronti del contribuente (cpv. 1). La norma dispone inoltre che se ha operato una trattenuta troppo elevata, il debitore della prestazione imponibile deve restituire la differenza al contribuente (cpv. 2). |
Erwägung 5 |
5.2.1 Considerata la limitazione temporale del diritto di richiedere una decisione impugnabile, una parte della dottrina sostiene che alla scadenza di tale limite la ritenuta d'imposta alla fonte operata dal debitore della prestazione imponibile diverrebbe "definitiva" come se fosse stata resa una pronuncia cresciuta in giudicato (ZIGERLIG/JUD, op. cit., n. 4 ad art. 137 LIFD; RICHNER/FREI/KAUFMANN, Handkommentar zum DBG, 2003, n. 3 ad art. 137 LIFD). Una simile tassazione cresciuta in giudicato potrebbe di conseguenza venir rimessa in discussione soltanto mediante una procedura di revisione o di recupero d'imposta (ZIGERLIG/JUD, loc. cit.; RICHNER/FREI/KAUFMANN, loc. cit.). Tuttavia, qualora la trattenuta dell'imposta alla fonte si rivelasse insufficiente, con una cosiddetta decisione di pagamento degli arretrati ai sensi dell'art. 138 cpv. 1 LIFD l'autorità fiscale potrebbe comunque chiedere il versamento dell'importo mancante anche dopo la scadenza del termine ed indipendentemente dalla realizzazione delle condizioni stabilite dagli art. 151 segg. LIFD (ZIGERLIG/JUD, op. cit., n. 1 ad art. 138 LIFD; RICHNER/FREI/KAUFMANN, op. cit., n. 3 ad art. 137 LIFD; nello stesso senso, cfr. anche AGNER/JUNG/STEINMANN, op. cit., ad art. 138 LIFD, i quali rilevano che il diritto federale non disciplina in che forma ed entro quali termini le autorità fiscali devono chiedere il pagamento degli arretrati; cfr. pure ZIGERLIG/RUFENER, in Kommentar zum schweizerischen Steuerrecht, vol. I/1: Bundesgesetz über die Harmonisierung der direkten Steuern der Kantone und Gemeinden, 2a ed. 2002, n. 4 ad art. 49 LAID). |
La validità di questa regola è tra l'altro dimostrata dall'esame dei regimi di tassazione spontanea esistenti sul piano federale. In caso di contestazione sull'imposizione, negli stessi è infatti sempre prevista la competenza decisionale dell'Amministrazione federale delle contribuzioni (cfr. l'art. 38 della legge federale del 27 giugno 1973 sulle tasse di bollo [LTB; RS 641.10], l'art. 63 della legge federale del 2 settembre 1999 concernente l'imposta sul valore aggiunto [LIVA; RS 641.20] e l'art. 41 della legge federale del 13 ottobre 1965 sull'imposta preventiva [LIP; RS 642.21]). Inoltre è solo sulla base di una decisione cresciuta in giudicato che la pretesa fiscale cresce anch'essa in giudicato e che l'autorità tributaria dispone di un titolo di rigetto definitivo dell'opposizione (HANS-PETER HOCHREUTENER, in Kommentar zum schweizerischen Steuerrecht, vol. II/2: Bundesgesetz über die Verrechnungssteuer, 2005, n. 10 segg. ad art. 41 LIP). L'art. 8 cpv. 1 dell'ordinanza del 3 dicembre 1973 concernente le tasse di bollo (OTB; RS 641.101) e l'art. 12 cpv. 1 dell'ordinanza del 19 dicembre 1966 di esecuzione della legge federale sull'imposta preventiva (OIPrev; RS 642.211) sanciscono poi espressamente che nella misura in cui non sono stati determinati con una decisione dell'Amministrazione federale delle contribuzioni, al momento in cui è accertato che non erano dovuti, detti tributi devono essere restituiti (CONRAD STOCKAR, in idem, n. 13 ad art. 38 LIP).
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Sanciti in relazione all'imposta sul valore aggiunto ed in particolare in riferimento a cambiamenti di prassi, questi principi non possono essere automaticamente trasposti ad un'imposta alla fonte come quella in esame, calcolata per errore secondo un tasso troppo elevato. Le differenze sono infatti troppo marcate. In primo luogo nel caso dell'imposta alla fonte il debitore della prestazione imponibile non è nel contempo anche il contribuente. Non vi sono inoltre prassi determinate che si possono ritenere convincenti oppure nei confronti delle quali si possono esprimere riserve. Né vi sono tre sole aliquote d'imposizione possibili; al contrario, il debitore della prestazione imponibile è confrontato con un gran numero di tabelle che contengono innumerevoli tassi differenti, per cui le potenziali fonti d'errore sono assai maggiori. Fa difetto infine anche il motivo principale della prassi restrittiva in tema di imposta sul valore aggiunto, in quanto con le proprie constatazioni il contribuente non stabilisce nel contempo anche le basi per la deduzione dell'imposta precedente da parte del destinatario delle forniture o delle prestazioni (sentenza 2A.320/2002 / 2A.326/2002 del 2 giugno 2003 consid. 3.4.3.4, in ASA 74 pag. 666). |
Dagli art. 137 cpv. 1 LIFD e 210 cpv. 1 LT non può del resto venir dedotto che alla fine di marzo di ogni anno la ritenuta d'imposta dell'anno precedente, anche senza decisione formale, cresce in giudicato. Una simile conclusione non s'impone nemmeno se si considera, come la dottrina maggioritaria, che il limite temporale di tre mesi costituisce un termine di perenzione. Come osservato, questo limite ha l'effetto di pregiudicare la possibilità di contestare ulteriormente l'esistenza dell'obbligo fiscale. Per contro, dal momento che in base all'art. 138 cpv. 1 LIFD e all'art. 211 cpv. 1 LT il fisco ha la facoltà di esigere in maniera agevolata, anche dopo la scadenza del termine, il pagamento di imposte alla fonte trattenute in misura insufficiente, occorre riconoscere un'analoga facoltà anche in favore del contribuente, rispettivamente del debitore della prestazione imponibile, fondata sull'art. 138 cpv. 2 LIFD e sull'art. 212 cpv. 2 LT. Tra il fisco ed il contribuente, rispettivamente il suo sostituto fiscale deve infatti vigere il principio della parità delle armi. Tant'è vero, ad esempio, che la revisione ai sensi degli art. 147 LIFD e 232 LT ed il recupero d'imposta giusta gli art. 151 LIFD e 236 LT sono concepiti in maniera assolutamente speculare. |
Le differenti funzioni assunte dall'ente pubblico da un lato e dal contribuente, rispettivamente dal debitore della prestazione imponibile dall'altro non giustificano che le pretese ulteriori da parte del fisco siano ammesse in maniera ampia mentre le restituzioni a suo carico lo siano soltanto in maniera assai limitata. Il principio generale illustrato all'inizio (cfr. consid. 3.1) verrebbe altrimenti eccessivamente svuotato di contenuto e soprattutto interpretato in maniera del tutto unilaterale. D'altronde non è dato di vedere perché le ragioni di sicurezza del diritto evocate a sostegno della soluzione restrittiva non dovrebbero valere anche in riferimento alle richieste di pagamento degli arretrati da parte delle autorità fiscali.
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5.5 Va parimenti considerato che il parallelismo tra il recupero degli arretrati e la restituzione è in ogni caso prassi corrente nei rapporti intercantonali. In tale contesto, secondo la concezione dell'art. 38 LAID, il datore di lavoro opera la ritenuta dell'imposta alla fonte secondo il diritto del suo cantone di domicilio, di sede o dello stabilimento d'impresa; se tuttavia un dipendente abita in un altro cantone gli sono applicabili le aliquote di questo secondo cantone. Le procedure di conguaglio vengono di conseguenza svolte direttamente con il contribuente e ciò indistintamente sia per quanto concerne eventuali pretese per arretrati sia per eventuali restituzioni. La restituzione non può inoltre venir subordinata alla presentazione di un'istanza entro un dato termine, ma dev'essere operata d'ufficio (cfr. Conferenza dei funzionari fiscali, Harmonisierte kantonale Quellensteuerordnung, 1994, pag. 71 seg.; ZIGERLIG/RUFENER, op. cit., n. 6 ad art. 38 LAID). Queste regole valide nelle relazioni intercantonali non possono peraltro venir disattese nemmeno nei rapporti internazionali, poiché non vi sarebbero motivi oggettivi a giustificazione della disparità di trattamento. |
Erwägung 6 |
La ricorrente si confronta solo in parte con questa tesi. Essa sostiene che il limite di tempo di cui agli art. 137 cpv. 1 LIFD e 210 cpv. 1 LT sia un termine di perenzione, introdotto per ragioni di sicurezza del diritto, e che alla scadenza del medesimo la ritenuta d'imposta alla fonte cresca in giudicato. La forza di cosa giudicata decadrebbe unicamente qualora fossero adempiuti i presupposti di una revisione giusta gli art. 147 segg. LIFD e 232 segg. LT, ciò che, alla luce della sentenza 2A.294/1998 del 2 novembre 1998, segnatamente del suo consid. 6 (cfr. ASA 70 pag. 755), non sarebbe il caso.
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6.2 A queste considerazioni va obiettato che la sentenza menzionata riguardava ancora l'applicazione del decreto federale del 9 dicembre 1940 concernente la riscossione di un'imposta federale diretta (DIFD). Questa normativa non prevedeva espressamente la percezione di un'imposta alla fonte, per cui l'imposta federale diretta per i lavoratori senza permesso di domicilio era in un certo senso inglobata nell'imposta cantonale alla fonte (sentenza 2A.294/1998 del 2 novembre 1998 consid. 3b/bb, in ASA 70 pag. 755). Il diritto ginevrino allora in vigore prevedeva inoltre una facoltà di reclamo del contribuente contro il conteggio dell'imposta alla fonte e nel caso specifico si era ritenuta la tassazione cresciuta in giudicato proprio perché non era stato interposto alcun reclamo. Ad ogni modo, in assenza di censure su questo punto, il Tribunale federale non aveva dovuto approfondire la questione, ma era potuto partire dal presupposto che vi era una tassazione definitiva. |
Le due situazioni non sono poi comparabili anche perché il DIFD non conteneva disposizioni specifiche sulla revisione ed erano quindi state mutuate a titolo ausiliario regole analoghe, applicate comunque in maniera assai restrittiva. Per di più nella fattispecie la Corte cantonale non ha ritenuto adempiuti i presupposti per una revisione ai sensi degli art. 147 LIFD e 232 LT, bensì quelli per una restituzione fondata sugli art. 138 cpv. 2 LIFD e 211 cpv. 2 LT. Su questo problema la sentenza citata dalla ricorrente non poteva evidentemente esprimersi, essendo riferita ad un'imposta alla fonte per il 1993. Detta sentenza è infine stata commentata in modo critico dalla dottrina (BEHNISCH/LOCHER, Die steuerrechtliche Rechtsprechung des Bundesgerichts des Jahres 1998, ZBJV 136/2000 pagg. 334 segg., in part. pagg. 343 seg.; JEAN-MARC RIVIER, in RDAF 1999 II pag. 146).
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Non è nemmeno sostenibile affermare che l'art. 138 cpv. 2 LIFD e l'art. 211 cpv. 2 LT non costituiscono una sufficiente base legale per fondare l'obbligo di restituzione. Certo, come esposto, queste norme non conferiscono esplicitamente una simile prerogativa nei confronti del fisco. Quest'ultima deve però venir riconosciuta quale diritto insito nelle disposizioni evocate, in particolare in virtù dei titoli marginali delle stesse, dell'art. 16 OIFo e delle regole invalse nei rapporti intercantonali.
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Infine non si può nemmeno imputare al contribuente una violazione dei propri doveri di diligenza. In effetti il caso concreto non riguarda una situazione in cui, nell'ambito della ritenuta dell'imposta alla fonte, si è omesso di prendere in considerazione taluni oneri familiari, come era il caso nella fattispecie alla base della più volte ricordata sentenza 2A.294/1998. È invece stata applicata la pertinente tabella fiscale, ma il debitore della prestazione imponibile si è sbagliato sull'aliquota determinante. Il contribuente avrebbe quindi potuto accorgersi dell'errore soltanto procurandosi egli stesso le relative tabelle fiscali, ciò che, considerata anche la professione svolta, non si poteva in realtà pretendere che facesse. Per di più un'eventuale negligenza imputabile al debitore della prestazione imponibile o al suo rappresentante non potrebbe comunque ostare alla restituzione dell'imposta trattenuta in eccesso poiché gli art. 147 cpv. 2 LIFD e 232 cpv. 2 LT, concepiti per una procedura di imposizione mista, non possono venir trasposti in maniera analoga ad una procedura fondata sul principio della tassazione spontanea. |