133 V 169
Urteilskopf
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24. Estratto della sentenza della I Corte di diritto sociale nella causa Segretariato di Stato dell'economia contro H. nonchè Tribunale delle assicurazioni del Cantone Ticino (ricorso di diritto amministrativo)
C 124/06 del 25 gennaio 2007
Regeste
Der voll arbeitslose Grenzgänger (ein in Italien wohnhafter Schweizer Bürger), welcher aussergewöhnlicherweise im letzten Beschäftigungsstaat (Schweiz) persönliche und berufliche Bindungen solcher Art aufrechterhält, dass er dort über die besten Möglichkeiten für eine berufliche Wiedereingliederung verfügt, fällt in den Anwendungsbereich des Art. 71 Abs. 1 Bst. b der Verordnung Nr. 1408/71. Er kann in diesem Staat (Schweiz) Arbeitslosenentschädigung geltend machen, sofern er die übrigen gesetzlichen Voraussetzungen erfüllt. Begriff des "echten", aber atypischen Grenzgängers. Anwendungsfall der vom Gerichtshof der Europäischen Gemeinschaften in der Rechtssache Miethe (1/85, Slg. 1986, S. 1837) entwickelten Rechtsprechung (E. 7.1 und 10.2-10.4).
A. H., di nazionalità elvetica, è nato (...) e cresciuto in Svizzera, dove ha conseguito il diploma di impiegato di commercio. Eccezion fatta per il periodo aprile 1966 - dicembre 1969 in cui è stato alle dipendenze della ditta B., egli ha sempre lavorato in Svizzera, dapprima a Z. e in seguito, a partire dal 1999 e fino al 2004, in Ticino presso la Banca X. SA in qualità di responsabile reparto lettere di credito e garanzie. Proveniente da Z., l'interessato ha abitato in Ticino dal 1999 al mese di giugno 2001, quando si è trasferito a P. (Italia), paese sito in prossimità della frontiera, dove ha acquistato un'abitazione. A causa della fusione con un altro istituto di credito, l'interessato si è visto disdire il rapporto di lavoro che lo legava alla sua banca con effetto al 29 febbraio 2004.
A margine di un momento informativo organizzato dall'Ufficio regionale di collocamento di Lugano (URC) per i dipendenti della banca toccati dalla misura, H. ha domandato al caposede dell'URC, O., e a C. dell'O. alcune informazioni in merito alla sua posizione di svizzero residente in Italia, ricevendo in risposta l'indicazione che, in qualità di frontaliere, poteva richiedere le prestazioni dell'assicurazione contro la disoccupazione soltanto in Italia, eccezione fatta per la possibilità di inoltrare una domanda di esportazione delle prestazioni in Svizzera per al massimo tre mesi impegnandosi a ricercare attivamente un nuovo impiego in Ticino. In seguito a tali e ad altre informazioni, l'interessato si è rivolto alle autorità italiane, più precisamente all'Istituto nazionale italiano di previdenza sociale (INPS), ottenendo - per nove mesi - indennità di disoccupazione ordinarie (EUR 840 al mese); la richiesta di poter beneficiare del sostegno speciale previsto in favore dei lavoratori frontalieri gli è per contro stata respinta dalle medesime autorità per il motivo che non era - e nemmeno poteva esserlo, essendo di cittadinanza svizzera - in possesso di una carta di frontaliere emessa dalle autorità elvetiche.
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In seguito alla pubblicazione di una pronuncia in materia emessa dal Tribunale delle assicurazioni del Canton Zurigo, di cui l'interessato sarebbe (casualmente) venuto a conoscenza, e in particolare dopo un'interrogazione presso il Segretariato di Stato dell'economia (seco), H. ha quindi appreso, nel giugno 2005, della possibilità potenziale di beneficiare dell'indennità di disoccupazione in Svizzera qualora avesse adempito i presupposti per essere considerato un "falso" frontaliere. Sulla base di tali indicazioni e dopo avere consultato uno studio legale specializzato in diritto europeo d'oltre Gottardo, egli si è di conseguenza, il 1° luglio 2005, annunciato all'URC di Lugano e ha rivendicato il diritto a indennità di disoccupazione a partire dal 1° marzo 2004 facendo valere la sua posizione di "falso" frontaliere.
Mediante decisione del 28 luglio 2005, sostanzialmente confermata il 1° settembre seguente anche in seguito all'opposizione dell'interessato, la Cassa cantonale di disoccupazione ha respinto la richiesta di prestazioni dal 1° luglio 2005 in quanto, nel termine quadro compreso tra il 1° luglio 2003 e il 30 giugno 2005, l'assicurato aveva esercitato un'attività salariata soggetta a contribuzione unicamente dal 1° luglio 2003 al 29 febbraio 2004 e non poteva per il resto fare valere un motivo di esenzione. Inoltre, ha motivato il rifiuto con il fatto che l'interessato non aveva alcuna residenza in Svizzera.
B. H. si è aggravato al Tribunale delle assicurazioni del Cantone Ticino, il quale, per pronuncia del 28 marzo 2006, ha accolto il gravame e retrocesso gli atti all'amministrazione per nuovo esame del diritto alle indennità di disoccupazione a partire dal 1° marzo 2004. L'autorità giudiziaria cantonale ha dapprima osservato come la Cassa di disoccupazione, rifiutando le prestazioni dal luglio 2005, avesse in realtà anche inteso negarle a titolo retroattivo dal 1° marzo 2004. Constatando poi che l'assicurato non aveva fatto valere il diritto alle indennità entro il termine (perentorio) legale di tre mesi dalla fine del periodo di controllo di riferimento, ha verificato se comunque esistevano ragioni atte a giustificare il ritardo e ad ammettere una eventuale restituzione del termine. I primi giudici hanno in seguito esaminato se l'interessato era effettivamente legittimato a introdurre domanda di indennità di disoccupazione in Svizzera in virtù delle disposizioni dell'Accordo sulla libera circolazione delle persone. Richiamandosi alla pertinente giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee (CGCE), hanno
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in particolare accertato che egli aveva mantenuto stretti legami personali e professionali con la Svizzera, paese che gli garantiva le migliori possibilità di reinserimento professionale, e che, in virtù di tale giurisprudenza, andava considerato un "falso" frontaliere, cui doveva essere riservato il diritto di scegliere in quale Stato, tra la Svizzera e l'Italia, richiedere le indennità di disoccupazione. Tutelando la buona fede dell'assicurato nelle informazioni erronee, o quantomeno incomplete, fornitegli dagli organi competenti, la Corte cantonale ha giustificato il tardivo annuncio all'assicurazione contro la disoccupazione elvetica e ha ammesso una restituzione del termine omesso.
C. Il seco ha interposto ricorso di diritto amministrativo al Tribunale federale delle assicurazioni (dal 1° gennaio 2007 integrato nel Tribunale federale), al quale chiede, in accoglimento del gravame, l'annullamento del giudizio cantonale. Confutando la valutazione dei primi giudici in merito alle asserite migliori possibilità di reinserimento professionale in Svizzera, il Segretariato ricorrente ritiene che l'interessato non soddisfa le condizioni per essere qualificato un "falso" lavoratore frontaliere ai sensi della giurisprudenza della CGCE. Dovendo al contrario essere considerato un "vero" frontaliere, l'assicurato non potrebbe di conseguenza beneficiare di alcun diritto di scelta, bensì dovrebbe unicamente fare valere le sue pretese nello Stato di residenza.
Patrocinato dall'avv. Erwin Jutzet, H. propone la reiezione del gravame, mentre la Cassa cantonale di disoccupazione ne chiede l'accoglimento.
Dai considerandi:
3. Nei considerandi dell'impugnata pronuncia, la Corte cantonale ha compiutamente ricordato che, dal profilo del solo diritto interno (art. 8 cpv. 1 lett. c LADI; cfr. pure DTF 125 V 465 consid. 2a pag. 466; DTF 115 V 448; SVR 2006 AlV n. 24 pag. 82, C 290/03, con riferimenti), l'assicurato non avrebbe di per sé il diritto di iscriversi in disoccupazione in Svizzera in quanto non vi risiede. Correttamente ha pertanto esaminato se la Svizzera debba comunque essere riconosciuta quale Stato competente ad erogare le prestazioni di disoccupazione - se del caso previa deduzione delle prestazioni già percepite in Italia - in forza degli obblighi che le derivano dal diritto internazionale, ritenuto che, in siffatta ipotesi, la clausola di residenza di cui all'art. 8 cpv. 1 lett. c LADI perderebbe la
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propria rilevanza (THOMAS NUSSBAUMER, Arbeitslosenversicherung, in: Schweizerisches Bundesverwaltungsrecht [SBVR], Soziale Sicherheit, 2a ed., cifra marg. 191; cfr. pure PATRICIA USINGER-EGGER, Ausgewählte Rechtsfragen des Arbeitslosenversicherungsrechts im Verhältnis Schweiz-EU, in: Thomas Gächter [editore], Das europäische Koordinationsrecht der sozialen Sicherheit und die Schweiz, Erfahrungen und Perspektiven [in seguito: USINGER-EGGER, Ausgewählte Rechtsfragen], Zurigo/Basilea/Ginevra 2006, pag. 38 segg., per la quale autrice l'art. 8 cpv. 1 lett. c LADI sarebbe addirittura discriminatorio e contrario al diritto convenzionale e comunitario).
4.1 Il 1° giugno 2002 è entrato in vigore l'Accordo del 21 giugno 1999 tra la Confederazione Svizzera, da una parte, e la Comunità europea ed i suoi Stati membri, dall'altra, sulla libera circolazione delle persone (ALC) e in particolare il suo Allegato II regolante il coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale (DTF 130 V 145 consid. 3 pag. 146; DTF 128 V 315, con riferimenti [RS 0.142.112.681]). Giusta l'art. 1 cpv. 1 dell'Allegato II ALC, elaborato sulla base dell'art. 8 ALC e facente parte integrante dello stesso (art. 15 ALC), in unione con la sezione A di tale allegato, le parti contraenti applicano nell'ambito delle loro relazioni in particolare il regolamento (CEE) n. 1408/71 del Consiglio, del 14 giugno 1971, relativo all'applicazione dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori subordinati, ai lavoratori autonomi e ai loro familiari che si spostano all'interno della Comunità (in seguito: regolamento n. 1408/71 [RS 0.831.109.268.1]), come pure il regolamento (CEE) n. 574/72 del Consiglio, del 21 marzo 1972, che stabilisce le modalità di applicazione del regolamento (CEE) n. 1408/71 relativo all'applicazione dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori subordinati, ai lavoratori autonomi e ai loro familiari che si spostano all'interno della Comunità (RS 0.831.109.268.11), oppure disposizioni equivalenti. L'art. 121 LADI, entrato in vigore il 1° giugno 2002, rinvia, alla lett. a, all'ALC e a questi due regolamenti di coordinamento (SVR 2006 AlV n. 24 pag. 82 consid. 1.1, C 290/03).
4.2 Ratione temporis sono applicabili sia l'ALC che il regolamento n. 1408/71. Infatti la decisione (del 28 luglio 2005) e la decisione su opposizione (del 1° settembre 2005) concernono il diritto a indennità di disoccupazione dal 1° marzo 2004, vale a dire per un periodo successivo all'entrata in vigore dell'Accordo (cfr. art. 94 n. 1 e art. 95 n. 1 del regolamento n. 1408/71; DTF 132 V 46 consid. 3.2.1 pag. 48).
4.3 L'Accordo e il regolamento n. 1408/71 sono quindi pure applicabili ratione personae. L'assicurato è di nazionalità svizzera e pertanto cittadino di uno Stato contraente (art. 1 cpv. 2 Allegato II ALC). Inoltre, in qualità di lavoratore autonomo o subordinato, egli è stato soggetto alla legislazione svizzera e quindi alla legislazione di uno Stato contraente (art. 2 n. 1 in relazione con l'art. 1 lett. a del regolamento n. 1408/71). Quanto al necessario nesso transfrontaliero, esso è senz'altro dato (MANFRED HUSMANN, Koordinierung der Leistungen bei Arbeitslosigkeit durch EG-Recht, I. Teil, in: Die Sozialgerichtsbarkeit, 45 [1998], Wiesbaden, pag. 249; EBERHARD EICHENHOFER, in: Maximilian Fuchs [editore], Europäisches Sozialrecht, 4a ed., Baden-Baden 2005, n. 14 all'art. 2 del regolamento n. 1408/71). Nulla osta peraltro all'invocazione di dette disposizioni anche nei confronti del proprio Stato di origine (cfr. DTF 129 II 249 consid. 4.2 pag. 260 in fine; sentenza della CGCE del 7 luglio 1992 nella causa C-370/90, Singh, Racc. 1992, pag. I-4265, punti 15-24; SILVIA BUCHER, Das Freizügigkeitsabkommen im letztinstanzlichen Sozialversicherungsprozess, in: Gächter [editore], op. cit., pag. 1 segg., pag. 12 segg.).
4.4 Ugualmente data è l'applicabilità ratione materiae, ritenuto che il regolamento n. 1408/71 si applica fra l'altro alle legislazioni relative ai settori di sicurezza sociale (su tale nozione: DTF 132 V 46 consid. 3.2.3 pag. 50; DTF 131 V 390 consid. 3.2 pag. 395, con riferimenti) riguardanti le prestazioni di disoccupazione (art. 4 n. 1 lett. g).
4.5 Per il resto, le norme di collisione del regolamento n. 1408/71 determinano il diritto nazionale applicabile. Nel rispetto delle direttive convenzionali, rispettivamente di diritto comunitario - e in particolare del divieto di discriminazione (v. art. 2 ALC e art. 3 n. 1 regolamento n. 1408/71) - spetta all'ordinamento di ciascuno Stato membro determinare le condizioni cui è subordinato il diritto a prestazioni (DTF 131 V 209 consid. 5.3 pag. 214; SVR 2006 AlV n. 24 pag. 82, consid. 1.2, C 290/03).
5.1 Il titolo II del regolamento n. 1408/71 (art. 13 a 17bis) contiene delle regole atte a determinare la legislazione applicabile. L'art. 13 n. 1 enuncia il principio dell'unicità della legislazione applicabile in funzione delle regole previste dagli art. 13 n. 2 a 17bis, dichiarando determinanti le disposizioni di un solo Stato membro. Salvo eccezioni, il lavoratore subordinato è soggetto alla legislazione del
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suo Stato di occupazione salariata, anche se risiede sul territorio di un altro Stato membro o se l'impresa o il datore di lavoro da cui dipende ha la propria sede o il proprio domicilio nel territorio di un altro Stato membro (principio della lex loci laboris; art. 13 n. 2 lett. a del regolamento n. 1408/71). Il lavoratore frontaliero sarebbe quindi soggetto, in virtù di questo principio, alla legislazione dello Stato in cui lavora (DTF 132 V 53 consid. 4.1 pag. 57 con riferimento).Per parte sua, il titolo III del regolamento n. 1408/71 contiene disposizioni specifiche alle varie categorie di prestazioni. Per rispondere al quesito se la parte resistente possa fare valere il diritto a prestazioni dell'assicurazione contro la disoccupazione elvetica in virtù del regolamento n. 1408/71, occorre pertanto innanzitutto determinare le disposizioni applicabili sulla base delle norme generali di collegamento del titolo II per poi esaminare se quelle speciali prescrivano l'applicazione di altre regole (DTF 132 V 53 consid. 5 pag. 58).
5.2 Secondo la norma generale dell'art. 13 n. 2 lett. a del regolamento n. 1408/71, determinante, di per sé, sarebbe la legislazione dello Stato di occupazione. Da considerare ci sarebbe inoltre pure l'art. 13 n. 2 lett. f del regolamento, stante il quale la persona cui cessi d'essere applicabile le legislazione di uno Stato membro senza che ad essa divenga applicabile la legislazione di un altro Stato membro in forza di una delle norme enunciate alle precedenti lettere o di una delle eccezioni o norme specifiche di cui agli articoli da 14 a 17, è soggetta alla legislazione dello Stato membro nel cui territorio risiede, in conformità delle disposizioni di questa sola legislazione.
Tali regole valgono tuttavia, come detto, unicamente nella misura in cui le disposizioni specifiche del titolo III non prevedano diversamente. Ora, il capitolo 6 ("Disoccupazione") del regolamento prevede, da un lato, che le prestazioni in caso di disoccupazione sono di principio, giusta l'art. 67 n. 3, erogate dallo Stato secondo le cui disposizioni la persona interessata ha compiuto da ultimo periodi di assicurazione o di occupazione, vale a dire dallo Stato dell'ultima occupazione (art. 68 n. 1). Dall'altro, all'art. 71 disciplina la competenza per i disoccupati, che durante l'ultima occupazione risiedevano in uno Stato membro diverso dallo Stato competente. È questa la situazione in particolare dei lavoratori frontalieri.
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6.1 In tale contesto, di attualità anche nella fattispecie concreta, l'art. 71 n. 1 del regolamento n. 1408/71 opera una distinzione fra frontalieri "veri" e "non veri".
Giusta l'art. 1 lett. b del regolamento, il termine lavoratore frontaliero designa qualsiasi lavoratore subordinato o autonomo che esercita una attività professionale nel territorio di uno Stato membro e risiede nel territorio di un altro Stato membro dove, di massima, ritorna ogni giorno o almeno una volta alla settimana (a tal proposito il seco ricorda giustamente che il predetto regolamento è applicabile a tutti i lavoratori che riempiono le suddette condizioni di lavoratore frontaliero, indipendentemente dal fatto che abbiano la stessa qualifica ai sensi del diritto della polizia degli stranieri). Queste persone rientrano nel campo applicativo dell'art. 71 n. 1 lett. a del regolamento n. 1408/71.
I lavoratori diversi dai frontalieri (frontalieri "non veri"), il cui statuto è disciplinato dall'art. 71 n. 1 lett. b del regolamento n. 1408/71, sono per contro persone, per le quali il luogo di occupazione e di residenza non coincide ugualmente, ma che per1ò, a differenza dei frontalieri "veri", nemmeno rientrano almeno una volta alla settimana al loro luogo di residenza. Fanno parte di questa categoria segnatamente i lavoratori stagionali, i lavoratori operanti nel settore dei trasporti internazionali, i lavoratori che esercitano normalmente la loro attività sul territorio di vari Stati membri e i lavoratori occupati da un'impresa frontaliera (decisione n. 160 del 28 novembre 1995 della Commissione amministrativa delle Comunità europee per la sicurezza sociale dei lavoratori migranti concernente l'applicabilità dell'art. 71 n. 1 lett. b punto ii del regolamento n. 1408/71 [GU 1996 L 49 pag. 31-33]; cfr. pure la sentenza del Tribunale federale delle assicurazioni DTF C 227/05 dell'8 novembre 2006, consid. 1.4, non ancora pubblicata nella Raccolta ufficiale, nonché la Circolare del seco relativa alle ripercussioni, in materia di assicurazione contro la disoccupazione, dell'Accordo sulla libera circolazione delle persone e dell'Accordo di emendamento della Convenzione istitutiva dell'AELS [C-AD-LCP], cifra marg. B46).
6.2 L'art. 71 n. 1 del regolamento n. 1408/71 stabilisce, da un lato, che il lavoratore frontaliero (quello "vero") che è in disoccupazione completa beneficia - esclusivamente - delle prestazioni secondo le disposizioni della legislazione dello Stato membro nel cui territorio risiede come se fosse stato soggetto durante l'ultima
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occupazione a tale legislazione, ritenuto che tali prestazioni vengono erogate dall'istituzione del luogo di residenza e sono a carico della medesima (lett. a punto ii).D'altro lato esso prevede pure che un lavoratore subordinato diverso dal lavoratore frontaliero (ossia il frontaliero "non vero"), che è in disoccupazione completa, dispone di un diritto di opzione tra le prestazioni dello Stato d'impiego e quelle dello Stato di residenza. Diritto di opzione che il frontaliero "non vero" esercita mettendosi a disposizione degli uffici del lavoro dello Stato dell'ultima occupazione oppure degli uffici del lavoro del luogo di residenza (lett. b). In tali condizioni, il lavoratore può scegliere tra il regime di prestazioni di disoccupazione dello Stato della sua ultima occupazione e quello dello Stato di residenza. Si tratta in questo modo di fare beneficiare il lavoratore delle migliori possibilità di reinserimento professionale (DTF 132 V 53 consid. 6.4 pag. 61; DTF 131 V 222 consid. 6.2 pag. 228).
6.3 Per quanto concerne le prestazioni di disoccupazione, che consistono non soltanto nell'erogazione di somme di denaro, ma anche nell'aiuto alla riqualificazione professionale fornito dagli uffici del lavoro ai lavoratori che si sono messi a loro disposizione, il regolamento n. 1408/71 mira quindi a garantire al lavoratore migrante le prestazioni di disoccupazione nelle condizioni più favorevoli alla ricerca di una nuova occupazione. Assume di conseguenza importanza decisiva la questione di sapere in quale Stato la persona interessata dispone delle migliori possibilità di reintegrazione professionale (DTF 132 V 53 consid. 6.4 pag. 61; sentenza della CGCE del 12 giugno 1986 nella causa 1/85, Miethe, Racc. 1986 pag. 1837, punto 16; più in generale sulla rilevanza della giurisprudenza della CGCE ai fini interpretativi dell'ALC cfr. l'art. 16 cpv. 2 ALC e la sentenza del Tribunale federale delle assicurazioni DTF I 667/05 del 24 luglio 2006, non ancora pubblicata nella Raccolta ufficiale).
Da questo punto di vista si deve ammettere che l'art. 71 n. 1 lett. a punto ii, stabilendo il principio secondo cui in caso di disoccupazione completa il lavoratore frontaliero (quello "vero") che risponda alla definizione di cui all'art. 1 lett. b del regolamento beneficia esclusivamente delle prestazioni dello Stato di residenza, presuppone implicitamente che detto lavoratore fruisca in questo Stato delle condizioni più favorevoli alla ricerca di una nuova occupazione (sentenza Miethe, già citata, punto 17; in questo senso pure
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la sentenza della CGCE del 15 marzo 2001 nella causa C-444/98, de Laat, Racc. 1998 pag. I-2229, punto 32). Come l'ha ben illustrato l'Avvocato generale Lenz nelle sue conclusioni nella causa Miethe, il sistema messo in piedi si spiega con la considerazione che le persone interessate (i "veri" frontalieri) non hanno normalmente un legame particolare con lo Stato di occupazione. Esse vi soggiornano piuttosto per mero scopo lavorativo e una volta terminato il rapporto di lavoro non hanno più motivo di rimanervi, bensì ritornano nel loro luogo di residenza, là dove si trova il centro dei loro interessi. È pertanto nello Stato di residenza che devono più opportunamente essere adottate le misure di accompagnamento essenziali quali il servizio di collocamento (conclusioni nella causa Miethe, Racc. 1986 pag. 1842).
7.1 Con la sua giurisprudenza, di cui anche il Tribunale federale deve tenere conto (art. 16 cpv. 2 ALC), la CGCE ha tuttavia attenuato il principio per cui il "vero" frontaliero in disoccupazione completa debba sempre rigorosamente essere rinviato al mercato del lavoro dello Stato di residenza (art. 71 n. 1 lett. a punto ii del regolamento n. 1408/71). Ha infatti stabilito che lo scopo perseguito dall'art. 71 n. 1 lett. a punto ii del regolamento n. 1408/71 non può essere raggiunto qualora il lavoratore in disoccupazione completa, pur rispondendo alla definizione dettata dall'art. 1 lett. b dello stesso regolamento, abbia eccezionalmente conservato nello Stato dell'ultima occupazione legami personali e professionali tali da disporre in questo Stato delle migliori possibilità di reinserimento professionale. In una siffatta evenienza, ha precisato la Corte di giustizia, tale lavoratore dev'essere considerato "diverso dal lavoratore frontaliero" ai sensi dell'art. 71 e rientrare conseguentemente nella sfera di applicazione del n. 1 lett. b di detto articolo. Tuttavia, hanno concluso i giudici lussemburghesi, spetta esclusivamente al giudice nazionale stabilire se il lavoratore che risieda in uno Stato diverso dallo Stato d'occupazione abbia conservato le migliori possibilità di reinserimento professionale e debba, di conseguenza, rientrare nel campo applicativo dell'art. 71 n. 1 lett. b del regolamento n. 1408/71 (sentenza Miethe, citata, punti 18 e 19). Il lavoratore interessato non dispone così in questo caso di un diritto di scelta incondizionato, la decisione essendo demandata alle autorità competenti dello Stato di occupazione (NUSSBAUmer, op. cit., cifra marg. 980; USINGER-EGGER, Ausgewählte
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Rechtsfragen, pag. 37 nota 23; della stessa autrice inoltre: Die soziale Sicherheit der Arbeitslosen in der Verordnung [EWG] Nr. 1408/71 und in den bilateralen Abkommen zwischen der Schweiz und ihren Nachbarstaaten, tesi Zurigo 2000, pag. 85 [in seguito: USINGER- EGGER, tesi]; UELI KIESER, Das Personenfreizügigkeitsabkommen und die Arbeitslosenversicherung, in: AJP/PJA 2003, pag. 283 segg., pag. 290, nota 97; in favore di un diritto di scelta si esprimono invece EICHENHOFER, in: Fuchs, op. cit., n. 3 all'art. 71 del regolamento n. 1408/71, e FRANS PENNINGS, Introduction to European Social Security Law, 4a ed., Anversa/Oxford/New York 2003, pag. 228, 230 e 235).
7.2 Questa giurisprudenza è stata resa nell'ambito di una procedura di decisione pregiudiziale. La CGCE doveva pronunciarsi in merito ad alcune domande d'interpretazione dell'art. 71 n. 1 del regolamento n. 1408/71 sottopostele dal Bundessozialgericht tedesco in relazione alla situazione di un cittadino tedesco (Horst Miethe) che aveva sempre lavorato e vissuto in Germania. Quest'ultimo pur continuando a lavorare come rappresentante di commercio per una ditta tedesca ad Aquisgrana, si era trasferito, insieme alla moglie, in Belgio per permettere ai loro figli, che frequentavano un collegio belga, di tornare a casa ogni sera. Miethe, oltre a essere rimasto iscritto nei registri di polizia tedeschi, aveva conservato in Germania, presso la suocera, un ufficio e una possibilità di pernottamento. Perso il lavoro, si era messo a disposizione dell'ufficio di collocamento tedesco, chiedendo l'erogazione delle prestazioni di disoccupazione, che le autorità tedesche tuttavia gli rifiutarono per la sua posizione di frontaliere e per il fatto che, in quanto tale, doveva rivolgersi alle competenti istituzioni belghe. Donde la vertenza giudiziaria e la susseguente domanda pregiudiziale alla CGCE (cfr. sentenza citata, punti 3 segg., e conclusioni dell'Avvocato generale Lenz, Racc. 1986 pag. 1838 segg.; cfr. pure la menzionata Circolare del seco C-AD-LCP, B54).
7.3 La giurisprudenza Miethe ha ispirato la formulazione della prima nota a piè di pagina alla cifra 1, sezione A, Allegato II ALC secondo cui "i lavoratori frontalieri possono mettersi a disposizione del mercato del lavoro nello Stato della loro residenza o, se vi hanno conservato legami personali e professionali tali da avervi migliori opportunità di reinserimento professionale, nello Stato del loro ultimo lavoro. Essi realizzano i propri diritti alle indennità di disoccupazione nello Stato in cui si mettono a disposizione del mercato del lavoro" (cfr. pure FF 1999 p. 5281).
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8. Il Segretariato ricorrente osserva che H., avendo percepito le indennità di disoccupazione in Italia e avendo pendente con le stesse autorità una vertenza circa l'estensione del sostegno ottenibile (trattamento speciale previsto per i frontalieri a norma della legge interna italiana anziché indennità ordinarie), avrebbe di per sé esplicitamente riconosciuto di considerarsi quale "vero" frontaliero e di poter unicamente fare valere il diritto alle indennità dello Stato di residenza. Il seco fa inoltre notare che, mentre nel caso Miethe quest'ultimo presentava un legame molto stretto con lo Stato di occupazione - avrebbe così continuato a possedere una tessera per venditori ambulanti valevole soltanto in Germania - a fronte di una possibilità di reinserimento professionale in Belgio molto limitata, il resistente, oltre a non disporre di un secondo appartamento in Svizzera, qui non godrebbe delle migliori opportunità professionali, le stesse essendo uguali, se non addirittura migliori, nello Stato di residenza, ossia in Italia. A mente del seco, l'annuncio alla disoccupazione svizzera non sarebbe stato motivato dalle migliori opportunità di reinserimento nel nostro Paese, ma bensì semplicemente dal fatto che qui avrebbe potuto beneficiare di più consistenti indennità di disoccupazione. Per il resto sostiene che la CGCE avrebbe imposto di applicare la sentenza Miethe in modo restrittivo e di negare ai veri lavoratori frontalieri un diritto di scelta. Di conseguenza un'applicazione analogica di tale prassi al caso di specie, come ha per contro ritenuto l'istanza precedente, non si giustificherebbe.
9. Giustamente la parte resistente ricorda che il fatto di essersi rivolta alle autorità italiane e di avere chiesto in Italia il versamento delle indennità di disoccupazione non è certamente da ascrivere a una sua libera scelta, bensì è da ricondurre alle erronee, o quantomeno incomplete, indicazioni fornite dagli organi di esecuzione della LADI, che non gli avrebbero accennato all'eventualità - più che teorica, considerata la sua situazione - di fare capo all'assicurazione svizzera. Questi ultimi lo avrebbero chiaramente indirizzato all'INPS. Non avendo motivo per dubitare della competenza e della pertinenza delle informazioni ricevute, egli si sarebbe semplicemente limitato a seguire le istruzioni e a fare pieno affidamento nelle indicazioni delle autorità elvetiche. Questa osservazione merita piena tutela. L'istruttoria cantonale ha infatti appurato la circostanza raccogliendo in particolare le testimonianze del caposede URC, O., e di C. che non lasciano spazio ad altra interpretazione
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se non a quella cui è giunta la Corte cantonale. Su tale questione non mette pertanto più conto di tornare, tanto più che il seco nemmeno contesta - giustamente - l'attendibilità delle dichiarazioni testimoniali. La richiesta (iniziale) di prestazioni italiane di disoccupazione è pertanto spiegabile alla luce di queste indicazioni. Va da sé che in ogni caso, qualora si dovesse concludere per un obbligo di prestazione a carico dell'assicurazione contro la disoccupazione svizzera, le prestazioni già ricevute dalle autorità italiane non potranno essere cumulate (art. 12 del regolamento n. 1408/71).
10. Fatta questa premessa, resta da esaminare se H. poteva essere considerato come un ("vero", anche se atipico) frontaliere nel senso della giurisprudenza Miethe.
10.1 La già citata Circolare del seco C-AD-LCP osserva a tal proposito che per essere considerato un lavoratore ai sensi della giurisprudenza Miethe, la persona interessata deve conservare, cumulativamente, legami personali e professionali stretti nello Stato d'impiego (cifra marg. B55). Indizi a sostegno dell'esistenza di simili legami personali sono ad esempio la presenza di un secondo domicilio nello Stato d'impiego e la partecipazione alla vita sociale in tale Stato (membro di un'associazione sportiva, culturale o professionale, ecc. [cifra marg. B56]). A sostegno di stretti legami professionali la circolare menziona per contro, sempre a titolo di esempio, la circostanza che l'ultima professione appresa può essere esercitata soprattutto nello Stato dell'ultimo impiego (diploma nazionale), che la persona interessata dispone di un secondo domicilio in tale Stato, in modo da non dovere rientrare regolarmente, almeno una volta a settimana, al suo domicilio ufficiale, come pure il fatto che essa vi lavora già da svariati anni (cifra marg. B57; sulla portata, non vincolante per il giudice delle assicurazioni sociali, delle direttive amministrative cfr. DTF 132 V 121 consid. 4.4 pag. 125, DTF 132 V 200 consid. 5.1.2 pag. 203; DTF 131 V 42 consid. 2.3 pag. 45; DTF 130 V 229 consid. 2.1 pag. 232 e sentenze ivi citate).
10.2 Quanto all'esistenza degli stretti legami personali con lo Stato d'impiego, il seco giustamente non sembra contestarla. Ci si limita pertanto ad osservare che il resistente - celibe e senza figli, i cui parenti più prossimi sono una sorella che vive in Gran Bretagna e una zia che abita nel Cantone X. - , benché disponga di conoscenze scritte e orali di italiano molto buone, è di madre lingua tedesca. Egli è socio attivo e impegnato di due associazioni svizzere per la tutela degli animali, è abbonato a giornali e riviste svizzere,
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che riceve presso un fermo posta ad A. (TI), e incontra regolarmente suoi ex colleghi a L. (TI) e suoi amici a Z. (CH), dove si trova peraltro anche il suo dentista. A ciò si aggiunge che la decisione di trasferirsi a I. (un paesino italiano di 871 abitanti in prossimità [ca. 7 km] della frontiera svizzera, alla cui vita comunale l'interessato non sembrerebbe partecipare) dopo avere trascorso la maggior parte della sua vita in Svizzera - e apparentemente fino al 1999 nella Svizzera tedesca -, appare influenzata da contingenze esterne, non proprio totalmente frutto di una sua libera scelta. Emerge infatti dalle dichiarazioni rese da H. in sede procedurale che, presso la sua precedente abitazione ticinese, egli sarebbe stato ultimamente oggetto di atti vandalici e intimidatori (rottura dei vetri e taglio delle gomme dell'autovettura) da parte di sconosciuti contro i quali avrebbe anche sporto denuncia. Atti, che l'interessato ricondurrebbe al fatto che, con il suo intervento, avrebbe convinto il suo precedente locatore a sfrattare due vicini tossicodipendenti che lo turbavano nel riposo notturno e nel suo bisogno di tranquillità, e che il mantenimento della residenza in Ticino non avrebbe probabilmente favorito a fare cessare. Da ultimo ma non per ultimo, non va dimenticato che se il mantenimento di stretti legami personali con il luogo d'impiego era comunque stato riconosciuto nella vertenza Miethe (cfr. soprattutto conclusioni dell'Avvocato generale, Racc. 1986 pag. 1840), nonostante l'interessato avesse trasferito la residenza in altro luogo (Belgio) per importanti motivi familiari (per vivere tutti sotto lo stesso tetto), ben difficilmente questo legame potrebbe ora essere negato nella presente fattispecie.
10.3 Contrariamente a quanto sostiene il Segretariato ricorrente, il giudizio cantonale non è censurabile nella misura in cui ha pure ritenuto soddisfatta la seconda condizione, vale a dire quella dell'esistenza di stretti legami professionali con la Svizzera.
10.3.1 Eccezion fatta per il breve, e ormai lontano, periodo dal 1966 al 1969 - quando peraltro la situazione congiunturale e del mercato del lavoro nella vicina Penisola non era necessariamente paragonabile a quella attuale -, H. ha infatti effettuato tutta la sua formazione e la carriera professionale in Svizzera, prevalentemente nella Svizzera tedesca. Orbene, sostenere, come fa ora il seco, che un suo reinserimento in qualità di agente bancario risulterebbe più facile a Como o a Milano che non in Svizzera appare quantomeno opinabile. Da un lato, l'affermazione astrae dalle peculiarità
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personali e culturali dell'interessato, poc'anzi esposte, dall'altro sembra ignorare che l'attività da lui svolta, da ultimo in qualità di "responsabile reparto lettere di credito e garanzie", non può prescindere da conoscenze specifiche degli usi commerciali e del quadro legislativo nazionali. Anche e soprattutto in ragione dello specifico quadro istituzionale e regolamentare che disciplina in dettaglio l'attività bancaria in esame, ben difficilmente l'interessato, ormai sessantenne e già difficilmente collocabile in Svizzera, come dimostrano le finora infruttuose ricerche di lavoro, avrebbe uguali se non addirittura migliori opportunità di reinserimento professionale nella vicina Lombardia. A ciò si aggiungono le difficoltà, per non dire l'impossibilità, di reintegrazione professionale in Italia legate all'età che rendono ancora più improbabile l'opportunità di reperire una nuova occupazione in un Paese in cui l'età pensionabile si situa intorno ai 59 anni (in linea con la media europea; cfr. www.camera.it/_dati/leg14/lavori/stenografici/sed500/21450b01.htm pag. 63).Né si potrebbe propriamente sostenere che i legami professionali di H. con la Svizzera sarebbero meno importanti di quelli che poteva fare valere Horst Miethe con la Germania nella nota vertenza in qualità di rappresentante (itinerante) di commercio; non fosse altro per la mancanza di un vero vincolo di ubicazione per quest'ultima attività. Quanto al fatto che la tessera professionale, di cui sarebbe stato in possesso Horst Miethe anche dopo la sua iscrizione alla disoccupazione, avrebbe avuto validità solo in Germania, la circostanza, oltre a porre qualche legittima perplessità dal profilo dell'eventuale compatibilità con il diritto comunitario, non risulta comunque in questi termini né dalla sentenza della CGCE né dalle conclusioni dell'Avvocato generale.
10.3.2 Né è atto infirmare questa convinzione il fatto che H. non disporrebbe di un secondo alloggio o addirittura, secondo la formulazione della citata Circolare del seco (cifra marg. B57), di un secondo domicilio ("Zweitwohnsitz"; "second domicile") in Svizzera, come sarebbe invece stato il caso del signor Miethe nella nota vertenza. Contrariamente a quanto sembra sottintendere il seco, in nessun modo la CGCE (o l'Avvocato generale nelle sue conclusioni, sostanzialmente seguite dalla Corte) ha infatti dichiarato necessaria questa condizione (e tanto meno quella di un secondo domicilio, visto e considerato che il signor Miethe disponeva di una semplice possibilità di pernottamento presso la suocera) per potere
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ammettere l'esistenza di stretti legami (personali e) professionali con lo Stato d'ultimo impiego. Né, a ben vedere, la Corte di giustizia si è in realtà concretamente pronunciata sulla situazione specifica di Horst Miethe, avendo essa piuttosto demandato al giudice nazionale il compito di stabilire se il singolo lavoratore avesse conservato nello Stato membro dell'ultima occupazione legami personali e professionali tali da ivi disporre delle migliori possibilità di reinserimento professionale (conformemente alla procedura di rinvio procedurale ai sensi dell'art. 234 del Trattato CE la Corte di giustizia si limita infatti a rispondere alle questioni d'interpretazione del diritto comunitario che le vengono sottoposte dai giudici nazionali, mentre questi ultimi rimangono i soli competenti a statuire sul merito tenendo conto delle circostanze di fatto e di diritto delle vertenze in esame [DTF 130 II 113 consid. 6.1 pag. 120 con riferimenti]).Per il resto, va comunque osservato, in via abbondanziale, che anche la Circolare del seco considera questo aspetto (la presenza di un "secondo domicilio" nel luogo di lavoro) unicamente come uno tra i possibili indizi per ammettere il necessario legame con lo Stato d'impiego. Ciò che non esclude pertanto l'applicazione della giurisprudenza Miethe nel caso di specie.
10.3.3 Anche un esame comparativo conferma la tesi qui sostenuta dell'esistenza del necessario legame professionale con lo Stato d'ultimo impiego. È infatti utile rilevare che la giurisprudenza Miethe viene regolarmente applicata in altri Paesi europei, ad esempio nei confronti dei cittadini germanici e belgi residenti nelle zone di frontiera dei Paesi Bassi, che lì si trasferiscono per potere beneficiare delle condizioni più favorevoli di acquisto di un'abitazione, e dove le stesse persone, una volta cadute in disoccupazione, vengono indirizzate all'assicurazione di disoccupazione dello Stato d'ultimo impiego (cfr. PENNINGS, op. cit., pag. 235 seg.).
10.3.4 A ciò si aggiunge che il sistema introdotto dalla CGCE a correzione della norma generale di cui all'art. 71 n. 1 lett. a punto ii del regolamento n. 1408/71 e allo scopo di tenere conto, per ragioni di equità, delle situazioni concrete che possono venirsi a creare e per le quali l'applicazione della norma generale darebbe luogo a delle indesiderate distorsioni, rendendo segnatamente più difficile le reintegrazione professionale (conclusioni dell'Avvocato generale Lenz nella causa Miethe, Racc. 1986 pag. 1843), oltre a già trovare applicazione altrove, si giustifica anche alla luce del fatto
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che, operando diversamente, uno Stato verrebbe altrimenti chiamato a erogare le prestazioni in favore di lavoratori per rapporto ai quali è per contro stato privato dei relativi contributi di disoccupazione (PENNINGS, op. cit., pag. 236; in questo senso pure USINGER-EGGER, tesi, pag. 94; cfr. pure le conclusioni dell'Avvocato generale Lenz nella causa Miethe, Racc. 1986 pag. 1844). Ora, è vero che il Protocollo addizionale all'Allegato II ALC concernente l'assicurazione contro la disoccupazione, alla cifra 2 e 3, stabilisce che per una durata di sette anni dall'entrata in vigore dell'ALC, la retrocessione dei contributi dei lavoratori frontalieri all'assicurazione svizzera contro la disoccupazione, quale è disciplinata negli accordi bilaterali rispettivi (in casu cfr. l'Accordo italo-svizzero sulla compensazione finanziaria in materia d'assicurazione-disoccupazione dei frontalieri; RS 0.837.945.4), continua a essere applicata. Se nondimeno ci si limita ad applicare la menzionata disposizione convenzionale - peraltro di natura provvisoria e transitoria - unicamente ai "veri" e tipici lavoratori frontalieri, cosa che il suo tenore letterale e la sua ratio consentono senz'altro di fare, ecco che (anche) la considerazione di fondo legata alla necessità di correggere le suindicate distorsioni mantiene la sua integrale validità nel presente contesto.
10.3.5 Per rispondere quindi alle ulteriori allegazioni ricorsuali, se è pur vero che la giurisprudenza Miethe non conferisce alle persone interessate un incondizionato diritto di scelta, la decisione circa lo statuto applicabile essendo stata demandata alle autorità giudiziarie nazionali, d'altra parte non si può nemmeno propriamente affermare, come sostiene invece il seco, che la CGCE avrebbe invitato a un'applicazione restrittiva di tale prassi. L'analisi della sentenza e delle conclusioni dell'Avvocato generale come pure l'esame comparativo attestato dall'esempio olandese (consid. 10.3.3) non corroborano questa tesi. Al contrario, non manca chi, in dottrina, non esita a fare notare come la Corte di giustizia avrebbe sottovalutato la portata della sua giurisprudenza (PENNINGS, op. cit., pag. 235: "The Court may have understimated the number of situations in which the Miethe rule can apply"). A ciò si aggiunge che il nuovo regolamento (CE) n. 883/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale (GU L 166 del 30 aprile 2004), che dovrebbe sostituire e semplificare il regolamento n. 1408/71, anche se per la Svizzera non è ancora stato dichiarato vincolante,
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oltre a recepire la giurisprudenza Miethe, prevede, al suo art. 65 n. 2, addirittura un diritto di opzione in favore dei lavoratori frontalieri (cfr. pure USINGER-EGGER, Ausgewählte Rechtsfragen, pag. 37, nota 23 in fine).
10.3.6 Infine, contrariamente a quanto lascia intendere la Circolare C-AD-LCP, la giurisprudenza Miethe nemmeno esige che i contatti debbano essere molto più stretti con lo Stato d'ultimo impiego - anche se nel caso di specie risultano effettivamente esserli - che non con lo Stato di residenza. La CGCE si è infatti, ma pur sempre, limitata a richiedere l'esistenza di legami con lo Stato d'impiego tali da fare qui apparire le migliori possibilità di reinserimento professionale. Sono pertanto queste ultime che devono risultare maggiori nello Stato d'ultimo impiego (in questo senso pure EDGAR IMHOF, FZA/EFTA-Übereinkommen und soziale Sicherheit, Ein Überblick unter Berücksichtigung der bis Juni 2006 ergangenen höchstrichterlichen Rechtsprechung zum materiellen Koordinationsrecht, in: Jusletter del 23 ottobre 2006, cifra marg. 43 e nota 122). Ciò che, per quanto detto, si realizza senz'altro nel caso di specie.
10.4 Visto quanto precede, si deve concludere che H. poteva, come hanno ritenuto i primi giudici, essere considerato un ("vero", anche se atipico) frontaliere nel senso della giurisprudenza Miethe e avrebbe potuto per principio, contrariamente alle indicazioni fornitegli dagli organi competenti, rivolgersi all'assicurazione disoccupazione svizzera a partire dal 1° marzo 2004. In tali condizioni, la pronuncia cantonale merita di essere confermata, la causa essendo rinviata all'amministrazione affinché verifichi l'adempimento degli ulteriori presupposti necessari per il diritto alle indennità di disoccupazione.