133 V 367
Urteilskopf
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48. Estratto della sentenza della I Corte di diritto sociale nella causa Segretariato di Stato dell'economia contro C. nonché Tribunale delle assicurazioni del Cantone Ticino (ricorso di diritto amministrativo)
C 101/04 del 9 maggio 2007
Regeste
Art. 14 Abs. 1 lit. b AVIG (in der seit 1. Januar 2003 gültigen Fassung); Art. 2 FZA; Art. 9 Abs. 2 von Anhang I zum FZA; Art. 7 Abs. 2 der Verordnung Nr. 1612/68: Rechtliche Natur der Befreiung von der Erfüllung der Beitragszeit und Euro-Kompatibilität der schweizerischen Wohnsitzklausel.
Die Befreiung von der Erfüllung der Beitragszeit gemäss Art. 14 Abs. 1 AVIG stellt einen sozialen Vorteil im Sinne des Art. 7 Abs. 2 der Verordnung Nr. 1612/68 und, als Ausfluss davon, des Art. 9 Abs. 2 von Anhang I zum FZA dar (E. 8.8).
Als Instrument zur Bestätigung eines realen Bezugs zum schweizerischen Arbeitsmarkt ist die mit Art. 14 Abs. 1 lit. b AVIG eingefügte Bedingung eines schweizerischen Wohnsitzes im konkreten Fall weder objektiv gerechtfertigt noch verhältnismässig (E. 9.8).
Das vertragliche Diskriminierungsverbot (Art. 9 Abs. 2 von Anhang I zum FZA) geht vorliegend der Regelung in Art. 14 Abs. 1 lit. b AVIG vor (E. 11.6).
A. C., cittadino svizzero, di professione consulente finanziario, è stato alle dipendenze della ditta X. SA dal 1° gennaio 1975 al 30 aprile 2001, data per la quale ha disdetto il proprio rapporto di lavoro a causa di motivi di salute. Inabile al lavoro a dipendenza di alterazioni degenerative cervicali e lombari con periartrite invalidante, l'interessato, su indicazione del medico curante, dott. M., specialista in chirurgia, ha dovuto soggiornare all'estero (dal 1° giugno 2001 al 31 dicembre 2002 in Grecia e in Italia; dal 1° gennaio al 1° marzo 2003 in Austria) per sottoporsi a cure specifiche in ambiente climatico adeguato. Rientrato, guarito, in Svizzera e dichiarato pienamente abile al lavoro dal 24 febbraio 2003, C. in data 14 marzo 2003 si è annunciato all'assicurazione contro la disoccupazione chiedendo l'erogazione delle relative indennità a partire da quest'ultima data.
Il 22 maggio 2003 la Cassa disoccupazione cristiano sociale (OCST) ha sottoposto per decisione alla Sezione del lavoro del Cantone Ticino la questione se l'istante, per il periodo di inabilità lavorativa trascorso all'estero, potesse essere esonerato dall'adempimento del periodo di contribuzione. Per decisione del 3 giugno 2003, sostanzialmente confermata il 14 luglio seguente anche in
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seguito all'opposizione interposta dall'assicurato, la Sezione cantonale del lavoro ha risposto negativamente e ha osservato che, per legge, un esonero dall'adempimento del periodo di contribuzione a dipendenza di malattia sarebbe stato unicamente possibile se l'assicurato, durante tale periodo, fosse stato domiciliato in Svizzera.
B. Con il patrocinio dello studio legale Bernasconi & Riva, C. ha deferito l'atto amministrativo al Tribunale delle assicurazioni del Cantone Ticino, il quale, per pronuncia del 5 maggio 2004, ne ha accolto il gravame. Annullata la decisione su opposizione, la Corte cantonale ha rinviato gli atti all'amministrazione con il compito di verificare l'adempimento degli ulteriori requisiti legali per il diritto alle indennità di disoccupazione.
C. Il Segretariato di Stato dell'economia (seco) ha interposto ricorso di diritto amministrativo al Tribunale federale delle assicurazioni (dal 1° gennaio 2007: Tribunale federale), al quale chiede, in accoglimento del gravame, di annullare la pronuncia cantonale.
Sempre rappresentato dallo studio legale Bernasconi & Riva, l'assicurato ha proposto la reiezione del ricorso, mentre la Sezione cantonale del lavoro ha rinunciato a presentare conclusioni.
D. Invitato da questa Corte a precisare le modalità del soggiorno all'estero, l'assicurato resistente ha presentato un esposto dettagliato datato 11 marzo 2005. Il seco non si è determinato al riguardo.
E. Sempre su invito di questa Corte, le parti si sono pronunciate sulla questione della compatibilità del diritto interno con il diritto internazionale, nell'ipotesi, non contemplata dalla pronuncia cantonale, di un'eventuale applicazione, nel caso di specie, dell'Accordo sulla libera circolazione delle persone e dei Regolamenti comunitari di riferimento.
F. Il Tribunale federale ha indetto una deliberazione alla presenza delle parti che si è svolta il 9 maggio 2007.
Il ricorso di diritto amministrativo è respinto.
Dai considerandi:
2. Nei considerandi dell'impugnata pronuncia, i primi giudici hanno compiutamente esposto le disposizioni interne di legge disciplinanti la materia e in particolare quelle regolanti il periodo minimo di contribuzione (art. 8 cpv. 1 lett. e in relazione con l'art. 13 cpv. 1 LADI, nella versione applicabile in concreto, in vigore fino al
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30 giugno 2003 [sentenze del Tribunale federale delle assicurazioni C 154/04 del 12 luglio 2005, consid. 2.1-2.3, e C 34/04 del 20 settembre 2004, consid. 1.2]), i termini quadro (art. 9 cpv. 3 LADI) e l'esenzione dall'adempimento del periodo di contribuzione a dipendenza di malattia per oltre 12 mesi durante il termine quadro (art. 14 cpv. 1 lett. b LADI, nella versione applicabile in concreto, in vigore dal 1° gennaio 2003 [cfr., per analogia, la sentenza del Tribunale federale delle assicurazioni C 203/03 del 21 dicembre 2006, consid. 1, pubblicata in: SVR 2007 AlV n. 9 pag. 28]). A tale esposizione può essere fatto riferimento. È nondimeno utile rammentare che in virtù di quest'ultimo disposto sono esonerate dall'adempimento del periodo di contribuzione le persone che, entro il termine quadro, durante oltre 12 mesi complessivamente, non sono state vincolate da un rapporto di lavoro e non hanno quindi potuto soddisfare i relativi obblighi a causa di malattia, infortunio o maternità, a condizione che durante questo periodo siano state domiciliate in Svizzera. Adesione può inoltre pure essere prestata al giudizio di prime cure nella misura in cui ha dichiarato applicabile nella fattispecie la LPGA (cfr. ad esempio la sentenza del Tribunale federale delle assicurazioni C 249/04 del 29 agosto 2005, consid. 1, pubblicata in: SVR 2006 AlV n. 3 pag. 8).
3.1 L'autorità giudiziaria cantonale ha essenzialmente tutelato la posizione dell'assicurato in considerazione del fatto che quest'ultimo, trasferitosi all'estero per motivi di salute, avrebbe mantenuto il proprio domicilio in Svizzera e avrebbe pertanto dovuto beneficiare del motivo di esenzione dall'obbligo di adempimento del periodo di contribuzione di cui all'art. 14 cpv. 1 lett. b LADI. A sostegno della loro tesi, i primi giudici hanno rilevato che, pur avendo effettivamente notificato la sua partenza definitiva dal Ticino con effetto al 30 aprile 2001 e pur avendo, congiuntamente alla moglie, che lo ha accompagnato e assistito all'estero, ritirato in contanti l'avere di libero passaggio, l'assicurato non avrebbe mai avuto l'intenzione di lasciare definitivamente la Svizzera per stabilirsi durevolmente altrove. Ciò sarebbe peraltro dimostrato dal fatto che, durante il periodo di assenza dal Ticino, egli avrebbe continuato a farsi seguire, a L., dal medico curante, come pure dalla circostanza del deposito del proprio mobilio presso una ditta di L. In tali condizioni, la Corte cantonale non ha ritenuto necessario esaminare la conformità della disciplina LADI con le disposizioni dell'Accordo sulla libera circolazione delle persone concluso con la Comunità europea.
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3.2 Il seco ricorda che l'entrata in vigore degli accordi bilaterali con la Comunità europea ha indotto il legislatore svizzero a limitare il campo di applicazione dell'art. 14 LADI - che anteriormente non prevedeva clausole di domicilio - a coloro che dispongono di uno stretto legame con la Svizzera, e ciò allo scopo di evitare il verificarsi di abusi. Il Segretariato ricorrente osserva che la condizione di domicilio posta dall'art. 14 cpv. 1 lett. b LADI sarebbe da intendere quale condizione di soggiorno effettivo. Con riferimento al caso di specie, pur ammettendo l'intento dell'assicurato di non volersi trasferire definitivamente all'estero, il seco ritiene che le misure prese da quest'ultimo (il prelievo dell'avere di libero passaggio da parte di entrambi i coniugi, l'interruzione della copertura assicurativa in caso di malattia, l'annuncio della partenza definitiva alle autorità comunali) attesterebbero, quantomeno, la volontà di trasferire il luogo di dimora abituale. Non potendo di conseguenza l'assicurato, per il periodo in esame, essere considerato domiciliato in Svizzera ai sensi dell'art. 14 cpv. 1 lett. b LADI, egli nemmeno potrebbe beneficiare dell'esenzione dall'obbligo di adempimento del periodo di contribuzione.
(...)
4.4 Il mantenimento del domicilio svizzero da parte dell'assicurato durante il periodo di cura all'estero appare più che dubbio. La questione non necessita comunque di ulteriori approfondimenti, in quanto, in un caso come nell'altro, l'esito del gravame non muterebbe. Infatti anche se l'assicurato dovesse avere trasferito il proprio domicilio all'estero, come sembrerebbe, egli potrebbe comunque, per le considerazioni che seguono, beneficiare dell'esenzione dall'adempimento del periodo di contribuzione di cui all'art. 14 cpv. 1 lett. b LADI. Per le stesse ragioni non occorre nemmeno esaminare ulteriormente l'osservazione del seco, secondo cui la condizione di domicilio (peraltro definita in modo identico nelle tre versioni linguistiche, la legge facendo capo ai termini di "Wohnsitz", rispettivamente di "personnes domiciliées") posta da quest'ultimo disposto in realtà configurerebbe una semplice condizione di residenza effettiva.
5.1 Il 1° giugno 2002 è entrato in vigore l'Accordo del 21 giugno 1999 tra la Confederazione Svizzera, da una parte, e la Comunità
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europea ed i suoi Stati membri, dall'altra, sulla libera circolazione delle persone (ALC; RS 0.142.112.681). L'applicazione dell'Accordo dev'essere ammessa nel caso di specie, anche dal profilo temporale (v. sentenza citata del 21 dicembre 2006 C 203/03, consid. 4.1) e personale. L'assicurato è di nazionalità svizzera e pertanto cittadino di uno Stato contraente. Il necessario elemento transfrontaliero è inoltre dato in concreto dal fatto che l'assicurato, dopo avere, per quasi due anni, soggiornato per fini curativi in diversi Stati membri dell'UE, è rientrato in Svizzera, dove ha precedentemente lavorato, per intraprendere una nuova attività e, in sua mancanza, fa valere il diritto a prestazioni sociali dell'ordinamento legale elvetico (cfr. anche DTF 132 V 423 consid. 6.4.1 pag. 429). (...)
5.2 Giusta l'art. 9 cpv. 2 allegato I ("Libera circolazione delle persone") ALC, emanato sulla base dell'art. 7 ALC e facente parte integrante dell'Accordo, il lavoratore dipendente e i membri della sua famiglia di cui all'art. 3 allegato I godono degli stessi vantaggi fiscali e sociali dei lavoratori dipendenti nazionali e dei membri delle loro famiglie.
L'art. 9 cpv. 2 allegato I corrisponde materialmente all'art. 7 n. 2 del regolamento (CEE) n. 1612/68 del Consiglio del 15 ottobre 1968 relativo alla libera circolazione dei lavoratori all'interno della Comunità (in seguito: regolamento n. 1612/68; GU L 257 pag. 2; DTF 132 V 82 consid. 5.5 pag. 90). Secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee (CGCE) questo regolamento è applicato in via sussidiaria rispetto al regolamento n. 1408/71 (sentenza del 27 marzo 1985 nella causa 122/84, Scrivner e Cole, Racc. 1985, pag. 1027 segg., punto 16; PATRICIA USINGER-EGGER, Ausgewählte Rechtsfragen des Arbeitslosenversicherungsrechts im Verhältnis Schweiz-EU, in: Thomas Gächter [ed.], Das europäische Koordinationsrecht der sozialen Sicherheit und die Schweiz, Erfahrungen und Perspektiven, Zurigo/Basilea/Ginevra 2006, pag. 33 segg., pag. 39 nota 35 e pag. 49; SILVIA BUCHER, Soziale Sicherheit, beitragsunabhängige Sonderleistungen und soziale Vergünstigungen: Eine europarechtliche Untersuchung mit Blick auf schweizerische Ergänzungsleistungen und Arbeitslosenhilfen, tesi Friborgo 1999, pag. 477 cifra marg. 1174, [in seguito: BUCHER, Soziale Sicherheit]).
6. Controverso in concreto è il diritto dell'assicurato a indennità di disoccupazione a partire dal 14 marzo 2003, e in particolare il tema
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di sapere se, in considerazione del soggiorno all'estero (dal 1° giugno 2001 al 1° marzo 2003) per scopo curativo e della malattia che ne ha pregiudicato la capacità lavorativa fino al 23 febbraio 2003 durante il termine quadro per il periodo di contribuzione (14 marzo 2001-13 marzo 2003; art. 9 cpv. 3 LADI), egli fosse esonerato dall'obbligo di contribuzione di cui all'art. 13 LADI. In tale contesto si tratta di valutare se la limitazione del domicilio svizzero prevista dall'art. 14 cpv. 1 lett. b LADI sia contraria al divieto di discriminazione sancito dal diritto convenzionale, rispettivamente dal diritto comunitario (art. 2 ALC; art. 3 n. 1 del regolamento n. 1408/71; art. 9 cpv. 2 allegato I ALC in relazione con l'art. 7 n. 2 del regolamento n. 1612/68), e se, in caso affermativo, non debba trovare applicazione nell'evenienza concreta.
8.1 Si tratta di esaminare se le prestazioni secondo l'art. 14 cpv. 1 LADI possano o meno costituire dei "vantaggi sociali" e se, in caso affermativo, si sia in presenza di una situazione discriminatoria che contrasti con il principio posto dall'art. 9 cpv. 2 allegato I ALC.
8.2 Nella sua prassi, di cui anche il Tribunale federale deve tenere conto nella misura in cui l'applicazione dell'ALC implica, come in concreto, nozioni di diritto comunitario (art. 16 cpv. 2 ALC; più in generale sulla rilevanza della giurisprudenza della CGCE ai fini interpretativi dell'ALC cfr. DTF 132 V 423 consid. 9.2 pag. 437; BORELLA/GRISANTI, La rilevanza della giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee per il giudice svizzero nell'applicazione dell'Accordo sulla libera circolazione delle persone, in: Corti/Mini/Noseda/Postizzi [a cura di], Diritto senza devianza, Studi in onore di Marco Borghi, Basilea/Ginevra/Monaco 2006, pag. 205 segg.), la CGCE interpreta in maniera estensiva la nozione di "vantaggi sociali" ai sensi dell'art. 7 n. 2 del regolamento n. 1612/68, alla cui formulazione si è ispirato l'art. 9 cpv. 2 allegato I ALC (DTF 130 II 113 consid. 5.2 pag. 119).
Essa definisce infatti tali quei vantaggi che, connessi o meno a un contratto di lavoro, sono generalmente attribuiti ai lavoratori nazionali, in relazione, principalmente, alla loro qualifica di lavoratori o al semplice fatto della loro residenza nel territorio nazionale, e la cui estensione ai lavoratori cittadini di altri Stati membri appare pertanto atta a facilitare la loro mobilità all'interno della Comunità
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(sentenza della CGCE del 27 novembre 1997 nella causa C-57/96, Meints, Racc. 1997, pag. I-6689 segg., punto 39 con riferimento).Sono stati ad esempio riconosciuti come "vantaggi sociali" il finanziamento degli studi in favore dei figli di un lavoratore (sentenza della CGCE del 20 marzo 2001 nella causa C-33/99, Fahmi e Esmoris Cerdeiro-Pinedo Amado, Racc. 2001, pag. I-2415, punto 45), delle indennità di educazione destinate a compensare gli oneri familiari (sentenza della CGCE del 12 maggio 1998 nella causa C-85/96, Martínez Sala, Racc. 1998, pag. I-2691, punti 26-28), delle indennità funerarie (sentenza della CGCE del 23 maggio 1996 nella causa C-237/94, O'Flynn, Racc. pag. I-2617), il diritto di chiedere lo svolgimento di un procedimento in una lingua diversa dalla lingua processuale usata di regola, qualora ai lavoratori nazionali sia riconosciuto lo stesso diritto in situazioni analoghe (sentenza della CGCE dell'11 luglio 1985 nella causa 137/84, Mutsch, Racc. 1985, pag. 2681), delle riduzioni ferroviarie per famiglie numerose (sentenza della CGCE del 30 settembre 1975 nella causa 32/75, Cristini, Racc. 1975, pag. 1085), il conferimento di una borsa di studio per seguire un corso di formazione professionale in un altro Stato membro (sentenza della CGCE del 27 settembre 1988 nella causa 235/87, Matteucci, Racc. 1988, pag. 5589), delle indennità di attesa previste in favore di giovani alla ricerca di impiego (sentenza del 20 giugno 1985 nella causa 94/84, Deak, Racc. 1985, pag. 1873), un sistema di imposizione contributivo o fiscale pari a quello previsto per i lavoratori nazionali (sentenza della CGCE dell'8 maggio 1990 nella causa C-175/88, Biehl, Racc. 1990, pag. I-1779), dei mutui concessi alle famiglie a basso reddito allo scopo di incoraggiarne la natalità (sentenza della CGCE del 14 gennaio 1982 nella causa 65/81, Reina, Racc. 1982, pag. 33), la concessione di un reddito garantito alle persone anziane (sentenza della CGCE del 12 luglio 1984 nella causa 261/83, Castelli, Racc. 1984, pag. 3199), una prestazione sociale volta a garantire un livello di sussistenza minima (sentenza della CGCE del 27 marzo 1985 nella causa 249/83, Hoeckx, Racc. 1985, pag. 3199), una prestazione di disoccupazione versata una tantum a lavoratori agricoli a titolo di indennizzo per la risoluzione del loro contratto a causa della messa a riposo dei terreni del datore di lavoro (sentenza della CGCE nella causa Meints, precitata), ecc. (cfr. per una panoramica: EBERHARD EICHENHOFER, Sozialrecht der Europäischen Union, 3a ed., Berlino 2006, pag. 193 seg.; KAHIL-WOLFF/GREBER, Sécurité sociale: aspects
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de droit national, international et européen, Ginevra/Basilea/Monaco 2006, pag. 294 seg.; POCAR/VIARENGO, Diritto comunitario del lavoro, Padova 2001, pag. 106 seg.; GIANNI ARRIGO, Il diritto del lavoro dell'Unione europea, tomo I, Milano 1998, pag. 250 seg.). Questa qualifica è per contro stata negata in relazione a un permesso di pesca (sentenza del Tribunale federale 2P.142/2003 del 7 novembre 2003, consid. 3.4, pubblicata in: ZBl 105/2004 pag. 322).
8.3 La CGCE ha inoltre riconosciuto la qualifica di "lavoratore" ai sensi dell'art. 7 n. 2 del regolamento n. 1612/68 anche dopo la cessazione del rapporto di lavoro, da un lato se esiste una relazione tra la prestazione in questione e la precedente posizione di lavoratore, e dall'altro in caso di persone che cercano effettivamente un impiego. I lavoratori migranti in cerca di lavoro beneficiano tuttavia del principio della parità di trattamento soltanto se hanno già lavorato nello Stato in cui cercano lavoro, e se in questo modo possono fare valere un nesso sufficientemente stretto con il mercato del lavoro di tale Stato (SVR 2007 AlV n. 9 pag. 28 consid. 6.2.1 pag. 31, C 203/03 e le sentenze della CGCE ivi menzionate; cfr. pure USINGER- EGGER, op. cit., pag. 50).
8.4 Questo nesso è stato negato dalla CGCE a una persona in cerca di impiego, che, dopo avere lavorato alcuni mesi nel Regno Unito, vi aveva fatto ritorno 17 anni più tardi per cercare un'attività completamente diversa da quella svolta in precedenza (sentenza della CGCE del 23 marzo 2004 nella causa C-138/02, Collins, Racc. 2004, pag. I-2703 segg., punti 28 segg.; USINGER-EGGER, op. cit., pag. 50 seg.).
Lo stesso nesso è inoltre stato recentemente negato dal Tribunale giudicante con riferimento a un cittadino svizzero, economista, che dopo avere lavorato in qualità di lavoratore dipendente in Svizzera dal 1980 al 1986 e in qualità di indipendente dal 1986 al 1996, aveva esercitato (in diversi Paesi europei, ma non in Svizzera) dal 1996 al 1999 l'attività di consulente per una società con sede nei Caraibi, prima di scontare una pena detentiva all'estero dal 1999 al 2002 e mettersi alla ricerca di un'attività in qualità di consulente aziendale nel nostro Paese dal 1° ottobre 2002. In tale occasione è stato osservato che la situazione dell'interessato era paragonabile a quella di una persona che era per la prima volta alla ricerca d'impiego in Svizzera; il che escludeva l'applicabilità dell'art. 9 cpv. 2 allegato I ALC. Infatti, conformemente alla giurisprudenza della CGCE,
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mentre i cittadini degli Stati membri che hanno già avuto accesso al mercato del lavoro (in questione) possono pretendere, in base all'art. 7 n. 2 del regolamento n. 1612/68, gli stessi vantaggi sociali e fiscali dei lavoratori nazionali, quelli che si spostano per cercare un impiego beneficiano del principio della parità di trattamento solo per l'accesso al lavoro (cfr. a tal proposito le sentenze nella causa Collins, precitata, punto 31, e del 18 giugno 1987 nella causa 316/85, Lebon, Racc. 1985, pag. 2811, punto 26). La questione di sapere se le prestazioni ai sensi dell'art. 14 cpv. 1 LADI costituiscano dei "vantaggi sociali" a norma dell'art. 9 cpv. 2 allegato I ALC ha pertanto potuto rimanere insoluta nella menzionata vertenza così come ha potuto esserlo il quesito se il disposto, in caso di sufficiente nesso con il mercato del lavoro elvetico, sia contrario al divieto di discriminazione convenzionale e comunitario (SVR 2007 AlV n. 9 pag. 28 consid. 6.2.2 pag. 31, C 203/03).
8.5 Contrariamente ai due casi poc'anzi esposti, la situazione di C. si presenta in maniera differente. L'assicurato, di cittadinanza svizzera, prima di disdire il proprio rapporto di lavoro e di trasferirsi all'estero per sottoporsi alle adeguate cure mediche, ha lavorato (almeno) 26 anni in Svizzera presso la ditta X. In tali condizioni, il necessario nesso con il mercato del lavoro interno non può certamente essere messo in discussione. L'interessato, che al termine del periodo di cura all'estero è tornato in Svizzera alla ricerca effettiva di un nuovo impiego nell'ambito professionale precedentemente esercitato (...), ha conservato la sua precedente qualifica e può di conseguenza essere considerato un "lavoratore" ai sensi dell'art. 7 n. 2 del regolamento n. 1612/68, rispettivamente dell'art. 9 cpv. 2 allegato I ALC.
8.6 Per stabilire se la prestazione di cui all'art. 14 cpv. 1 LADI possa essere qualificata quale "vantaggio sociale" ai sensi dell'art. 7 n. 2 del regolamento n. 1612/68 e, di conseguenza, anche ai sensi dell'art. 9 cpv. 2 allegato I ALC, occorre considerare che la CGCE, nella sua amplissima interpretazione della nozione, ha ad esempio di recente avuto modo di annoverare in questa categoria anche la concessione, secondo il diritto belga, di indennità di disoccupazione giovanile ("allocations d'attente") in favore dei giovani di meno di 30 anni in cerca di prima occupazione o che avevano esercitato un'attività salariata per un periodo troppo breve per avere diritto alle indennità di disoccupazione ordinarie (sentenza del 15 settembre 2005 nella causa C-258/04, Ioannidis, Racc. 2005, pag. I-8275).
8.7 Inoltre, non può passare inosservato che la dottrina in materia tende a qualificare come "vantaggi sociali" le prestazioni sociali che non ricadono nel campo applicativo del regolamento n. 1408/71 (ad esempio: BUCHER, Soziale Sicherheit, op. cit., pag. 434 cifra marg. 1088 seg.; EDGAR IMHOF, Eine Anleitung zum Gebrauch des Personenfreizügigkeitsabkommens und der VO 1408/71, in: Hans-Jakob Mosimann [ed.], Aktuelles im Sozialversicherungsrecht, Zurigo 2001, pag. 34; WOLLENSCHLÄGER/GRIMM, Die Auswirkungen der Rechtsprechung des EuGH auf das nationale Sozialrecht, in: ZIAS 2004 pag. 335 segg., pag. 363; Haverkate/Weiss/Huster/Schmidt [ed.], Casebook zum Arbeits- und Sozialrecht der EU, Baden-Baden 1999, pag. 34 cifra marg. 41; PIERRE RODIÈRE, Droit social de l'Union européenne, 2a ed., Parigi 2002, pag. 257, 602 seg.; cfr. tuttavia anche HEINZ-DIETRICH STEINMEYER, in: Maximilian Fuchs [ed.], Europäisches Sozialrecht, 4a ed., Baden-Baden 2005, pag. 568 segg. e KAHIL-WOLFF/GREBER, op. cit., pag. 295, i quali, rinviando alla pertinente giurisprudenza della CGCE, rilevano comunque l'esistenza, irrilevante nel caso di specie, di alcune prestazioni [quali ad esempio i diritti che sono concessi unicamente in funzione dell'appartenenza nazionale, come i diritti politici, oppure i vantaggi concessi agli ex prigionieri di guerra e fondati sullo status di benemerito della nazione] che non rientrano né nel campo applicativo del regolamento n. 1408/71 né nella nozione di vantaggio sociale). Va da sé però che non possono prevalersi dei vantaggi sociali e del principio di parità di trattamento sancito dall'art. 7 n. 2 del regolamento n. 1612/68, rispettivamente dall'art. 9 cpv. 2 allegato I ALC, le persone che si trasferiscono in un altro Stato al solo scopo di ivi beneficiare di tali vantaggi (STEINMEYER, in: Fuchs, [ed.] op. cit., pag. 571).
8.8 Tutto ben ponderato, si deve ritenere che la norma in esame (art. 14 cpv. 1 LADI), nella misura in cui prescinde, a determinate condizioni, dalla necessità di esercitare un'occupazione soggetta a obbligo contributivo per un determinato periodo e agevola così l'accesso, ove siano soddisfatti gli ulteriori presupposti legali, alle indennità di disoccupazione, istituisce un "vantaggio sociale" ai sensi dell'art. 7 n. 2 del regolamento n. 1612/68 e, di conseguenza, pure ai sensi dell'art. 9 cpv. 2 allegato I ALC. Le prestazioni ai sensi dell'art. 14 cpv. 1 LADI sono infatti concesse per ragioni sociali in considerazione della residenza sul territorio nazionale, vale a dire del domicilio in Svizzera. Quali prestazioni a favore di persone
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alla ricerca d'impiego esse sono inoltre senz'altro atte ad agevolare la libera circolazione dei lavoratori migranti (USINGER-EGGER, op. cit., pag. 50). Quanto al fatto che queste persone possano essere considerate lavoratori ai sensi dell'art. 7 n. 2 del regolamento n. 1612/68, la questione è già stata trattata e risolta affermativamente in presenza di una precedente attività lavorativa nello Stato di ricerca d'impiego e, quindi, di un sufficiente nesso con il mercato del lavoro interessato (consid. 8.3-8.5).
9. Come accennato (consid. 6), il mancato adempimento del periodo di contribuzione di cui all'art. 13 cpv. 1 LADI, che è incontestato, non osta al diritto dell'assicurato se egli può comunque esservi esonerato in virtù dell'art. 14 cpv. 1 lett. b LADI. Ciò presuppone tuttavia che la condizione ivi posta del domicilio in Svizzera durante il periodo di malattia per oltre 12 mesi complessivamente entro il termine quadro non possa applicarsi poiché contraria al divieto di discriminazione dell'art. 7 n. 2 del regolamento n. 1612/68, rispettivamente dell'art. 9 cpv. 2 allegato I ALC. In tale contesto va pure tenuto conto dell'art. 2 ALC, stante il quale in conformità delle disposizioni degli allegati I, II e III dell'Accordo, i cittadini di una parte contraente che soggiornano legalmente sul territorio di un'altra parte contraente non sono oggetto, nell'applicazione di dette disposizioni, di alcuna discriminazione fondata sulla nazionalità.
9.1 Il seco ha ricordato che la limitazione del domicilio svizzero di cui all'art. 14 cpv. 1 lett. b LADI è stata consapevolmente introdotta dal legislatore per attenuare le ripercussioni dell'ALC e delle determinanti norme di coordinamento sull'assicurazione contro la disoccupazione elvetica (v. il Messaggio del Consiglio federale concernente l'approvazione degli accordi bilaterali tra la Svizzera e la CE [FF 1999 pag. 5092 segg., 5318]). Tale circostanza, da sola, non determina di per sé una discriminazione illecita. La possibilità di adottare provvedimenti volti a salvaguardare l'equilibrio finanziario delle assicurazioni sociali è infatti di per sé riconosciuta (sentenze della Corte AELS del 14 giugno 2001, E-4-6/00, punto 32). Nondimeno occorre verificarne la forma e gli effetti eventualmente discriminatori (DTF 130 I 26 consid. 3.1 pag. 33 seg.).
9.2 Secondo la costante giurisprudenza della CGCE (art. 16 cpv. 2 ALC), il divieto di discriminazione, rispettivamente il principio della parità di trattamento, vietano non soltanto le discriminazioni palesi basate sulla cittadinanza (discriminazioni dirette) ma anche
BGE 133 V 367 S. 379
qualsiasi forma dissimulata di discriminazione, che, in applicazione di altri criteri di distinzione, conduca di fatto allo stesso risultato (discriminazioni indirette; DTF 131 V 209 consid. 6.2 pag. 215, DTF 131 V 390 consid. 5.1 pag. 397 con riferimenti; sulla nozione v. anche BUCHER, Soziale Sicherheit, cifra marg. 58, con numerosi riferimenti alla giurisprudenza della CGCE; in merito alla più recente giurisprudenza della CGCE v. ad esempio la sentenza Ioannidis, precitata, punto 26).
9.3 Devono pertanto essere giudicate indirettamente discriminatorie le condizioni poste dall'ordinamento nazionale le quali, benché indistintamente applicabili secondo la cittadinanza, riguardino essenzialmente o in gran parte i lavoratori migranti nonché le condizioni indistintamente applicabili che possono essere soddisfatte più agevolmente dai lavoratori nazionali che dai lavoratori migranti o che rischiano di essere sfavorevoli, in modo particolare, ai lavoratori migranti (sentenza della CGCE nella causa O'Flynn, precitata, punto 18; in questo senso anche la giurisprudenza successiva della CGCE: v. ad esempio la sentenza del 21 settembre 2000 nella causa C-124/99, Borawitz, Racc. 2000, pag. I-7293, punto 25).
Una soluzione diversa è ammissibile solo se le dette disposizioni siano giustificate da considerazioni oggettive, indipendenti dalla cittadinanza dei lavoratori interessati, e se siano adeguatamente commisurate allo scopo legittimamente perseguito dall'ordinamento nazionale (sentenze citate O'Flynn, punto 19, e Borawitz, punto 26).
A meno che non sia obiettivamente giustificata e adeguatamente commisurata allo scopo perseguito, una disposizione di diritto nazionale dev'essere di conseguenza giudicata indirettamente discriminatoria quando, per sua stessa natura, tenda ad incidere più sui cittadini di altri Stati membri che su quelli nazionali e, di conseguenza, rischi di essere sfavorevole in modo particolare ai primi (v., in tal senso, le sentenze, precitate Borawitz, punto 27, e Meints, punto 45).
Per accertare se l'utilizzazione di un determinato criterio di distinzione nel senso suesposto conduca indirettamente a una disparità di trattamento fondata sulla nazionalità, occorre raffrontare la quota di cittadini e non cittadini all'interno della categoria delle persone sfavorite, rispettivamente non favorite, da un lato, e la quota di cittadini e non cittadini all'interno della categoria delle persone non sfavorite, rispettivamente favorite, dall'altro (cfr. la sentenza
BGE 133 V 367 S. 380
Borawitz, precitata, punti 28-31; v. inoltre DTF 131 V 209 consid. 6.3 pag. 215 seg., DTF 131 V 390 consid. 5.1 pag. 397 con riferimenti).Non solo i lavoratori migranti stranieri possono richiamarsi al divieto di discriminazione sancito dal diritto convenzionale, rispettivamente comunitario, nei confronti dello Stato che li accoglie, bensì anche i lavoratori nazionali nei confronti del loro Paese nella misura in cui è dato il necessario nesso euro-internazionale. E ciò vale anche se la regola in esame, pur non penalizzando maggiormente gli stranieri comunitari rispetto a quelli nazionali, incide comunque maggiormente sui lavoratori migranti, indipendentemente dalla loro nazionalità, che non sui lavoratori non migranti (IMHOF, FZA/EFTA-Übereinkommen und soziale Sicherheit, Ein Überblick unter Berücksichtigung der bis Juni 2006 ergangenen höchstrichterlichen Rechtsprechung zum materiellen Koordinationsrecht, in: Jusletter del 23 ottobre 2006, cifra marg. 24 con i riferimenti alle sentenze della CGCE del 26 gennaio 1999 nella causa C-18/95, Terhoeve, Racc. 1999, pag. I-345, punti 25 segg., 39 segg., e del 7 marzo 1991 nella causa C-10/90, Masgio, Racc. 1991, pag. I-1119, punto 25).
9.4 La condizione posta dall'art. 14 cpv. 1 lett. b LADI, in virtù della quale, per beneficiare dell'esenzione dall'adempimento del periodo di contribuzione a dipendenza di malattia, la persona interessata dev'essere stata domiciliata durante questo periodo in Svizzera, può essere più agevolmente soddisfatta da cittadini svizzeri (o comunque da lavoratori non migranti) che da cittadini stranieri (o comunque da lavoratori migranti). Contrariamente alla situazione di un cittadino svizzero (o comunque di un lavoratore non migrante) nella medesima posizione, appare infatti più probabile che un cittadino straniero (o comunque un lavoratore migrante), che dopo un periodo di malattia (durato oltre 12 mesi complessivamente entro il termine quadro) si mette alla ricerca di un'occupazione sul mercato del lavoro elvetico, abitasse e fosse domiciliato al di fuori della Svizzera durante tale periodo. In tali circostanze, non può certamente essere seguita la tesi del seco nella misura in cui ritiene non discriminatoria la disposizione del diritto nazionale per il semplice fatto che la condizione di domicilio si applicherebbe senza distinzione sia ai cittadini svizzeri che agli stranieri.
L'art. 14 cpv. 1 lett. b LADI mira a colpire principalmente i cittadini dell'UE e non i cittadini svizzeri. La presente fattispecie non è pertanto paragonabile a quella giudicata in DTF 130 I 26 segg. (in
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particolare pag. 36 consid. 3.3.1 in fine) in cui si trattava di esaminare la legalità della limitazione del numero dei fornitori di prestazioni ammessi ad esercitare la propria attività a carico dell'assicurazione obbligatoria contro le malattie, emanata dal Consiglio federale in base all'art. 55a LAMal e attuata dal Consiglio di Stato zurighese. Nel porre la limitazione del domicilio svizzero durante il periodo di malattia, l'art. 14 cpv. 1 lett. b LADI ha così istituito una, di per sé inammissibile, discriminazione indiretta. Resta da esaminare se tale limitazione non sia obiettivamente giustificata e adeguatamente commisurata allo scopo legittimamente perseguito dall'ordinamento nazionale (v. DTF 131 V 209 consid. 6.3 pag. 216, DTF 131 V 390 consid. 5.1 pag. 397 con riferimenti).
9.5 Con l'introduzione della clausola di domicilio all'art. 14 cpv. 1 lett. b LADI si è voluto evitare che cittadini dell'UE, che in precedenza non avevano mai soggiornato in Svizzera e che per un periodo prolungato sono stati incapaci al lavoro per uno dei motivi menzionati dal disposto (malattia, infortunio o maternità), potessero, in seguito a un breve periodo di lavoro in Svizzera, far valere questo motivo d'esenzione e percepire prestazioni dell'assicurazione contro la disoccupazione svizzera (FF 1999 pag. 5318). Il seco sottolinea come questa condizione sia stata introdotta allo scopo di evitare il verificarsi di abusi.
9.6 Ora, di per sé, come ha già avuto peraltro modo di affermare in costante giurisprudenza anche la CGCE, è legittimo che il legislatore nazionale voglia accertarsi dell'esistenza di un nesso reale tra chi richiede indennità di disoccupazione e il mercato geografico del lavoro interessato (sentenze precitate Ioannidis, punto 30, e Collins, punti 67-69; cfr. inoltre la sentenza dell'11 luglio 2002 nella causa C-224/98, D'Hoop, Racc. 2002, pag. I-6191, punto 38). Del resto, se per le persone in cerca d'impiego il diritto ai vantaggi sociali conferiti dall'art. 14 cpv. 1 LADI è subordinato all'esistenza di un sufficiente nesso con il mercato del lavoro elvetico, la condizione di domicilio svizzero costituisce un mezzo di per sé idoneo all'accertamento di questo legame. Resta da determinare se la condizione sia altrimenti proporzionata e in particolare necessaria per rapporto al fine perseguito (USINGER-EGGER, op. cit., pag. 52).
9.7 Può tornare utile a tal proposito esaminare la pertinente giurisprudenza della CGCE in materia (art. 16 cpv. 2 ALC).
9.7.1 Dovendosi ad esempio pronunciare in merito all'assegno di natalità secondo il diritto lussemburghese (ugualmente interpretato
BGE 133 V 367 S. 382
quale vantaggio sociale ai sensi dell'art. 7 n. 2 del regolamento n. 1612/68), che condizionava il versamento di una prima quota al fatto che la beneficiaria avesse avuto la sua residenza legale nel Granducato del Lussemburgo durante l'intero anno precedente la nascita del bambino e che fossero state effettuate tutte le visite mediche prescritte dalla legge, la CGCE ha rilevato che il requisito della previa residenza nel Granducato non era necessario, nel caso di specie, al conseguimento del fine perseguito, consistente nella tutela della sanità pubblica. Pur riconoscendo che l'obbligo di sottoporsi a determinate visite mediche nel Granducato era adeguato alle esigenze di questa tutela, i giudici della Corte hanno ritenuto eccessivo non tener conto delle visite mediche eventualmente effettuate in un altro Stato membro (sentenza del 10 marzo 1993 nella causa C-111/91, Commissione/Granducato del Lussemburgo, Racc. 1993, pag. I-817, punti, 3, 10 e 12).
9.7.2 In una più recente vertenza è stata esaminata la compatibilità, con il principio della parità di trattamento, di una normativa britannica che subordinava il beneficio di un'indennità per persone in cerca d'impiego a una clausola di residenza nel Regno Unito. Facendo notare che tale condizione poteva essere soddisfatta più facilmente dai cittadini nazionali, la Corte ha rilevato che detta normativa svantaggiava i cittadini degli Stati membri che si avvalevano del loro diritto di circolare per cercare un lavoro sul territorio di un altro Stato membro (sentenza del 23 marzo 2004 nella causa Collins, precitata, punto 65; in tal senso pure la sentenza del 23 maggio 1996 nella causa O'Flynn, precitata, punto 18). Essa ha di per sé considerato legittimo il fatto che uno Stato membro conceda una siffatta indennità solo dopo che ha avuto la possibilità di accertarsi dell'esistenza di un nesso reale fra chi cerca lavoro e il mercato del lavoro di tale Stato. Ha inoltre aggiunto che l'esistenza di un nesso del genere potrebbe essere verificata, in particolare, accertando che la persona di cui trattasi ha realmente cercato un'occupazione nello Stato membro in questione per un periodo di una durata ragionevole (sentenza Collins, citata, punto 70). Tuttavia - ha concluso -, sebbene una condizione relativa alla residenza sia, in linea di principio, idonea a garantire un tale collegamento, per essere proporzionata essa non può andar oltre quanto necessario a conseguire tale obiettivo. In particolare, per essere applicata, essa non deve andare oltre quanto necessario affinché le autorità nazionali possano assicurarsi che l'interessato cerchi realmente un impiego sul
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mercato del lavoro dello Stato membro ospitante (sentenza Collins, citata, punto 72).Istruttive, per la miglior comprensione di queste affermazioni (che non sono state espresse solo alla luce della nozione di cittadinanza europea, irrilevante per la Svizzera; USINGER-EGGER, op. cit., pag. 51 nota 122; BORELLA/GRISANTI, op. cit., pag. 222), sono le dichiarazioni pronunciate, sempre nell'ambito della vertenza di cui si tratta, dall'Avvocato generale Ruíz-Jarabo Colomer. Nelle sue conclusioni del 10 luglio 2003, recepite dalla Corte, l'Avvocato generale ha tra l'altro rilevato che l'imposizione di una condizione relativa alla residenza, volta a comprovare un radicamento nel paese ospitante e l'esistenza di legami tra il richiedente e il mercato del lavoro di questo paese, può essere giustificata in base all'esigenza di evitare il fenomeno del cosiddetto "turismo sociale", praticato da quelle persone che si spostano da uno Stato all'altro allo scopo di usufruire di prestazioni non contributive, e pertanto al fine di prevenire gli abusi. Egli ha quindi concluso che, nei limiti in cui l'applicazione di tale condizione si accompagni all'esame della situazione parti colare del richiedente in ciascun caso specifico, una tale misura non dovrebbe eccedere quanto necessario al fine di conseguire l'obiettivo perseguito (conclusioni, punto 75).
9.7.3 Merita infine particolare menzione anche la sentenza Ioannidis, precitata, nella quale, come già accennato, si trattava di esaminare la conformità con il diritto comunitario di una normativa belga concernente la concessione di indennità di disoccupazione giovanile in favore dei giovani di meno di 30 anni in cerca di prima occupazione o che avevano esercitato un'attività salariata per un periodo troppo breve per avere diritto alle indennità di disoccupazione ordinarie. Il signor Ioannidis, cittadino greco, si era visto negare la detta indennità speciale (qualificata anch'essa, dalla CGCE, quale vantaggio sociale ai sensi dell'art. 7 n. 2 del regolamento n. 1612/68) con la motivazione che egli non aveva terminato gli studi secondari in un istituto scolastico organizzato, sovvenzionato o riconosciuto da una delle tre comunità del Belgio, non era in possesso di un diploma o certificato di studi relativamente a tale formazione, pur essendo in possesso di un titolo greco omologato, e non risultava essere figlio a carico di lavoratori migranti residenti in Belgio. Dopo avere rilevato che la normativa nazionale in questione introduceva una disparità di trattamento tra i cittadini che avevano terminato i loro studi di ciclo secondario in Belgio e quelli che li
BGE 133 V 367 S. 384
avevano completati in un altro Stato membro, e avere osservato che questa condizione rischiava di sfavorire soprattutto i cittadini di altri Stati membri, poiché poteva essere più facilmente soddisfatta dai cittadini nazionali, la Corte di giustizia, pur ribadendo la legittimità, per il legislatore nazionale, di accertarsi dell'esistenza di un nesso reale tra chi richiede la detta indennità e il mercato geografico del lavoro interessato, ha ritenuto eccessiva tale condizione per il raggiungimento dell'obiettivo perseguito (sentenza Ioannidis, punti 27-31). In particolare, i giudici lussemburghesi hanno considerato sproporzionata la normativa nazionale belga nella misura in cui, pur riconoscendo di principio il diritto all'indennità di disoccupazione giovanile anche a chi, in cerca di occupazione, non aveva terminato i suoi studi secondari in Belgio, subordinava comunque questo beneficio alla condizione che il richiedente avesse seguito studi o una formazione equivalente in un altro Stato membro e fosse a carico di lavoratori migranti residenti in Belgio (sentenza Ioannidis, punto 32). La Corte di giustizia ha ritenuto che questa condizione (anche di residenza) non poteva essere giustificata con l'intento di assicurarsi dell'esistenza di un nesso reale tra chi chiede l'indennità e il mercato geografico del lavoro interessato. Pur riconoscendo che essa condizione si fondava su un elemento che poteva essere considerato rappresentativo di un grado reale ed effettivo di collegamento, la massima istanza giudiziaria europea ha rilevato che non si poteva escludere che una persona, quale il signor Ioannidis, che, dopo un ciclo di studi secondari terminato in uno Stato membro, aveva continuato studi superiori in un altro Stato membro e ivi aveva ottenuto un diploma, fosse altrimenti in grado di giustificare un nesso reale con il mercato del lavoro di tale Stato, anche se non era a carico di lavoratori migranti residenti nel detto Stato. Una tale condizione è quindi stata ritenuta andare anche al di là di quanto necessario per raggiungere l'obiettivo perseguito (sentenza Ioannidis, punto 33).
9.8 Stante quanto precede si deve ritenere che la limitazione introdotta dall'art. 14 cpv. 1 lett. b LADI non appare, alla luce del caso di specie, obiettivamente giustificata e adeguatamente commisurata allo scopo perseguito dall'ordinamento nazionale. Pur potendo riconoscere che la clausola di domicilio rappresenti uno strumento idoneo ad accertarsi dell'esistenza di un nesso reale con il mercato del lavoro elvetico, l'applicazione di tale condizione deve, per quanto visto in precedenza (consid. 9.7.2), ancora
BGE 133 V 367 S. 385
accompagnarsi all'esame della situazione particolare del richiedente in ciascun caso specifico (in questo senso pure USINGER-EGGER, op. cit., pag. 53). Ora, è indubbio che, nella misura in cui non tiene conto delle situazioni in cui può venirsi a trovare una persona quale C., il quale pur non essendo stato residente o domiciliato nel nostro Paese durante il periodo di malattia, è comunque in grado di giustificare un nesso reale con detto mercato del lavoro, questa condizione di domicilio, così come concepita, va anche al di là di quanto necessario per raggiungere l'obiettivo perseguito (cfr. a tal proposito pure USINGER-EGGER, op. cit., pag. 52 seg., la quale autrice estende questa conclusione anche alla situazione, che non deve essere esaminata in concreto, dei lavoratori frontalieri che, prima del periodo di malattia, lavoravano in Svizzera). Il rischio di abusi, che ha indotto il legislatore federale a introdurre la clausola di domicilio, appare infatti scongiurato in situazioni del genere. Il che non significa per contro che, al di fuori di queste situazioni, una clausola di residenza non possa invece eventualmente giustificarsi - riservato l'esame, superfluo nella fattispecie concreta, della necessità della durata di 12 mesi - nell'ipotesi in cui un simile nesso con il mercato svizzero non possa essere stabilito e di conseguenza il rischio di abuso scongiurato.
9.9 Alla presente soluzione non potrebbero del resto opporsi nemmeno eventuali censure inerenti alla controllabilità della malattia all'estero, simili difficoltà incontrandosi ed essendo validamente sormontate segnatamente in ambito di assicurazione per l'invalidità in relazione alla determinazione dell'incapacità lavorativa e di guadagno di assicurati residenti all'estero.
9.10 Ne discende che la condizione di domicilio in Svizzera rappresenta, quantomeno nella casistica in esame, una misura sproporzionata e dev'essere ritenuta contraria al divieto di discriminazione del diritto convenzionale, rispettivamente del diritto comunitario (in questo senso anche USINGER-EGGER, op. cit., pag. 53; sostengono inoltre il carattere discriminatorio di questa e simili disposizioni della LADI: JAN MICHAEL BERGMANN, Überblick über die Regelungen des APF betreffend die Soziale Sicherheit, in: Schaffhauser/Schürer [ed.], Rechtsschutz der Versicherten und der Versicherer gemäss Abkommen EU/CH über die Personenfreizügigkeit [APF] im Bereich der Sozialen Sicherheit, San Gallo 2002, pag. 9 segg., pag. 18 nota 29; AMBROISE BULAMBO, Libération de l'obligation relative à la période de cotisation de l'article 14 al. 1 LACI, in: Aspects de la art. 14 cpv. 1 e 2 LADI risulterebbe accettabile).
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sécurité sociale 2005/3, pag. 36 seg., pag. 37; THOMAS NUSSBAUMER, Arbeitslosenversicherung, in: Ulrich Meyer [ed.], Schweizerisches Bundesverwaltungsrecht, Bd. XIV, Soziale Sicherheit, 2a ed., Basilea 2007, pag. 2257, cifre marg. 257 seg.; BETTINA KAHIL-WOLFF, L'accord sur la libre circulation des personnes Suisse-CE et le droit des assurances sociales, in: SJ 2001 II pag. 81 segg., pag. 134; medesima autrice, Quelques remarques sur les voies de droit en matière de sécurité sociale dans le cadre de l'Accord sur la libre circulation des personnes [ALCP], in: JdT 2002 III pag. 60 segg., pag. 61; sostanzialmente della medesima opinione: UELI KIESER, Das Personenfreizügigkeitsabkommen und die Arbeitslosenversicherung, in: PJA 2003/3 pag. 289, nonché STEPHAN BREITENMOSER, Der Rechtsschutz im Personenfreizügigkeitsabkommen zwischen der Schweiz und der EG sowie den EU-Mitgliedsstaaten, in: PJA 2002 pag. 1003 segg., pag. 1009, nota 80; diversamente per contro BORIS RUBIN, Assurance-chômage, droit fédéral, survol des mesures cantonales, procédure, 2a ed., Zurigo 2006, pag. 990, per il quale la clausola di residenza di cui all'
10. Per il resto, come già anticipato (consid. 9.3), nulla osta a che l'assicurato possa prevalersi, nei confronti della Svizzera, del divieto di discriminazione di cui all'art. 9 cpv. 2 allegato I ALC. In presenza del necessario nesso transfrontaliero, già evidenziato (consid. 5.1), non vi è motivo per negare a un cittadino svizzero l'invocazione di tale disposto, ove si consideri che egli può peraltro richiamare l'applicazione delle altre disposizioni dell'Accordo e dei regolamenti, cui rinvia l'ALC, che in parte altro non fanno che concretare il divieto di discriminazione. Ne discende che l'assicurato resistente può prevalersi del divieto di discriminazione di cui all'art. 9 cpv. 2 allegato I ALC (più in generale, sulla possibilità del cittadino nazionale di invocare il divieto di discriminazione nei confronti del proprio Paese cfr. inoltre Imhof, in: Jusletter del 23 ottobre 2006, cifra marg. 24 con i riferimenti alle sentenze della CGCE Terhoeve e Masgio, precitate).
11. Come accennato (consid. 3.2 e 9.1), l'art. 14 cpv. 1 lett. b LADI è stato promulgato nella consapevolezza di limitare la portata della disciplina convenzionale. In tali circostanze si pone la questione di sapere se la norma di diritto interno sia - con riferimento alle sole situazioni qui in esame - da applicare nonostante risulti contraria al divieto di discriminazione convenzionale.
BGE 133 V 367 S. 387
11.1.1 In DTF 125 II 417 consid. 4d pag. 424, il Tribunale federale, con riferimento agli art. 113 cpv. 3 e 114bis cpv. 3 vCost., ha affermato che, in caso di conflitto, il diritto internazionale pubblico prevale, in linea di massima, su quello interno (cfr. pure DTF 122 II 234 consid. 4e pag. 239, DTF 122 II 471 consid. 3a pag. 484), specialmente laddove la norma internazionale ha per scopo la tutela dei diritti dell'uomo. Di conseguenza, ha aggiunto, una norma di diritto interno contraria al diritto internazionale non può trovare applicazione nel singolo caso di specie. In merito ad altri eventuali casi di conflitto, il Tribunale federale ha rinviato alla sentenza pubblicata in DTF 99 Ib 39 segg. (giurisprudenza "Schubert"), nella quale aveva fatto prevalere il diritto interno sul diritto internazionale nella misura in cui il primo era stato consapevolmente emanato in contrasto con il secondo. In DTF 112 II 1 consid. 8 pag. 13, detto Tribunale ha deciso di applicare comunque, in virtù dell'art. 113 cpv. 3 vCost., una norma nazionale poiché il legislatore federale, consapevole della possibile violazione del diritto internazionale, aveva comunque messo in conto tale eventualità.
Nella sua costante giurisprudenza questa Corte ha per il resto stabilito che il diritto interno deve di norma cedere il passo al diritto convenzionale segnatamente in materia di accordi bilaterali di sicurezza sociale (DTF 119 V 171 consid. 4a pag. 176 con riferimenti).
11.1.2 Giusta l'art. 190 Cost., le leggi federali e il diritto internazionale sono determinanti per il Tribunale federale e per le altre autorità incaricate dell'applicazione del diritto. Questa disposizione costituzionale non crea un ordine gerarchico tra le norme di diritto interno e quelle di diritto internazionale. Anche l'art. 5 cpv. 4 Cost., secondo cui la Confederazione e i Cantoni rispettano il diritto internazionale, non consente, in ragione della sua genesi, di concludere per una priorità incondizionata del diritto internazionale sul diritto nazionale (DANIEL THÜRER, Verfassungsrecht und Völkerrecht [in seguito: THÜRER, Verfassungsrecht], in: Thürer/Aubert/Müller, Verfassungsrecht der Schweiz, Zurigo 2001, pag. 190 cifra marg. 30; SILVIA BUCHER, Die Rechtsmittel der Versicherten gemäss APF im Bereich der Sozialen Sicherheit, in: Schaffhauser/Schürer [ed.], Rechtsschutz op. cit., pag. 152 seg. cifra marg. 83 con riferimenti [in seguito: BUCHER, Rechtsmittel]).
In DTF 130 I 33 segg. consid. 3, il Tribunale federale non si è espresso sull'eventualità di un suo vincolo alle disposizioni dell'art. 55a LAMal
BGE 133 V 367 S. 388
(in vigore dal 1° gennaio 2001) come pure alle norme di attuazione nel regolamento di ammissione del Consiglio federale (in vigore dal 4 luglio 2002) in caso di violazione del divieto di discriminazione convenzionale poiché ha in ogni caso escluso una simile ipotesi.Tuttavia, ancora recentemente, in DTF 131 II 352 consid. 1.3.1 pag. 355, lo stesso Tribunale, preso atto che le nuove disposizioni costituzionali non regolamentano in maniera espressa il caso in cui, come in concreto, vi sia una contraddizione inconciliabile tra i due ordini di norme, tenuto conto dei principi generali in materia di diritto internazionale pubblico (cfr. segnatamente gli art. 26 e 27 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, del 23 maggio 1969 [RS 0.111]), ha confermato la giurisprudenza sviluppata in DTF 125 II 417 (cfr. pure DTF 128 IV 117 consid. 3b pag. 122, DTF 128 IV 201 consid. 1.3 pag. 205, nonché la sentenza del Tribunale federale 2A.626/ 2004 del 6 maggio 2005, consid. 1.4 seg.).
11.2 L'intero ALC è improntato alla realizzazione della libera circolazione. Orbene, questa libertà viene espressamente qualificata dal regolamento n. 1612/68, terzo considerando introduttivo, quale diritto fondamentale (cfr. inoltre la sentenza della CGCE del 15 dicembre 1995 nella causa C-415/93, Bosman, Racc. 1995, pag. I-4921, punto 129; BREITENMOSER/ISLER, Der Rechtsschutz gemäss dem Personenfreizügigkeitsabkommen vom 21. Juni 1999 im Bereich der Sozialen Sicherheit, in: Schaffhauser/Schürer [ed.], Die Durchführung des Abkommens EU/CH über die Personenfreizügigkeit [Teil Soziale Sicherheit] in der Schweiz [in seguito: Schaffhauser/Schürer [ed.], Durchführung], pag. 205; BUCHER, Rechtsmittel, op. cit., pag. 153 cifra marg. 84 con riferimenti). Ciò porta ad assimilare l'art. 9 cpv. 2 allegato I ALC alle norme di diritto internazionale che hanno per scopo la tutela dei diritti dell'uomo, e induce di conseguenza ad esprimersi in favore di una sua prevalenza sulle disposizioni di legge federali.
11.3 Anche la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo rafforza d'altronde la tesi per cui, nell'assegnazione di prestazioni sociali, il divieto di discriminazione in ragione della nazionalità comprende una componente attinente ai diritti umani. Da essa si evince infatti la possibilità di invocare il divieto di discriminazione dell'art. 14 CEDU, che vieta tra l'altro le discriminazioni legate all'origine nazionale, in relazione alle prestazioni sociali
BGE 133 V 367 S. 389
previste dal diritto interno che presentano un nesso sufficiente con l'ambito tutelato dal diritto al rispetto della vita privata e familiare giusta l'art. 8 CEDU o dalla garanzia della proprietà secondo l'art. 1 del Protocollo n. 1 alla CEDU (cfr. sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo del 16 settembre 1996 nella causa Gaygusuz contro Austria, Recueil 1996-IV pag. 1129 segg., del 21 febbraio 1997 nella causa Van Raalte contro Paesi Bassi, Recueil 1997-I pag. 173 segg., e del 27 marzo 1998 nella causa Petrovic contro Austria, Recueil 1998-II pag. 579 segg.; BUCHER, Rechtsmittel, op. cit., pag. 153 seg. cifra marg. 85 con riferimenti).Conformemente a quanto stabilito in DTF 125 II 417 segg., queste considerazioni legate alla tutela dei diritti dell'uomo inducono a concludere per una prevalenza del diritto convenzionale sul diritto interno.
11.4 Ma anche a prescindere da tali (primarie) motivazioni, non vi è ragione per non accordare alle disposizioni direttamente applicabili dell'ALC e degli atti, cui è fatto riferimento, la precedenza rispetto all'art. 14 cpv. 1 lett. b LADI. Infatti l'ALC e i suoi allegati - ai quali (dal momento che fanno parte integrante del diritto comunitario) anche gli altri Stati contraenti devono riconoscere la prevalenza per rapporto alle loro disposizioni legali contrarie interne -, godono di una legittimazione democratica (accettazione in occasione della consultazione popolare del 21 maggio 2000 [FF 2000 pag. 3345]) e non contrastano con principi fondamentali dell'ordinamento giuridico elvetico (v. THÜRER, Verfassungsrecht, op. cit., pag. 190 seg., cifra marg. 31).
11.5 Infine, è lo stesso diritto convenzionale a reclamare la sua precedenza sul diritto interno. Da un lato, infatti, l'art. 16 cpv. 1 ALC dispone che, per conseguire gli obiettivi definiti dall'Accordo, le parti contraenti prendono tutte le misure necessarie affinché nelle loro relazioni siano applicati diritti e obblighi equivalenti a quelli contenuti negli atti giuridici della Comunità europea ai quali viene fatto riferimento. Ora, tra queste misure rientra l'obbligo per i tribunali di fare rispettare il diritto convenzionale, se necessario anche derogando al diritto nazionale di ogni grado e di ogni data. D'altro lato, la protezione giuridica garantita dall'art. 11 ALC, che conferisce alle persone rientranti nel campo di applicazione personale dell'Accordo il diritto di presentare ricorso alle autorità competenti nazionali per quanto riguarda l'applicazione delle disposizioni del
BGE 133 V 367 S. 390
trattato, rimarrebbe lettera morta se queste istanze, anziché applicare il diritto convenzionale, dovessero applicare il divergente diritto nazionale (cfr. BUCHER, Rechtsmittel, op. cit., pag. 155 seg. cifra marg. 88; KAHIL-WOLFF/MOSTERS, Struktur und Anwendung des Freizügigkeitsabkommens Schweiz/EG, in: Schaffhauser/Schürer [ed.], Durchführung, op. cit., pag. 20 seg.; cfr. pure DTF 131 II 352 consid. 1.4 pag. 356; in questo senso si orienta d'altronde pure la circolare del seco del dicembre 2004 relativa alle ripercussioni, in materia di assicurazione contro la disoccupazione, dell'ALC, nella quale si dichiara che "trattandosi di norme di diritto internazionale, esse prevalgono sul diritto nazionale nel caso in cui quest'ultimo sia in contraddizione con le disposizioni del diritto comunitario" [pag. 15, cifra marg. B 3]).
11.6 Stante quanto precede, si deve ritenere che il divieto di discriminazione convenzionale, rispettivamente comunitario, direttamente applicabile, prevale nelle situazioni in esame sull'art. 14 cpv. 1 lett. b LADI, e questo nonostante il legislatore abbia inteso attenuare con quest'ultima disposizione le ripercussioni dell'ALC sull'assicurazione contro la disoccupazione elvetica.
12. Qualora il diritto nazionale preveda un trattamento differenziato tra vari gruppi di persone in violazione del diritto convenzionale, rispettivamente comunitario, i membri del gruppo sfavorito devono essere trattati allo stesso modo ed essere assoggettati allo stesso regime degli altri interessati, regime che, fintanto il diritto nazionale non sia organizzato in maniera non discriminatoria, resta il solo sistema di riferimento valido (DTF 131 V 209 consid. 7 pag. 216, DTF 131 V 390 consid. 5.2 pag. 397 seg. con riferimenti).
Ne discende che l'assicurato resistente, in ragione del soggiorno (domicilio) per fini curativi all'estero dal 1° giugno 2001 al 1° marzo 2003, durante il termine quadro per il periodo di contribuzione (14 marzo 2001 - 13 marzo 2003; art. 9 cpv. 3 LADI) dev'essere esonerato - quantomeno fino al 31 dicembre 2002 (data sino alla quale l'interessato è stato dichiarato pienamente inabile al lavoro), ma ad ogni modo per oltre 12 mesi complessivamente - dall'adempimento del periodo di contribuzione di cui all'art. 13 cpv. 1 LADI.
In tali condizioni, la pronuncia cantonale, che ha rinviato la causa all'amministrazione per verificare l'adempimento degli ulteriori presupposti del diritto alle indennità di disoccupazione, dev'essere confermata, seppur non nella sua motivazione comunque nel suo risultato.