137 V 82
Urteilskopf
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12. Estratto della sentenza della II Corte di diritto sociale nella causa W. contro Cassa di compensazione del Cantone Ticino (ricorso in materia di diritto pubblico)
9C_282/2010 del 25 febbraio 2011
Regeste
Vorbehältlich des Rechtsmissbrauchs berechnet sich die Ergänzungsleistung eines Versicherten, der aus besonderen Gründen weiterhin mit dem von ihm geschiedenen Ehegatten in häuslicher Gemeinschaft zusammenlebt, nicht nach den für Ehegatten gültigen Regeln (E. 5-5.7).
A. W., nato nel 1935, è divorziato dall'agosto 2005 e dal mese di ottobre dello stesso anno è stato posto al beneficio di prestazioni complementari all'AVS/AI. Fino al 31 maggio 2009 la Cassa di compensazione del Canton X., dove era domiciliato insieme alla ex moglie (U., classe 1942 e beneficiaria, rispettivamente, di una rendita AI dal 1999 e di una rendita AVS dal 2005), gli ha versato una prestazione per persone sole di fr. 523.- mensili.
Dopo essersi trasferito in Ticino e avere, insieme alla ex moglie, preso in locazione - dividendone le spese - un appartamento di 4 1/2 locali
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a B., l'assicurato ha presentato domanda di prestazioni complementari alla Cassa di compensazione del Cantone Ticino, la quale però, per decisione del 21 maggio 2009, ha rifiutato la richiesta. L'amministrazione ha infatti sommato i redditi computabili e le spese riconosciute di entrambi gli ex coniugi C. ed ha accertato una eccedenza dei primi sulle seconde. Il 20 luglio 2009 la Cassa ha confermato la propria valutazione anche in seguito all'opposizione dell'interessato. Ha giustificato l'esecuzione del calcolo unico per gli ex coniugi con il motivo che, pur essendo formalmente divorziati, gli interessati continuavano di fatto la loro convivenza e con essa l'unione coniugale.
B. Adito su ricorso dell'assicurato, il Tribunale delle assicurazioni del Cantone Ticino ha confermato l'operato della Cassa (pronuncia del 1° marzo 2010). Ponendo l'accento sulla situazione economica degli ex coniugi, che in considerazione dell'ininterrotta convivenza non avrebbe subito modifiche dopo il divorzio, i primi giudici hanno considerato la posizione dell'assicurato alla stregua di una persona coniugata e hanno di conseguenza sommato i redditi e il fabbisogno riconosciuto di entrambi per determinare se sussisteva un diritto a una prestazione complementare. Avendo accertato una eccedenza annua dei redditi di fr. 2'280.- la Corte cantonale ha rigettato la domanda.
C. W. ha presentato ricorso al Tribunale federale al quale chiede che gli venga riconosciuto il diritto alla rendita complementare così come aveva fatto in precedenza l'amministrazione del Canton X.
La Cassa di compensazione del Cantone Ticino propone la reiezione del gravame, mentre l'Ufficio federale delle assicurazioni sociali (UFAS) ha rinunciato a determinarsi.
Il ricorso è stato accolto.
Dai considerandi:
3. Nei considerandi dell'impugnata pronuncia, l'autorità giudiziaria cantonale ha correttamente esposto le norme disciplinanti la materia, rammentando in particolare che hanno segnatamente diritto a prestazioni complementari le persone domiciliate e dimoranti abitualmente in Svizzera che ricevono una rendita di vecchiaia dell'AVS (art. 4 cpv. 1 lett. a LPC [RS 831.30], nella versione applicabile in concreto, in vigore dal 1° gennaio 2008), ma il cui fabbisogno vitale non è coperto dall'AVS (art. 112a cpv. 1 Cost.), che l'importo art. 11 LPC ), e che le spese riconosciute come pure i redditi computabili dei coniugi sono di massima sommati (art. 9 cpv. 2 LPC). A tale esposizione può essere fatto riferimento e prestata adesione, non senza tuttavia ribadire che, per l'art. 9 cpv. 5 LPC, il Consiglio federale disciplina la somma delle spese riconosciute e dei redditi computabili dei membri della stessa famiglia e che, facendo uso di tale delega, l'Esecutivo federale ha tra l'altro disposto che se una rendita AVS o AI è versata a entrambi i coniugi, ciascuno di loro ha un diritto proprio a prestazioni complementari in caso di separazione legale (art. 1 cpv. 1 OPC-AVS/AI [RS 831.301]), ritenuto che i coniugi sono considerati come viventi separati secondo il cpv. 1: a) se la separazione è stata pronunciata con una decisione giudiziaria o b) se è in corso un'istanza di divorzio o di separazione, o c) se la separazione di fatto dura ininterrottamente da almeno un anno, o d) se è reso credibile che la separazione di fatto durerà relativamente a lungo (art. 1 cpv. 4 OPC-AVS/AI).
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della prestazione complementare annua è pari alla quota delle spese riconosciute (art. 10 LPC) che eccede i redditi computabili (art. 9 cpv. 1 e
4. Oggetto del contendere è la questione di sapere se il Tribunale cantonale delle assicurazioni poteva, come ha fatto l'amministrazione cantonale, correttamente sommare i redditi computabili e le spese riconosciute degli ex coniugi C. nonostante il loro matrimonio fosse stato sciolto per divorzio e gli stessi andassero di per sé, formalmente, considerati quali persone sole ai fini del calcolo della prestazione complementare.
4.1 Applicando per analogia una passata sentenza del Tribunale federale delle assicurazioni relativa al calcolo della prestazione complementare di due coniugi legalmente separati che continuavano a convivere (RCC 1986 pag. 143, P 8/85), il Tribunale cantonale ha ritenuto che, come in quella occasione, indipendentemente dalle circostanze formali che potevano indurre a ritenerli effettivamente come persone sole, occorreva fondarsi sulle circostanze economiche del caso concreto. La precedente istanza ha quindi accertato che, prima e dopo il divorzio, gli ex coniugi C. hanno sempre abitato insieme, sia nel Canton X. sia in Ticino, dove peraltro dispongono di un unico allacciamento telefonico. In questo modo la Corte cantonale non ha ravvisato alcun cambiamento nella loro situazione economica che giustificasse di considerarli separatamente per il calcolo della prestazione complementare. Per i giudici cantonali, il fatto che gli interessati, sotto il profilo fiscale e dell'AVS, siano considerati
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come persone sole non sarebbe determinante, trattandosi di ambiti giuridici differenti. Irrilevante è pure stata ritenuta la circostanza secondo cui gli stessi vivrebbero separati in casa, dal momento che l'assicurato disporrebbe di una camera e di un gabinetto a suo uso esclusivo. A tal proposito la Corte cantonale ha opposto che gli ex coniugi abitano comunque nello stesso appartamento, condividendone le spese, il numero di telefono, il televisore e, verosimilmente, anche la cucina e la sala.
4.2 Il ricorrente osserva che per legge il diritto a una prestazione complementare di una persona divorziata si determina unicamente sulla base dei suoi redditi e fabbisogni individuali. Nella misura in cui i primi giudici avrebbero disatteso questo principio, rimprovera loro una violazione del diritto federale. A sostegno della sua tesi e a giustificazione di un calcolo separato e individuale dei suoi redditi e delle sue spese rileva che, a seguito del divorzio, egli non vanta più alcun diritto né obbligo di mantenimento nei confronti della sua ex moglie e che già solo per questo la loro situazione economica sarebbe in realtà cambiata poiché ognuno provvede a se stesso e la ex moglie - dopo i guai finanziari e giudiziari che lo hanno interessato in passato - non è assolutamente più disposta a sborsare alcunché per lui. Come già in sede cantonale, motiva la comunione domestica e il trasferimento in Ticino - suo e della ex moglie - con le difficoltà finanziarie che non gli permetterebbero di locare individualmente un appartamento per l'impossibilità - data l'assenza di sostanza - di versare una cauzione a garanzia della pigione, e con i problemi di salute, suoi (successivi a una operazione alla prostata e ai conseguenti problemi di incontinenza) e della ex moglie (pregressa emorragia cerebrale e sequele irreversibili), che avrebbero reso opportuno il trasferimento in un clima meno umido e nebbioso rispetto a quello di X. Ritiene di essere libero di vivere dove e con chi meglio crede senza dover rendere conto a nessuno della sua scelta. Ad ogni buon conto precisa di intrattenere normali rapporti di amicizia con la ex moglie senza però né subire né esercitare ingerenze di alcun genere di natura personale o economica. Contesta infine la valutazione dei giudici di prime cure anche perché in evidente contrasto con quella resa dalle autorità fiscali e AVS, da una parte, e precedentemente dalla Cassa di compensazione del Canton X., dall'altra.
5. Contrariamente all'opinione delle precedenti istanze, il ricorrente e la ex moglie, dalla quale è divorziato ma con cui continua a vivere in comunione domestica, non possono essere considerati
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analogamente a una coppia coniugata per la definizione del calcolo della prestazione complementare.
5.1 Osta infatti a una simile interpretazione già solo il chiaro tenore letterale dell'art. 9 cpv. 2 LPC che - per quanto concerne la fattispecie in esame - limita la possibilità di sommare i redditi computabili e le spese riconosciute ai soli coniugi ("Ehegatten"; "conjoints"). Ora, di tutta evidenza, il ricorrente e la sua ex moglie non possono più essere considerati coniugi ai sensi del disposto. Anche nel linguaggio comune, infatti, il termine sta a indicare ciascuna delle due persone reciprocamente obbligate dal matrimonio (DEVOTO/OLI, Dizionario della lingua italiana, Firenze 2004). Avendo il divorzio determinato lo scioglimento del matrimonio e dei suoi vincoli (anche un obbligo di mantenimento dopo il divorzio ai sensi dell'art. 125 CC non è peraltro stato previsto nella convenzione sulle conseguenze accessorie al divorzio omologata con la pronuncia di divorzio del 26 agosto 2005), W. e U. non ricadono sotto il campo applicativo dell'art. 9 cpv. 2 LPC (nello stesso senso RALPH JÖHL, Ergänzungsleistungen zur AHV/IV, in Soziale Sicherheit, SBVR vol. XIV, 2007, pag. 1685 seg. n. 68).
5.2 L'impossibilità, de lege lata, di trattare il ricorrente e la ex moglie analogamente a due coniugi per il calcolo della prestazione complementare deriva anche dalla seguente considerazione. Il cumulo dei redditi (e dei fabbisogni) di determinati membri della famiglia (v. art. 9 cpv. 2 e 5 lett. a LPC ) si giustifica soprattutto perché il reddito del pensionato non serve unicamente al soddisfacimento dei suoi bisogni personali, ma anche alla copertura del fabbisogno vitale di eventuali familiari. L'esame del diritto alla prestazione complementare deve pertanto comprendere il fabbisogno vitale dell'intera famiglia se non si vuole vanificare lo scopo delle prestazioni complementari che è poi quello di evitare situazioni di indigenza. Con l'art. 9 cpv. 5 lett. a LPC il legislatore ha delegato al Consiglio federale il compito di definire il concetto di membri della stessa famiglia. L'Esecutivo federale vi ha dato seguito con la regolamentazione degli art. 1 a 10 OPC-AVS/AI (JÖHL, op. cit., pag. 1686 n. 69 con riferimento all' art. 3a cpv. 4 e 7 lett. a LPC , nella loro versione in vigore fino al 31 dicembre 2007, di tenore sostanzialmente uguale). Sennonché nell'ordinanza manca ogni riferimento ai coniugi divorziati, questo con ogni probabilità perché con il divorzio viene a cadere l'obbligo di assistenza e di mantenimento reciproci di cui all'art. 163 CC che per contro perdura per tutta la durata del matrimonio, anche in caso di separazione legale (DESCHENAUX/STEINAUER/
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BADDELEY, Les effets du mariage, 2a ed. 2009, pag. 248 seg.; sull'ipotesi, de lege ferenda, di creare una norma che per il calcolo della prestazione complementare tenga in ogni caso conto, indipendentemente dallo stato civile, dell'esistenza o meno di una comunione domestica cfr. JÖHL, op. cit., pag. 1686 nota 237).
5.3 Alla luce di quanto precede, si deve dunque ritenere che se il legislatore intendeva veramente parificare le persone divorziate a quelle coniugate, non avrebbe mancato di farlo espressamente, come del resto ha già fatto in altro ambito (cfr. ad esempio l'abrogato art. 34 cpv. 3 LAI che prevedeva espressamente una simile equiparazione in relazione al diritto alla rendita completiva per il coniuge nell'assicurazione per l'invalidità [v. SVR 2000 IV n. 22 pag. 65, I 171/99 consid. 2b]).
5.4 È vero, come indicato nella pronuncia impugnata, che nella sentenza pubblicata in RCC 1986 pag. 143, P 8/85 il Tribunale federale delle assicurazioni, seguendo l'orientamento dell'ordinamento in materia, aveva ritenuto determinante, per il calcolo separato della prestazione complementare, non tanto il fatto della separazione (formale) dei coniugi, quanto piuttosto il cambiamento della situazione economica risultante, sicché senza una tale modifica il calcolo separato - malgrado la separazione effettiva della coppia - non si giustificava (RCC 1986 pag. 143 seg., P 8/85 consid. 1; DTF 103 V 25). Tuttavia questa soluzione non è trasponibile mutatis mutandis al caso di specie. W. e U. non sono solo legalmente separati, bensì divorziati, e dal momento che il loro matrimonio è stato sciolto non possono più essere ritenuti coniugi. Mentre la soluzione indicata in RCC 1986 pag. 143, P 8/85 si conciliava senz'altro con il tenore letterale del disposto legale in esame che prevede(va) espressamente la possibilità di sommare i redditi e i fabbisogni dei coniugi, lo stesso non può dirsi nel caso di specie per l'incompatibilità di una tale soluzione con il testo di legge. Ma vi è di più. Sebbene ciò non traspaia esplicitamente dalla sentenza citata, è chiaro che la ragione che aveva indotto il Tribunale federale delle assicurazioni a porre l'accento sulle circostanze economiche e non tanto sull'aspetto formale e a ritenere invariata - nella fattispecie esaminata - la situazione economica dei coniugi legalmente separati ma conviventi era fortemente influenzata dalla consapevolezza che comunque in una tale relazione perdurava l'obbligo di assistenza e di mantenimento reciproci di cui all'art. 163 CC. Obbligo legale che per contro, per quanto esposto in precedenza, cessa con il divorzio (cfr. pure
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DTF 106 V 58 consid. 2 e 3 pag. 59 seg.). In questo modo, dunque, non si poteva automaticamente concludere per una immutata situazione economica degli ex coniugi C. - e quindi per un calcolo congiunto dei loro redditi e fabbisogni - per il solo fatto che essi, benché divorziati, continua(va)no a vivere in comunione domestica. Al contrario, il cessato obbligo di assistenza e mantenimento reciproco poteva piuttosto indurre a ravvisare una modifica di tali circostanze. E per il resto, il fatto che - in concreto - gli interessati condividano l'appartamento e l'allacciamento della rete telefonica fissa non permette ancora, in assenza di accertamenti più precisi in merito alla ripartizione effettiva degli oneri prima e dopo il divorzio, di sostenere una simile ipotesi, la quale non può pertanto vincolare il Tribunale federale poiché fondata su accertamenti incompleti (v. consid. 2, non pubblicato).
5.5 Da ultimo ma non per ultimo, a destare serie perplessità sull'applicazione analogica, alle coppie divorziate che continuano a vivere in comunione domestica, della prassi elaborata in RCC 1986 pag. 143, P 8/85 si aggiunge pure l'osservazione che le direttive dell'UFAS sulle prestazioni complementari all'AVS e all'AI (DPC) - le quali, pur non avendo ovviamente valore vincolante di legge, si prefiggono comunque di esplicitare l'interpretazione attribuita da un'autorità amministrativa a determinate disposizioni legali al fine di favorire un'applicazione uniforme del diritto e di garantire la parità di trattamento (DTF 133 V 587 consid. 6.1 pag. 591, DTF 133 V 257 consid. 3.2 pag. 258 con riferimenti; cfr. inoltre DTF 133 II 305 consid. 8.1 pag. 315) - stabiliscono che l'importo previsto per la copertura dei fabbisogni vitali delle persone sole (art. 10 cpv. 1 lett. a n. 1 LPC) si applica segnatamente ai concubini. Ora, non vi è di massima - fatti salvi ovviamente i casi di manifesto abuso di diritto (art. 2 cpv. 2 CC) in cui il divorzio costituisce il semplice pretesto formale per ottimizzare il diritto alle prestazioni delle assicurazioni sociali - serio motivo per trattare differentemente la persona celibe, che può liberamente vivere in rapporto di concubinato senza il rischio di vedersi applicare l'importo destinato alla copertura del fabbisogno generale vitale per coniugi (art. 10 cpv. 1 lett. a n. 2 LPC), da chi invece, come persona divorziata, per motivi contingenti continua a vivere in comunione domestica senza però necessariamente avere l'intenzione di fondare una convivenza a carattere esclusivo come può invece essere quella caratterizzante un concubinato (nello stesso senso va anche l'opinione del Tribunale amministrativo del Canton Lucerna, in: Luzerner Gerichts- und Verwaltungsentscheide [LGVE] 1990 vol. II n. 30
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pag. 196 segg.; più in generale sulla differenza tra comunione domestica e convivenza in senso stretto cfr. DTF 134 V 369 consid. 7.1 pag. 379 seg.). È quindi verosimilmente per questo motivo che anche le DPC non equiparano più, come invece facevano espressamente in passato (CARIGIET/KOCH, Ergänzungsleistungen zur AHV/IV - Supplemento, 2000, pag. 79 nota 1999), la situazione dei coniugi separati legalmente che continuano a convivere o ritornano a convivere dopo una breve separazione a quella dei divorziati che vengono a trovarsi nella medesima situazione (cifra marginale 2032, nelle versioni in vigore prima e dopo il 2002 [v. pure CARIGIET/KOCH, op. cit., 1a ed. 1995, pag. 107 note 184 e 186, e 2a ed. 2009, pag. 126 seg.]). L'importo destinato alla copertura dei bisogni vitali delle persone sole si applica di conseguenza indistintamente alle persone celibi, vedove o divorziate (DPC, cifra marginale 2022). Spetta semmai al legislatore, se lo ritiene opportuno, modificare questa regolamentazione in presenza di una comunione domestica (cfr. JÖHL, op. cit., pag. 1686 nota 237).
5.6 Una diversa valutazione si giustificherebbe nel caso di specie unicamente se la richiesta del ricorrente configurasse gli estremi di un manifesto abuso di diritto ai sensi dell'art. 2 cpv. 2 CC. Si verifica in particolare un abuso di diritto qualora un istituto giuridico venga utilizzato ad un fine diverso da quello per cui è stato creato (cfr. ad esempio DTF 122 III 321 consid. 4a; cfr. pure sentenza 4C. 348/2005 del 27 febbraio 2006 consid. 7.1). Ora, pur essendo l'abuso di diritto rilevabile d'ufficio in ogni stadio di causa, le istanze precedenti non hanno invocato né tanto meno evidenziato circostanze suscettibili di ravvisare un comportamento manifestamente abusivo del ricorrente. Sebbene la ravvicinanza temporale - peraltro nemmeno tematizzata nella pronuncia impugnata - tra la data del raggiungimento dell'età pensionabile della ex moglie, del divorzio e della successiva domanda di prestazioni complementari alla Cassa di compensazione del Canton X. potesse dare adito a qualche perplessità, la Corte cantonale non ha menzionato elementi di fatto che facciano pensare che gli interessati avrebbero formalmente posto termine al matrimonio al solo scopo di ottenere maggiori prestazioni delle assicurazioni sociali, evitando in particolare il plafonamento delle rendite di vecchiaia di cui all'art. 35 LAVS e beneficiando del doppio computo del fabbisogno generale vitale per persone sole. Al contrario, il ricorrente ha esposto - in maniera verosimile - i motivi che hanno condotto al fallimento del matrimonio nonché le circostanze (valetudinarie e finanziarie) che hanno determinato la scelta di
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mantenere la comunione domestica, senza che queste affermazioni siano state smentite dagli accertamenti operati dalle istanze precedenti.
5.7 Ne discende che la Corte cantonale ha a torto sommato i redditi computabili e le spese riconosciute degli ex coniugi C. per determinare il diritto alla prestazione complementare del ricorrente. Così facendo, i primi giudici hanno commesso una violazione del diritto federale che occorre correggere. La causa è pertanto rinviata all'amministrazione affinché proceda a un nuovo calcolo delle spese riconosciute e dei redditi computabili del solo ricorrente e ne determini nuovamente il diritto alla prestazione complementare.