BGE 98 Ia 527 |
79. Estratto della sentenza 20 settembre 1972 nella causa Nicolini contro Gatti. |
Regeste |
Abkommen vom 3. Januar 1933 zwischen der Schweiz und Italien über die Anerkennung und Vollstreckung gerichtlicher Entscheidungen. |
2. Tragweite des Vorbehalts der öffentlichen Ordnung (Erw. 2, 3). |
3. Einrede des Widerspruchs der ausländischen Entscheidung mit einer solchen eines schweizerischen Gerichts (Erw. 4). |
4. Die nach Art. 81 Abs. 1 SchKG zulässigen Einwendungen können gegen die Vollstreckung eines italienischen Urteils in gleicher Weise erhoben werden wie gegen ein in der Schweiz ergangenes rechtskräftiges Urteil (Erw. 5). |
5. Kassatorische Natur der staatsrechtlichen Beschwerde wegen Verletzung von Art. 4 BV (Erw. 6). |
Sachverhalt |
Il 14 aprile 1959 Gatti cedette il credito derivante da quel deposito a certo Rudolf Bölsterli di Ostermundigen. Il cessionario escusse la Transmatter SA per il pagamento di fr. 164 160.--, equivalenti ai dollari depositati. Con giudizio del 31 luglio 1959 il Pretore di Mendrisio protesse l'opposizione dell'escussa contro la domanda di rigetto provvisorio proposta dal cessionario. Egli ritenne in sostanza che la Transmatter aveva reso verosimile che la restituzione del deposito era già stata effettuata al cedente Gatti, prima della cessione mediante tre versamenti. Questa sentenza non venne impugnata.
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B.- Con citazione del 19 dicembre 1960 Gennaro Gatti convenne davanti al Tribunale di Como Alberto Niccolini personalmente, affinché fosse condannato "a restituirgli la somma di $ USA 38 000.-- ricevuta in deposito fiduciario il 28 ottobre 1957". Niccolini contestò la propria legtitimazione passiva, pretendendo di aver agito per la Transmatter SA Nel merito, oppose l'avvenuta restituzione del deposito.
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Il Tribunale di Como respinse la domanda di Gatti. Esso ritenne che Niccolini aveva fornito la prova della avvenuta restituzione del deposito.
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Gatti si aggravò alla Corte di Appello di Milano che, in riforma del giudizio impugnato, con sentenza del 22 giugno/30 luglio 1965, condannò Niccolini a pagare a Gatti la somma di $34 000.--oltre interessi.
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Respinta l'eccezione di mancanza di legittimazione passiva di Niccolini, per il duplice motivo che la qualità di depositario dell'eccipiente risultava dal contratto originario di deposito, e comunque dalla ricezione sui conti "Armeno" a lui appartenenti delle somme di $29 500.-- e 5 000.-- versati dalla Società di Banca Svizzera e dalla stessa Unione di Banche Svizzere; nel merito la Corte di Appello ritenne che Niccolini non avesse restituito il deposito, perchè gli accrediti effettuati a favore di Gatti gli erano stati riversati dalle banche, ed egli se li era incamerati senza diritto.
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C.- Su denuncia penale del 10 novembre 1965 sporta da Alberto Niccolini, insieme con Elvezio Martelli e Pierino Valsangiacomo, al Procuratore pubblico sottocenerino, Gennaro Gatti fu fermato dalla pubblica Sicurezza di Chiasso l'11 giugno 1966. Interrogato dal Sostituto Procuratore pubblico, egli dichiarò testualmente quanto segue:
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"Non ho mai avuto l'intenzione di imbrogliare i denuncianti. Perciò in buona fede ho iniziato le cause civili per ottenere il versamento da parte dei denuncianti di $ 38 000.--. Ho sempre pensato di aver diritto a tale somma. Oggi, dopo le ampie spiegazioni del magistrato, visti i documenti in suo possesso, devo riconoscere che la mia pretesa finanziaria è infondata e perciò devo pure riconoscere che non ho altre pretese di natura finanziaria da far valere nei confronti della Transmatter SA e dei sigg. Martelli, Valsangiacomo e Niccolini Alberto. Il magistrato accoglie la mia tesi della buona fede e, riservandosi una decisione definitiva in merito, mi concede la libertà."
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Con decreto del 16 giugno 1966 il Procuratore pubblico sottocenerino abbandonava il procedimento penale per tentata truffa "per insufficienza di prove circa l'esistenza del dolo specifico".
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Già il 13 giugno 1966, Gatti aveva dichiarato al notaio Emilio Induni in Ligornetto, che avera raccolo la sua deposizione nella forma dell'atto pubblico, in riassunto quanto segue:
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a) di non vantare nessuna pretesa di alcun genere nei confronti della Transmatter SA, né di Elvezio Martelli, Pierino Valsangiacomo e Alberto Niccolini a dipendenza del deposito dell'ottobre 1957 per aver ottenuto la retrocessione mediante prelevamenti effettuati nonché con i versamenti operati dall'Unione di Banche Svizzere di Zurigo e dal Banco di Roma di Chiasso sul suo conto presso la Società di Banca Svizzera in Chiasso, per un totale di $38 000 di cui aveva potuto liberamente disporre;
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b) che quanto da lui dichiarato davanti alla Corte di Appello di Milano, direttamente o per tramite dei suoi legali, a danno della Transmatter e di Niccolini, Martelli e Valsangiacomo era destituito di ogni e qualsiasi fondamento;
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c) di autorizzare tanto la Transmatter, quanto Niccolini, Martelli e Valsangiacomo ad avvalersi della sua dichiarazione davanti a qualsiasi autorità civile o penale, italiana o estera per farsi svincolare legalmente dalle sue pretese nei loro confronti.
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Tornato a Milano, Gatti fece scrivere dal proprio legale al Procuratore pubblico sottocenerino e al notaio Induni di aver reso le suddette dichiarazioni soltanto per riottenere immediatamente la libertà.
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D.- Fondandosi su questi documenti, Niccolini, con citazione del 12 luglio 1966, chiese alla Corte di Appello di Milano la revocazione della sentenza del 22 giugno/30 luglio 1965 ai sensi dell'art. 395 n. 1 (dolo dell'altra parte) e n. 2 (prove riconosciute false dopo la sentenza) del Codice di procedura civile italiano (CPCI).
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Con sentenza del 20 giugno/27 luglio 1967 la Corte respinse la domanda per tardività, rispettivamente infondatezza, per quanto riguarda il primo motivo di revocazione, e per l'infondatezza del secondo.
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Anteriormente alla domanda di revocazione, Niccolini aveva proposto contro la sentenza della Corte di Appello di Milano del 22 giugno 1965 un ricorso per cassazione alla Corte suprema di cassazione di Roma, per violazione del diritto e contraddittoria o omessa motivazione su punti decisivi della controversia.
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Il ricorso ero stato rigettato dalla Corte suprema con sentenza 5 giugno 1968.
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E.- Con precetto esecutivo n. 00640 del 10 febbraio 1971 dell'Ufficio di Mendrisio Gatti escuse Niccolini per il pagamento dell'importo di complessivi fr. 156 020,50 oltre interessi, fondandosi sui tre giudizi italiani. Niccolini formò opposizione, che il Pretore rigettò in via definitiva con decreto del 19 aprile 1971. Avverso questa decisione Niccolini si aggravò alla Camera di esecuzione e fallimenti del Tribunale di appello, chiedendo in via principale che l'istanza di rigetto fosse respinta, in via subordinata che gli atti fossero rimessi al Procuratore pubblico per i suoi incombenti, e il giudizio nel frattempo sospeso. Egli fece valere, da un canto, che le sentenze italiane, di cui era chiesta l'esecuzione, erano in contraddizione con la sentenza 31 luglio 1959 del Pretore di Mendrisio, per cui ostava al loro riconscimento l'art. 1, cpv. 1 n. 2 della Convenzione tra la Svizzera e l'Italia circa il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni giudiziarie del 3 gennaio 1933 (in seguito:Convenzione). Dall'altro, egli argomentava d'aver fornito, producendo le dichiarazioni liberatorie rilasciate da Gatti davanti al Procuratore pubblico ed al notaio Induni, la prova documentale dell'estinzione del debito.
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F.- Con sentenza dell'8 febbraio 1972 la Camera di esecuzione e fallimenti del Tribunale di appello ha respinto l'appellazione.
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Questa, in riassunto, la motivazione:
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In virtù della Convenzione il riesame del merito delle sentenze italiane, di cui è chiesta l'esecuzione, non è consentito. Non è data neppure l'eccezione prevista dall'art. 1 cpv. 1, 2 Convenzione: contrariamente alla tesi dell'appellante, le sentenze italiane, giudizi di merito sull'esistenza del credito, non contrastano con il giudizio del Pretore di Mendrisio del 31 luglio 1959, emanato in una procedura sommaria per il rigetto dell'opposizione. Quanto alle dichiarazioni liberatorie rilasciate da Gatti, il giudice svizzero non può occuparsene, perché il debitore le ha già sottoposte all'esame del giudice italiano nell'azione di revocazione, e le ha quindi volontariamente sottratte all'apprezzamento del giudice svizzero.
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G.- Con tempestivo ricorso di diritto pubblico fondato sugli art. 84 cpv. 1 lett. c e 87 OG, Alberto Niccolini chiede al Tribunale federale di annullare la decisione 8 febbraio 1972 della Camera e di confermare di conseguenza l'opposizione interposta al precetto esecutivo n. 00640 dell'Ufficio di Mendrisio.
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Egli rimprovera alla Camera di aver violato l'art. 4 CF e la Convenzione.
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H.- In risposta l'intimato Gatti conclude alle reiezione. Nella replica e nella duplica le parti confermano le loro allegazioni e conclusioni.
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Considerando in diritto: |
D'altro canto, le sentenze di rigetto - provvisorie o definitive - dell'opposizione emanate in ultima istanza cantonale sono impugnabili col ricorso di diritto pubblico per violazione dell'art. 4 CF ai sensi dell'art. 87 OG (RU 94 I 367 ss., 96 I 8 consid. 1).
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Il ricorso è quindi ricevibile.
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2. L'art. 1 della Convenzione tra la Svizzera e l'Italia enuncia i presupposti che debbono sussistere perché una sentenza pronunciata in uno Stato possa esser eseguita nell'altro. Vi si afferma tra l'altro che il riconoscimento della decisione non deve essere contrario all'ordine pubblico o ai principi di diritto publico dello Stato in cui la decisione è invocata; in particolare, essa non deve essere in contraddizione con una decisione già emanata nella medesima controversia da un tribunale di detto Stato (art. 1 cpv. l'n. 2).
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D'altro canto, giusta l'art. 4 cpv. 2 della Convenzione, i tribunali dello Stato in cui la decisione è invocata non possono riesaminare il merito della stessa.
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b) Per quanto riguarda il contenuto sostanziale della sentenza, di cui è chiesta l'esecuzione, che qui solo interessa, la riserva dell'ordine pubblico adempie una funzione analoga a quella che le è propria nel campo del diritto internazionale privato. In questo campo, la clausola impedisce al guidice di applicare la norma giuridica estera, cui la regola di collisione lo rinvia, poiché codesta norma contrasta in modo intollerabile con l'ordinamento giuridico interno. Nel campo dell'esecuzione delle sentenze estere, la riserva dell'ordine pubblico impedisce che. attraverso il riconoscimento, esplichino effetti nello Stato richiesto norme estere che contrastano con l'ordine pubblico di quest'ultimo. Ciò accadrebbe se fosse accordato il riconoscimento ad una sentenza fondata su siffatte norme, onde la pronunzia ivi contenuta appaia alla luce del diritto interno contraria all'ordinamento giuridico o ai buoni costumi (RU 67 I 302 consid. 3).
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Secondo la giurisprudenza tuttavia, i limiti della clausola dell'ordine pubblico sono più ristretti nell'esecuzione di sentenze straniere che non nell'applicazione diretta della legge straniera in virtù di una norma di rinvio (RU 96 I 391, 397 ss; 97 I 156/7 e rif.).
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c) Le sentenze italiane, che ordinano la restituzione di un deposito, non sono evidentemente fondate su norme giuridiche che contrastino con l'ordinamento svizzero.
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Come la giurisprudenza ha rilevato (RU 67 I 303 e rif.) la questione di sapere se il giudice straniero abbia o meno correttamente applicato norme giuridiche, che di per sé non contrastano con l'ordinamento interno, non ha nulla a che vedere con la riserva dell'ordine pubblico, e ciò indipendentemente dalla gravità del vizio sostanziale di cui si pretende infirmato il giudizio. La clausola dell'ordine pubblico - che costituisce l'eccezione al divieto del riesame del merito, espressamente sancito dalla Convenzione (JELLINEK, Die zweiseitigen Staatsverträge über Anerkennung ausländischer Zivilurteile, p. 190 ss; KALLMANN, Anerkennung und Vollstreckung ausländischer Zivilurteile, p. 235 ss) - è circoscritta all'esame della norma su cui la sentenza estera si fonda e non comporta l'indagine circa il modo - fosse pure scorretto o addirittura arbitrario - in cui essa è stata applicata.
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d) In sostanza le adduzioni del ricorrente circa il contenuto delle sentenze italiane si risolvono nelle censure d'arbitrio e di svista manifesta. Egli rimprovera infatti alla Corte d'Appello di Milano di aver mal letto i documenti bancari attestanti i versamenti di Niccolini a Gatti, confondendo l'ordinante con il beneficiario. L'esame di codeste censure implica però un riesame del merito, che va oltre il controllo della conciliabilità della norma giuridica applicata con l'ordinamento svizzero. Ora, un simile riesame, come ha giustamente rilevato la Corte cantonale, sarebbe contrario alla Convenzione (art. 4 cpv. 2).
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e) In dottrina è invero sostenuto che la riserva dell'ordine pubblico consente di far eccezione al principio dell'insindacabilità del merito nei casi in cui la sentenza straniera appare ottenuta con manovre fraudolente di chi se ne prevale (sentenza in frode della legge o cosiddetto "erschlichenes Urteil"). Taluni trattati sul riconoscimento e l'esecuzione delle sentenze riservano espressamente tale possibilità: così il trattato francoinglese del 1934 (art. 3 I c) e il trattato anglo-belga (cfr. JELLINEK, op.cit. p. 195 ss). Il problema che è connesso con quello dell'abuso della forza di cosa giudicata (su tale tema per il diritto tedesco, cfr. GUSTAV BOEHMER, Grundlagen der bürgerlichen Rechtsordnung, 2, p. 123 ss e la sentenza 21 giugno 1951 del Bundesgerichtshof in Jur. Wochenschrift 4 (1951) p. 759; sul problema specifico in sede di delibazione per il diritto italiano, cfr. S. SATTA, Com. al Codice di procedura civile, IV, p. 141/42), può tuttavia rimanere aperto. Infatti il ricorrente non dimostra che le sentenze italiane siano state ottenute dall'intimato con manovre fraudolente; secondo la sua tesi, esse sarebbero il frutto di un'errata valutazione delle prove o di un'errata applicazione del diritto da parte della Corte d'Appello di Milano.
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L'eccezione della contraddittorietà delle sentenze costituisce un caso particolare della riserva dell'ordine pubblico. Ciò risulta espressamente dal testo della Convenzione italo-svizzera, come indica l'impiego del termine "in particolare", ed è d'altronde ammesso dalla giurisprudenza relativa a quei trattati che, come la Convenzione franco-svizzera del 15 giugno 1869, non menzionano espressamente siffatta eccezione al riconoscimento della sentenza straniera (RU 46 I 464/65).
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L'ordine pubblico esige infatti, da un canto, che tra le stesse parti non sussistano, nella stessa contestazione, due decisioni contraddittorie; esso richiede inoltre, d'altro canto, che non siano frapposti ostacoli all'esecuzione di una sentenza resa da un tribunale svizzero (RU 46 I 464).
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Nel caso concreto una simile inconciliabilità non sussiste. Anche se si volesse prescindere dal fatto che la sentenza del Pretore di Mendrisio non è stata resa fra le medesime parti - ancorché concerna i medesimi fatti - quel giudizio è intervenuto in una procedura sommaria per il rigetto dell'opposizione. Simili giudizi hanno un mero carattere esecutivo, e decidono unicamente se una determinata esecuzione possa o meno essere proseguita. Essi non accquistano forza di cosa giudicata in punto all'esistenza del credito posto in esecuzione (JÄGER ad art. 80 LEF, n. 7; FRITZSCHE, Schuldbetreibung und Konkurs, I, p. 137). Rese in un procedimento ordinario, le sentenze italiane di cui è chiesta l'esecuzione non contraddicono la cennata sentenza del Pretore di Mendrisio più di quanto la contraddirebbe un giudizio di merito reso in Svizzera, né, d'altro canto, ne pregiudicano gli effetti, limitati al procedimento esecutivo promosso da Bölsterli contro la Transmatter SA
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Si deve così concludere con la Corte cantonale che nessuna delle eccezioni previste dalla Convenzione si oppone al riconoscimento ed all'esecuzione delle sentenze italiane.
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5. Da ciò consegue però soltanto che le sentenze italiane sono parificate a giudizi esecutivi resi in Svizzera. Non consegue però ancora che, sulla scorta di tali sentenze, debba senz'altro esser concesso il rigetto definitivo dell'opposizione interposta dal debitore. Questi conserva infatti la facoltà di invocare le eccezioni che, giusta l'art. 81 cpv. 1 LEF, gli competono anche nei confronti di una sentenza resa in Svizzera.
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La Corte cantonale ha ritenuto che il ricorrente, avendo fatto capo in Italia - senza successo - all'azione di revocazione prevista dall'art. 395 n.i 1 e 2 del Codice di procedura civile italiano, si sarebbe preclusa la possibilità di invocare quegli stessi documenti davanti al giudice svizzero del rigetto. Quest'opinione è manifestamente infondata, per un duplice motivo.
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Innanzitutto nulla permette di concludere ad una rinunzia del ricorrente a prevalersi, non che in Italia, anche in Svizzera dei documenti sottoscritti dall'intimato. Al contrario, il testo del brevetto n. 1202 del 13 giugno 1966, sottoscritto dal Gatti, autorizzava espressamente Niccolini (oltre la Transmatter SA, Martelli e Valsangiacomo) ad avvalersi di quella dichiarazione "davanti a qualsiasi autorità, civile o penale, italiana o estera, par farsi svincolare legalmente dalle sue pretese nei loro confronti". Manifestamente contraria al tenore esplicito di quel documento, la rinuncia attribuita dalla Camera di esecuzione e fallimenti al ricorrente è insostenibile, e pertanto arbitraria.
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A parte ciò, la circostanza per cui la Corte di Appello di Milano, con giudizio del 20 giugno 1967, abbia ritenuto che i documenti invocati da Niccolini fossero insufficienti o impropri ai sensi dell'art. 395 CPCI per la revocazione della sentenza di condanna del 22 giugno 1965 (judicium rescindens) e quindi per aprire la via ad un nuovo giudizio di merito (judicium rescissorium), è assolutamente indifferente per il quesito a sapere se quegli stessi documenti siano o meno rilevanti ai fini del rigetto o del rifiuto del rigetto dell'opposizione interposta dal ricorrente al precetto esecutivo fattogli notificare dall'intimato, quesito che dev'essere giudicato esclusivamente alla luce del diritto svizzero.
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Ne consegue che, rifiutandosi di esaminare, con siffatta motivazione, le eccezioni liberatorie dedotte dal ricorrente dai documenti sottoscritti da Gatti, la Camera di esecuzione e fallimenti è caduta nell'arbitrio e nel diniego di giustizia. Resa in violazione dell'art. 4 CF, l'impugnata sentenza dev'essere annullata.
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Giusta l'art. 81 cpv. 1 LEF il rigetto definitivo dev'essere concesso, quando il credito è fondato su di una sentenza esecutiva, ove l'opponente non provi con documenti che il debito è stato estinto dopo la sentenza, o che è stato prorogato il termine di pagamento, ovvero non dimostri che è prescritto.
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Spetterà pertanto all'autorità cantonale di ripronunciarsi sulle eccezioni liberatorie proposte dal qui ricorrente, e di dire se i documenti, di cui egli si avvale, fanno o meno ostacolo al rigetto definitivo.
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Il Tribunale federale pronuncia:
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