BGE 97 II 320 |
44. Sentenza del 21 ottobre 1971 della II Corte civile nella causa Tami contro Tami. |
Regeste |
Miteigentum an Grundstücken. |
2. Verfahren, in welchem Gesuche zu behandeln sind, die dem Richter auf Grund von Art. 647 Abs. 2 Ziff. 1 ZGB vorgelegt werden. Bundesrecht und kantonales Recht; Prüfungsbefugnis des Bundesgerichts (Erw. 2, 3 und 6). |
Sachverhalt |
Il cinema è gestito da una società anonima, la Supercinema SA, le cui azioni appartenevano ai due comproprietari dell'immobile. Mediante convenzione del 24 febbraio 1961, Pierolinto ha venduto a Carlo le sue azioni della società. La convenzione contiene la clausola seguente: "Sarà steso regolare contratto di locazione per il cine Corso e locali uffici annessi, sulla base attuale".
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Il 26 settembre 1963 Pierolinto notificava al fratello, amministratore unico della Supercinema SA, la disdetta della locazione del cinema alla scadenza di un termine di sei mesi. Egli proponeva la conclusione d'un nuovo contratto, con un canone corrispondente al 20% degli incassi lordi del cinema. Carlo invocava la convenzione del 1961; egli ammetteva solamente un adeguamento del canone d'affitto, escludendo invece una modificazione delle basi del contratto. Le trattative duravano fino al 1969, senza che si arrivasse ad un accordo.
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B.- Il 19 giugno 1969 Pierolinto Tami conveniva il fratello dinnanzi al Pretore di Lugano-Città. Fondandosi sull'art. 647 CC, egli chiedeva che fosse designato un rappresentante dei comproprietari autorizzato a denunciare il contratto di locazione ed a concludere un nuovo contratto a condizioni più vantaggiose.
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Il convenuto eccepiva in prime cure l'irregolarità della procedura, sostenendo che la causa avrebbe dovuto essere iniziata secondo la procedura ordinaria e non ricorrendo a quella di Camera di Consiglio.
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Con decreto del 3 settembre 1970 il Pretore accoglieva l'istanza e designava un rappresentante dei comproprietari.
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Statuendo sul gravame presentato da Carlo Tami, la Camera civile del Tribunale di appello del cantone Ticino annullava, con sentenza del 14 giugno 1971, per vizio di forma e senza entrare nel merito, la decisione pretorile. La Corte cantonale rilevava che la procedura sommaria di Camera di Consiglio è prevista dalla legge ticinese soltanto per le decisioni emanate in applicazione dell'art. 647 cpv. 2 num. 1 CC. Poiché la designazione di un rappresentante dei comproprietari ai fini della conclusione d'un nuovo contratto di locazione non rientra nel quadro di tali provvedimenti, doveva essere seguita la procedura ordinaria.
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C.- Pierolinto Tami ha proposto ricorso per riforma avverso la sentenza della Camera civile del Tribunale d'appello, chiedendo la conferma del decreto pretorile e, a titolo eventuale, il rinvio della causa alla Corte cantonale.
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Il convenuto chiede il rigetto del ricorso.
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Considerando in diritto: |
1. La Corte cantonale ha annullato la decisione di prime cure per un vizio di procedura. A suo avviso, l'istanza presentata da Pierolinto Tami doveva essere istruita e giudicata secondo la procedura ordinaria e non il rito sommario in Camera di Consiglio. Nella materia di cui trattasi, la procedura sommaria è ammessa, in virtù dell'art. 4 num. 16 della legge ticinese d'applicazione del Codice civile, per "i provvedimenti che concernono gli atti di amministrazione della comproprietà (647 cpv. 2 n. 1)". Tutte le altre decisioni devono essere emanate secondo la procedura ordinaria.
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A mente della Corte cantonale, l'oggetto dell'istanza litigiosa eccede il quadro delle misure previste dall'art. 647 cpv. 2 num. 1 CC.
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Secondo la giurisprudenza, l'applicazione del diritto federale nei considerandi d'una sentenza concernente una questione di diritto cantonale può dar luogo ad un ricorso per riforma solamente allorché, sul punto in discussione, il legislatore cantonale è vincolato da una norma del diritto federale. Unicamente in tal caso è giustificato il controllo da parte della giurisdizione federale, dato che esso è destinato ad assicurare l'osservanza d'una regola imposta dal legislatore federale (RU 80 II 183; 84 II 133; 85 II 364).
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Ne discende che la sentenza cantonale è soggetta al riesame del Tribunale federale solamente ove l'art. 647 cpv. 2 num. 1 CC imponga una procedura sommaria. In caso contrario, spetterebbe al legislatore ticinese determinare in modo indipendente la procedura giudiziaria da seguire e il riferimento ad un principio del diritto federale avrebbe carattere facoltativo: il diritto cantonale potrebbe applicarlo e interpretarlo liberamente né potrebbe parlarsi della violazione d'una norma imposta dal diritto federale. In tale ipotesi il ricorso per riforma non sarebbe ricevibile.
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3. In forma indiretta l'art. 647 cpv. 2 num. 1 CC riconosce al comproprietario il diritto di "far ordinare" dal giudice, in caso di bisogno, l'esecuzione degli atti d'amministrazione necessari a conservare il valore della cosa e a mantenerla idonea all'uso. Utilizzando il termine "far ordinare" - distinto da quello di "azione", impiegato nell'art. 649 b, cpv. 2 - il legislatore ha manifestato la sua intenzione d'imporre ai Cantoni una procedura rapida e semplice, contrapposta alla procedura ordinaria. Pur non trattandosi in tali casi d'un provvedimento interlocutorio, con validità provvisoria, bensì d'una decisione di natura definitiva, il carattere d'urgenza che possiedono generalmente gli atti d'amministrazione "necessari a conservare il valore della cosa e a mantenerla idonea all'uso" giustifica imperiosamente che s'abbia ricorso ad una procedura quanto più semplice e rapida. Il messaggio del Consiglio federale (FF 1962, p. 1848/1849) è categorico al proposito (in questo senso pure: MEIER-HAYOZ, 4a edizione, n. 27, 28, 53 all'art. 647).
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Il comproprietario può pertanto pretendere sulla base del diritto federale che le controversie di cui all'art. 647 cpv. 2 num. 1 CC siano risolte secondo una procedura accelerata.
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Il legislatore ticinese era quindi tenuto, in virtù del diritto federale, ad istituire una procedura speciale, semplice e sollecita, per definire le vertenze a cui si riferisce l'art. 647 cpv. 2 num. 1 CC. Tale è l'oggetto dell'art. 4 num. 16 della legge cantonale d'applicazione del Codice civile.
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Ne segue che la censura del ricorrente, fondata sulla violazione dell'art. 647 CC, è ricevibile.
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La predetta disposizione comprende tutti gli atti d'amministrazione indipendentemente dalla loro importanza, sia che si tratti d'amministrazione ordinaria, o d'atti d'amministrazione "più importanti" ai sensi dell'art. 647 b, o addirittura, in certi casi eccezionali, di lavori di costruzione, quale un muro di protezione contro le valanghe, ad esempio (vedasi al proposito il messaggio citato del Consiglio federale, ibidem, p. 1849/1850; MEIER-HAYOZ, n. 43).
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L'art. 647 cpv. 2 num. 1 CC non fa neppure distinzione alcuna circa la natura dell'atto: questo può essere sia un atto materiale, quale una riparazione, sia un atto giuridico,quale l'estromissione d'un locatario, sia un atto giudiziario.
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Il criterio determinante è che l'atto deve essere "necessario a conservare il valore della cosa e a mantenerla idonea all'uso". Il fatto che certi atti rientrino nell'"ordinaria amministrazione" ai sensi dell'art. 647 a, non significa ancora che essi siano necessari, come ritiene invece il ricorrente.
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L'esito del ricorso dipende dunque unicamente dalla questione di sapere se le misure chieste al giudice - per l'intermedio d'un amministratore - rispondano a tale requisito.
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Al proposito non possono esservi principi rigidi, né potrebbe essere predisposto un elenco esauriente di atti necessari. Determinanti sono piuttosto le circostanze concrete della fattispecie (MEIER-HAYOZ, n. 49).
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Conviene precisare che non deve confondersi il concetto d'utilità con quello di necessità. Non tutti gli atti che, secondo una sana valutazione, sono suscettibili di migliorare il reddito, sono necessari (v. MEIER-HAYOZ, n. 48).
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Secondo l'art. 647 cpv. 2 num. 1, l'atto deve essere necessario a conservare il valore della cosa e a mantenerla idonea all'uso. Per quanto concerne questo ultimo concetto (il testo francese, che par la di "utilité de la chose", è meno felice di quello tedesco, che impiega l'espressione "Gebrauchsfähigkeit", e di quello italiano), è evidente che solamente possono essere presi in considerazione atti destinati a far sì che la cosa continui ad essere idonea al suo uso normale; restano esclusi a tale riguardo gli atti intesi solamente ad ovviare ad una diminuzione del rendimento.
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Nella fattispecie, gli atti d'amministrazione richiesti dall'attore devono essere quindi esaminati soprattutto sotto il profilo della conservazione del valore.
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Come ha ritenuto giustamente la Corte cantonale, nel caso presente il provvedimento chiesto dall'attore non è affatto necessario per conservare il valore dell immobile. Non può in realtà affermarsi che la conclusione d'una locazione a condizioni più vantaggiose per il proprietario sia necessario per impedire una svalutazione dell'immobile. Parlando di "valore", la legge si riferisce principalmente alla conservazione dell'integrità materiale della cosa, che è l'elemento essenziale di valutazione. Trattandosi d'immobile d'affitto, la valutazione dipenderà indubbiamente in certa misura dal reddito. Una valutazione corretta considererà un reddito normale, che un acquirente eventuale sia in grado di conseguire. Nella fattispecie la pretesa insufficienza del reddito, fatta valere dall'attore, trae la sua origine da una convenzione stipulata tra i due fratelli in circostanze speciali, in occasione della ripartizione delle azioni della società locataria. Non consta che detto contratto, di natura particolare, sia tale da ridurre il valore dell'immobile, quand'anche fosse svantaggioso per il proprietario; valutando il reddito dell'immobile, qualsiasi interessato all'acquisto prescinderà dalla contingenza allegata dall'attore.
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La disdetta d'una locazione sarebbe necessaria per conservare il valore d'un immobile solamente se tale misura dovesse permettere l'estromissione d'un locatario il cui comportamento implicasse un deprezzamento dell'immobile stesso: ciò potrebbe avvenire nell'ipotesi d'un esercizio pubblico che compromettesse il buon nome dell'immobile e che potesse dar luogo a sanzioni amministrative. Ben distinto è il caso d'una locazione con il medesimo locatario, a condizioni più vantaggiose per il proprietario.
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6. Una soluzione diversa potrebbe tutt'al più essere prospettata se all'attore fosse possibile rivolgersi al giudice solamente sulla base dell'art. 647 cpv. 2 num. 1 CC. Se così fosse, trattandosi di comproprietari che dispongono di parti uguali, l'impossibilità di raggiungere una maggioranza, richiesta dall'art. 647 a, b e c, o l'abuso d'una maggioranza, potrebbero giustificare una interpretazione estensiva dell'art. 647 cpv. 2 num. 1 CC.
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Ciò non è peraltro il caso. Malgrado il silenzio della legge, la dottrina - come già la giurisprudenza anteriore alla revisione delle disposizioni del codice civile in materia di comproprietà - riconosce a ciascun comproprietario il diritto di rivolgersi al giudice in mancanza d'accordo o di decisione della maggioranza (v. MEIER-HAYOZ, ibidem, n. 27 e 28). L'attore è quindi senz'altro in grado di ricorrere alla procedura ordinaria.
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Il Tribunale federale pronuncia:
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