7. Sentenza dell'11 febbraio 1976 nella causa R. e B. contro Ufficio di esecuzione e fallimenti di Bellinzona.
|
Regeste
|
Art. 260 SchKG.
|
Sachverhalt
|
Nella liquidazione dell'eredità giacente D., la ditta B. ha rivendicato la proprietà di tre motorini e ventitré biciclette stimati complessivamente fr. 8'700.--. Nella graduatoria l'Ufficio di esecuzione e fallimenti (in seguito "l'Ufficio") ammise la rivendicazione e fissò ai creditori un termine per chiedere la cessione del diritto di contestarla ai sensi dell'art. 260 LEF. R., creditore iscritto in V classe per un credito di fr. 1'598.60, fece uso di tale possibilità. L'Ufficio trasmetteva quindi al creditore cessionario il relativo atto di cessione, allestito sul formulario n. 7. Già il giorno precedente l'Ufficio aveva comunicato l'avvenuta cessione alla ditta rivendicante e le aveva nel contempo assegnato il termine di 10 giorni per proporre contro R. l'azione di rivendicazione della proprietà sugli oggetti summenzionati (art. 242 cpv. 2 LEF in relazione con l'art. 52 RUF). Prima della scadenza del termine di cui sopra R. comunicava all'Ufficio di essere giunto ad un accordo transattivo con la ditta B. nel senso che, dietro corrisponsione della somma di fr. 1'000.--, egli rinunciava a contestare la rivendicazione della controparte; R. comunicava nel contempo che la propria pretesa nei confronti della massa veniva ridotta dell'importo della transazione. In risposta alla comunicazione di R. l'Ufficio comunicava alle parti interessate di non poter riconoscere la transazione intervenuta tra R. e la ditta rivendicante. La decisione dell'Ufficio veniva confermata dall'Autorità di vigilanza che respingeva un reclamo formato congiuntamente da R. e dalla ditta B. Contro quest'ultima decisione i soccombenti insorgono in questa sede postulandone l'annullamento e chiedendo che sia ordinato all'Ufficio esecuzione e fallimenti di Bellinzona di consegnare alla ditta B. gli oggetti da essa rivendicati.
|
Il Tribunale federale ha accolto il ricorso.
|
Considerato in diritto:
|
La giurisprudenza del Tribunale federale ha ormai definitivamente chiarito la natura giuridica della cessione prevista dall'art. 260 LEF (cfr. in particolare DTF 84 III 43, DTF 93 III 62, la dottrina ivi citata e FRITZSCHE, Schuldbetreibung und Konkurs, II ed. vol. II pag. 168). In particolare è stabilito che il creditore, subentrato in una pretesa della massa giusta il citato disposto, è in diritto sia di rinunciare a far valere giudizialmente tale pretesa, sia di concludere con la controparte transazioni giudiziali o extragiudiziali (DTF 93 III 63, DTF 50 III 22, DTF 49 III 124, DTF 43 III 164; FRITZSCHE, op.cit., pag. 174). Alcuni autori sono dell'avviso che una transazione necessita per la sua validità l'approvazione dell'amministrazione del fallimento, ritenuta la responsabilità del creditore cessionario nei confronti della massa, se non ottiene il massimo possibile (in questo senso cfr. in particolare FLACHSMANN, Die Abtretung der Rechtsansprüche der Konkursmasse nach Art. 260 SchKG, tesi Zurigo 1927, pagg. 16-18, con il rilievo che l'opinione ivi espressa si trova in una certa contraddizione con quanto l'autore riporta a pag. 97 dell'opera stessa e dove rileva che la massa non può chiedere un risarcimento dei danni, fondato sulla rinuncia a stare in lite, e ciò in virtù del fatto che essa già aveva a suo tempo rinunciato a far valere la pretesa oggetto della cessione; nello stesso senso, ma meno incisivo, JAEGER n. 3 lett. n ad art. 260 LEF, II vol. pag. 260).
|
Tale modo di vedere è errato. Allorquando la massa rinuncia a far valere determinati crediti e ne fa cessione a uno o più creditori, questi ultimi devono ragionevolmente essere posti nella condizione di poter liberamente decidere se e in che misura intendono fare o meno valere i crediti di cui sono divenuti cessionari. Infatti la massa non può subire alcun danno fintanto che non è posta in una situazione meno favorevole di quella in cui è venuta a trovarsi rinunciando a far valere determinati crediti o meglio, nella situazione in cui si sarebbe trovata se nessun creditore avesse chiesto la cessione dei crediti abbandonati.
|
La responsabilità del creditore cessionario nei confronti della massa sarebbe pensabile solo nell'ipotesi in cui l'agire del creditore cessionario stesso avesse per conseguenza di porre la massa in una situazione meno favorevole di quella originatasi a dipendenza della rinuncia o, più precisamente, di quella in cui la massa si sarebbe trovata se nessuna cessione fosse stata richiesta.
|
Deve comunque essere rilevato in questa sede che la riserva formulata alla cifra n. 7 del formulario di cessione può unicamente essere interpretata nel senso delle considerazioni sopra riportate: l'eventuale pregiudizio che la massa potrebbe aver subito a dipendenza della transazione intervenuta tra creditore cessionario e la ditta rivendicante non potrebbe in alcun caso giustificare il rifiuto della ratifica della convenzione stessa da parte dell'Ufficio, ma permetterebbe unicamente, se del caso, alla massa di far valere in giudizio pretese di risarcimento contro il creditore cessionario (cfr. FLACHSMANN, op.cit., pag. 18; BRIDEL JdT 1932 pag. 98 segg, in particolare pagg. 102/103 n. 7 e 8, pagg. 111/112 n. 23 e 24 e pag. 114 n. 29). Nello stesso senso si pronuncia FRITZSCHE, (op.cit., pagg. 174 e 175), il quale giustamente rileva che l'amministrazione del fallimento, nell'atto di cessione, può riservarsi la facoltà di ratificare eventuali transazioni (nello stesso senso BRIDEL, op.cit., pag. 103 n. 9, il quale osserva però, a ragione, che, se il creditore cessionario non aderisce alla citata riserva, l'Ufficio altro non può fare che rinunciarvi). Nel caso in esame l'Ufficio non ha avanzato riserve in questo senso, per cui non può ora prevalersene.
|
Facendo riferimento alle sentenze riportate in DTF 84 III 43, DTF 65 III 3e 64 III 110, l'autorità cantonale di vigilanza ha ritenuto che il diritto della massa di revocare la cessione quando la causa non sia ancora stata promossa, implica quale conseguenza il diritto di rifiutare la ratifica di una transazione. Tale argomento non è pertinente, soprattutto se si pon mente al fatto che, secondo la sentenza, riportata in DTF 84 III 43, la revoca della cessione è possibile solo se il creditore non ha ancora intrapreso alcun passo, anche solo preliminare e non ancora giudiziale, in vista di far valere il credito di cui è divenuto cessionario. Ciò non è evidentemente il caso nella concreta fattispecie nella quale il creditore ha già concluso una transazione definitiva. Indipendentemente da tale circostanza poi, e nell'ipotesi che una revoca fosse stata possibile, l'Ufficio avrebbe potuto far capo unicamente a tal procedura e non avrebbe in alcun caso potuto, negando la ratifica della transazione, costringere il creditore alla conduzione di un processo.
|
È vero che in tal modo il creditore cessionario può limitarsi a sostenere la lite fino a concorrenza del proprio credito (o, come nella fattispecie, in misura minore): ciò è però insito nella natura stessa della cessione; il creditore non è tenuto a sostenere, a proprie spese e a proprio rischio, gli interessi degli altri creditori che già avevano rinunciato a far valere la pretesa. Qualora la massa ritiene che la pretesa sia fondata e che la relativa causa abbia serie probabilità di esito favorevole, deve farla valere in proprio. Nel caso concreto la massa, operando la cessione, ha dimostrato o di ritenere fondata la rivendicazione della ditta B., o di considerare che l'esito della eventuale causa avrebbe potuto rivelarsi negativo: in tali circostanze la massa non può, successivamente alla cessione, pronunciarsi sul modo con cui il cessionario ha tutelato i propri interessi.
|