BGE 105 IV 105 |
28. Estratto della sentenza della Corte di cassazione penale del 25 maggio 1979 nella causa X. c. Procuratore pubblico giurisdizione sottocenerina (ricorso per cassazione) |
Regeste |
Art. 163 Ziff. 1 Abs. 3, 253 StGB. |
Dai considerandi: |
2. Il rilievo del ricorrente, secondo cui il fatto di aver insinuato crediti fittizi e quello d'averli riconosciuti, sono integralmente assorbiti dal reato punito dall'art. 163 CP, è esatto. Con gli atti che gli sono stati imputati a titolo di conseguimento fraudolento di una falsa attestazione, il ricorrente ha simulato debiti e riconosciuto crediti fittizi, ha cioè commesso atti che l'art. 163 n. 1 cpv. 3 CP prevede espressamente come costitutivi del reato di bancarotta fraudolenta. Poiché detti atti comportano - in caso di fallimento - necessariamente una menzione nei verbali dell'ufficio dei fallimenti, l'art. 163 CP copre tutti i loro aspetti e risulta determinante. Ne segue che, anche se si volesse ammettere la presenza in pari tempo degli elementi costitutivi del reato represso dall'art. 253 CP, sussisterebbe comunque un caso di concorso improprio, tale da escludere l'applicazione della disposizione da ultimo citata. Essendo stato il ricorrente condannato a giusto titolo per bancarotta fraudolenta, la sua condanna, per gli stessi fatti, ai sensi dell'art. 253 CP, comporta la violazione del diritto federale.
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Né l'applicazione dell'art. 253 CP può essere fondata sulla circostanza che il riconoscimento del debito fittizio è suscettibile di figurare su un attestato di carenza di beni. Tale menzione può avere soltanto gli effetti previsti dall'art. 265 LEF, ossia conferire all'attestato la qualità di riconoscimento di debito ai sensi dell'art. 82 LEF. Un siffatto riconoscimento non accerta né prova la realtà del debito. La sua menzione nell'attestato di carenza di beni prova soltanto che il debitore ha effettuato la relativa dichiarazione.
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