BGE 143 V 81 |
8. Estratto della sentenza della II Corte di diritto sociale nella causa A.A. contro Cassa cantonale di compensazione (ricorso in materia di diritto pubblico) |
9C_307/2016 del 29 marzo 2017 |
Regeste |
Art. 4, Art. 5 und Art. 32 ELG; Abkommen vom 21. Juni 1999 zwischen der Schweizerischen Eidgenossenschaft einerseits und der Europäischen Gemeinschaft und ihren Mitgliedstaaten andererseits über die Freizügigkeit (FZA; SR 0.142.112.681); Verordnung (EG) Nr. 883/2004 des Europäischen Parlaments und des Rates vom 29. April 2004 zur Koordinierung der Systeme der sozialen Sicherheit (SR 0.831.109.268.1); Verordnung (EU) Nr. 465/2012 des Europäischen Parlaments und des Rates vom 22. Mai 2012 (AS 2015 345): ratione temporis, materiae und personae für Ergänzungsleistungen gemäss ELG im Anwendungsbereich des FZA und seiner Verordnungen. |
Die in der Schweiz wohnhafte Nicht-EU-Staatsbürgerin, die mit einem Schweizer Bürger mit doppelter Staatsbürgerschaft, davon eine EU-Staatsbürgerschaft, verheiratet ist, hat einen eigenen Anspruch auf Ergänzungsleistungen (E. 7.2), den sie als Familienangehörige eines Staatsangehörigen eines Mitgliedstaats geltend machen kann (Art. 2 Abs. 1 der Verordnung [EG] Nr. 883/2004; E. 8.2.2). |
Die Voraussetzung für die Anwendung des FZA ratione personae (E. 8.1): nebst der Voraussetzung der Nationalität (E. 8.2.1) oder des Familienstatus (E. 8.2.2) ist ein grenzüberschreitender Sachverhalt notwendig (E. 8.3). Letzterer ist nicht gegeben durch den blossen Besitz einer doppelten Staatsbürgerschaft, sprich einer Staatsbürgerschaft eines anderen Mitgliedstaats neben derer des Wohnsitzstaats. Der grenzüberschreitende Sachverhalt ist nämlich nur gegeben, falls das eigene Recht auf Personenfreizügigkeit auf dem Gebiet eines Mitgliedstaats ausgeübt wird (E. 8.3.3.2). Eine Inländerdiskriminierung resultiert daraus nicht (E. 8.3.3.2). |
Sachverhalt |
A.a A.A., cittadina della Repubblica Dominicana, casalinga, è sposata dal 23 gennaio 2007 con A.B. - cittadino svizzero e italiano - e madre di A.C. A.A. è residente in Svizzera dal 5 giugno 2007 (con permesso B di dimora familiare) ed è beneficiaria di una rendita dall'assicurazione invalidità per sé e per sua figlia, come pure di prestazioni assistenziali per sé, il marito e la figlia.
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A.b Con decisione del 13 marzo 2015 la Cassa cantonale di compensazione AVS/AI/IPG/AD/AF (in seguito: Cassa) ha respinto la domanda di prestazioni complementari (in seguito: PC) presentata da A.A., difettando l'adempimento del necessario termine di attesa di 10 anni di dimora ininterrotta in Svizzera. Il 28 aprile 2015, come pure con complemento del 6 maggio 2015, A.A. si è opposta al provvedimento. Con decisione su opposizione del 7 agosto 2015 la Cassa ha sostanzialmente confermato il suo rifiuto di prestazioni.
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B. Il 14 settembre 2015 A.A. si è rivolta al Tribunale delle assicurazioni del Cantone Ticino chiedendo che le venga riconosciuto il diritto alle PC.
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Con giudizio del 22 marzo 2016 la Corte cantonale ha respinto il gravame.
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C. Il 3 maggio 2016 (timbro postale) A.A. presenta ricorso in materia di diritto pubblico al Tribunale federale, cui chiede il riconoscimento del diritto alle PC a partire dal 1° agosto 2012, data di inizio del diritto a una rendita d'invalidità.
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Con considerazioni del 23 settembre 2016 la Cassa propone di respingere il ricorso, come pure l'Ufficio federale delle assicurazioni sociali (UFAS) in data 4 novembre 2016. Il Tribunale cantonale ha per contro rinunciato a prendere posizione. Con osservazioni del 17 novembre 2016 la ricorrente si è determinata sulle riflessioni della Cassa e dell'UFAS, rinnovando infine la richiesta di accoglimento del gravame.
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Dai considerandi: |
Erwägung 2 |
Erwägung 4 |
4.1 La ricorrente postula per il riconoscimento del diritto a PC in virtù dell'Accordo del 21 giugno 1999 tra la Confederazione Svizzera, da una parte, e la Comunità europea ed i suoi Stati membri, dall'altra, sulla libera circolazione delle persone (ALC; RS 0.142. 112.681) e del Regolamento (CE) n. 883/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004 relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale (RS 0.831.109.268.1; in seguito: Regolamento [CE] n. 883/2004), applicabili a suo dire anche a lei stessa essendo familiare di un cittadino di uno Stato membro, in casu l'Italia. In via subordinata, la ricorrente censura la presenza di una "discriminazione interna" in qualità di coniuge di un cittadino svizzero rispetto al coniuge di un cittadino italiano e quindi la violazione dell'art. 14 CEDU e dell'art. 8 Cost.
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4.3 La Cassa intimata, con considerazioni del 23 settembre 2016, conferma le conclusioni cui sono giunti i giudici del Tribunale cantonale e l'UFAS perviene al medesimo risultato nelle valutazioni espresse il 4 novembre 2016, in cui l'accento è posto sull'assenza del nesso transfrontaliero: il possesso della cittadinanza di uno Stato UE (in aggiunta a quella svizzera) non è sufficiente, perché il diritto alla libera circolazione deve essere stato esercitato. Il coniuge della ricorrente non rientra nel campo d'applicazione ratione personae del Regolamento (CE) n. 883/2004 e dunque la ricorrente non può appellarsi al diritto di parità di trattamento da esso sancito per i familiari.
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Erwägung 7 |
Erwägung 8 |
Erwägung 8.2 |
8.2.2 La ricorrente può invece far valere un diritto in qualità di familiare di un cittadino di uno Stato membro (cfr. art. 2 n. 1 Regolamento [CE] n. 883/2004; il Regolamento [UE] n. 465/2012 non prevede alcuna modifica in tale ambito). Nessuna condizione di nazionalità è necessaria per un membro della famiglia per chiedere l'applicazione dell'ALC (cfr. DTF 139 V 393 consid. 4.1 in fine pag. 396 con riferimenti). In quanto moglie di un cittadino italiano, la condizione dello status familiare è pertanto adempiuta. Si rileva altresì in tale contesto come la distinzione tra diritti propri del membro della famiglia e diritti derivati (cfr. consid. 7.2) non svolga alcun ruolo, considerato quanto previsto dalla giurisprudenza europea cui la nostra prassi interna si è in seguito indirizzata. In effetti, se in un primo tempo la giurisprudenza europea operava una netta distinzione tra diritti propri e derivati con la conseguenza che i membri della famiglia di un lavoratore migrante potevano pretendere in tale contesto solo i diritti derivati, escludendo cioè i diritti propri (cfr. DTF 139 V 393 consid. 5.2.1 in fine pag. 397), successivamente la giurisprudenza ha ammesso che i membri della famiglia di un lavoratore migrante potevano invocare direttamente il principio di parità di trattamento previsto nel Regolamento (art. 3 n. 1 Regolamento [CEE] n. 1408/71 e art. 4 Regolamento [CE] n. 883/2004; cfr. DTF 139 V 393 consid. 5.2.2 pag. 397) anche per i loro diritti propri. La Corte di giustizia dell'UE (CGUE) ha dedotto infine un principio generale secondo cui i membri della famiglia di un lavoratore migrante dispongono del diritto a un trattamento uguale in relazione a tutte le prestazioni che, per loro natura, non sono dovute esclusivamente al lavoratore, come per esempio le prestazioni di disoccupazione (DTF 139 V 393 consid. 5.2.2 pag. 397). Il diritto alle PC non essendo legato alla qualità di lavoratore, nulla osta a che la ricorrente possa beneficiare delle PC (cfr. SPIEGEL, op. cit., n. 18 ad art. 2 del Regolamento [CE] n. 883/2004), sempre che l'altra condizione (cfr. consid. 8.3) sia data.
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Erwägung 8.3 |
Si tratta di esaminare se per il marito della ricorrente il fatto di possedere, oltre alla nazionalità dello Stato in cui risiede (Svizzera), anche quella di un altro Stato dell'UE (Italia) comporta la creazione di un nesso transfrontaliero sufficiente all'applicazione dell'ALC. Deto altrimenti, è determinante sapere se l'ALC trova applicazione alla luce della doppia nazionalità (dello Stato in cui risiede e di un altro Stato membro) del marito della ricorrente.
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Erwägung 8.3.3 |
8.3.3.1 Alla domanda di sapere se l'ALC è applicabile in caso di doppia nazionalità il Tribunale federale ha lasciato la questione aperta per molto tempo (cfr. DTF 130 II 176 consid. 2.3 pag. 179 con riferimenti), rispondendo affermativamente nella DTF 135 II 369 consid. 2 pag. 372 in cui è stato indicato che la sola cittadinanza di uno Stato contraente era sufficiente per invocare l'applicazione dell'ALC. Nelle successive sentenze, cfr. per esempio 2C_1071/2013 del 6 giugno 2014 consid. 3.3 con rinvii e 2C_195/2011 del 17 ottobre 2011 consid. 1.1 con rinvii, il TF aveva ammesso in principio l'applicazione dell'ALC per i cittadini stranieri che si avvalevano della doppia nazionalità, senza però esaminare preliminarmente se gli stessi avessero o meno esercitato il loro diritto alla libera circolazione. In tali sentenze, il TF aveva tuttavia lasciato aperta la questione se la prassi dovesse essere cambiata alla luce della nuova giurisprudenza della CGUE (cfr. sentenza del 5 maggio 2011 C-434/09 McCarthy), secondo cui il solo possesso della cittadinanza di uno Stato dell'UE non è sufficiente per applicare l'art. 21 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, firmato a Lisbona il 13 dicembre 2007 (GU C 326 del 26 ottobre 2012; e per analogia l'ALC) in assenza di un elemento transfrontaliero, ossia in caso di non esercizio del proprio diritto di libera circolazione nel territorio degli Stati membri. Il Tribunale federale ha infine risolto la questione nella DTF 143 II 57, rilevando che non vi sono motivi seri che si oppongono a che ci s'ispiri ai principi stabiliti nella sentenza europea per l'applicazione dell'ALC (cfr. consid. 3.4 e seg. in particolare 3.9).
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8.3.3.2 Di conseguenza, contrariamente anche all'interpretazione della ricorrente della giurisprudenza della CGUE, come pure della sua possibile applicazione nell'ordinamento giuridico svizzero, si rileva che anche nel caso concreto non vi sono ragioni che ostacolino questa Corte dall'orientarsi su quanto concluso nella precitata DTF 143 II 57 e negare quindi nella fattispecie l'esistenza di un nesso transfrontaliero. È vero che la sentenza C-434/09 punti 46-48 ha riservato la situazione in cui l'applicazione delle misure di diritto interno (in casu il periodo di carenza di 10 anni dell'art. 5 cpv. 1 LPC) hanno l'effetto di privare un cittadino del godimento effettivo del nucleo essenziale dei diritti conferiti allo status di cittadino dell'UE, ovvero l'effetto di ostacolare l'esercizio del suo diritto a circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri. Tuttavia, nella fattispecie, queste ipotesi non sono realizzate. Da una parte, il marito della ricorrente non ha mai esercitato il suo diritto alla libera circolazione. Dall'altra, la ricorrente non è privata di alcun diritto rispetto a una persona che si troverebbe nella sua stessa situazione ma sposata con un cittadino in possesso della sola cittadinanza svizzera. Infatti, il cittadino di uno Stato terzo non ha diritto alle PC prima dello scadere del termine di 10 anni indipendentemente dal fatto che il suo coniuge sia cittadino dell'UE o svizzero.
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8.3.3.3 Ne consegue che il solo possesso della nazionalità italiana del marito della ricorrente non è di per sé sufficiente per invocare l'applicazione dell'ALC, non avendo quest'ultimo mai esercitato il diritto alla libera circolazione e dunque non vi è alcun diritto alle PC per la ricorrente deducibile dall'ALC.
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