BGer 2P.143/2001
 
BGer 2P.143/2001 vom 19.02.2002
[AZA 1/2]
2P.143/2001
II CORTE DI DIRITTO PUBBLICO
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19 febbraio 2002
Composizione della Corte: giudici federali Wurzburger, presidente,
Betschart, Hungerbühler, Müller e Yersin.
Cancelliere: Albertini.
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Visto il ricorso di diritto pubblico presentato il 28 maggio 2001 dall'ASSOCIAZIONE L.U.de.S. Libera Università degli Studi di Scienze Umane e Tecnologiche, Zugo, patrocinata dall'avv. Marco Frigerio, Studio legale Gian Mario Pagani, Chiasso, contro le decisioni del 24 aprile 2001/8 maggio 2001 emesse dal Consiglio di Stato del Cantone Ticino in materia di autorizzazione all'uso della denominazione "Università";
Ritenuto in fatto :
A.- La legge ticinese sull'Università della Svizzera italiana e sulla Scuola professionale della Svizzera italiana del 3 ottobre 1995 (in seguito: LUni) stabilisce, all'art. 14, dal titolo marginale "Protezione del nome", quanto segue:
"1 È necessaria l'autorizzazione del Consiglio
di Stato per usare nel Cantone le denominazioni
Università, Istituto universitario e simili da
parte di enti pubblici o privati che svolgono una
qualsiasi attività.
2 Nessun altro ente, pubblico o privato, può
assumere nel Cantone la denominazione "Università
della Svizzera italiana".. "
B.- Il 27 settembre 1999 è stata costituita, con sede legale a Zugo, un'associazione ai sensi degli art. 60 segg. CC, attualmente iscritta nel registro di commercio del Canton Zugo con il nome "ASSOCIAZIONE L.U.de.S. Libera Università degli Studi di Scienze Umane e Tecnologiche" (in seguito: L.U.de.S.), la cui sede operativa e amministrativa è a Lugano-Paradiso.
Secondo l'art. 1 n. 3 dei propri statuti, L.U.de.S.
è un'istituzione privata e ha quale scopo "l'istruzione accademica e il perfezionamento a carattere scientifico e di ricerca (Akademischer Unterricht und Ausbildung sowie wissenschaftliche Forschung), avente come finalità inscindibili l'istruzione, la formazione universitaria, la ricerca scientifica e tecnologica". L'istituto si presenta al pubblico con la denominazione "L.U.de.S. Libera Università degli Studi di Scienze Umane e Tecnologiche".
C.- Con istanze del 19 ottobre 1999, del 19 giugno 2000 e del 26 luglio 2000, per il tramite dei suoi patrocinatori, L.U.de.S. ha chiesto al Consiglio di Stato del Cantone Ticino di concederle l'autorizzazione per l'uso della denominazione "Università" secondo l'art. 14 LUni.
Con risoluzione dell'8 maggio 2001, che annullava una precedente risoluzione del 24 aprile 2001, il Consiglio di Stato del Cantone Ticino ha deciso quanto segue:
"1. Denominazione: nella misura in cui si usa unicamente
l'acronimo L.U.de.S. non si generano confusioni
con l'Università della Svizzera italiana.
La denominazione Libera università degli studi di
scienze umane e tecnologiche va seguita dall'indicazione
"privata, non accreditata". Le denominazioni
"università svizzera" e "università" accompagnate
dalla località Lugano vanno evitate perché
fonte di equivoci. Questa denominazione potrebbe
trarre in inganno circa l'esistenza di pretesi
rapporti ufficiali con l'ente pubblico ed è quindi
in contrasto con l'art. 6 della legge federale per
la protezione degli stemmi pubblici e di altri segni
pubblici, del 5 giugno 1931: questa norma dispone
infatti che le parole "Confederazione", "federale",
"Cantoni", "cantonale", "comunale" o le
espressioni facili a confondere con queste parole
non possono essere adoperate né sole né in unione
con altre parole, quando questo uso sia atto a far
supporre erroneamente l'esistenza di relazioni ufficiali
della Confederazione, di un Cantone o di
un Comune con chi usa queste parole [...].
2. Agli studenti, già nella fase di informazione e
al momento dell'iscrizione, va chiaramente indicato
che i titoli rilasciati dalla L.U.de.S. non sono
equipollenti a titoli di università statali o
accreditate svizzere o dell'EU. Nel caso il titolo
venga dato congiuntamente con una università statale
o accreditata svizzera o dell'EU, va chiaramente
indicato il nome dell'università. I documenti
che attestano l'accordo dell'università convenzionata
sono da trasmettere all'Autorità cantonale.
[...]
3. Il Cantone Ticino non è competente per la valutazione
relativa alla qualità dei corsi offerti;
la L.U.de.S., i corsi e i diplomi rilasciati non
sono accreditati nel sistema universitario svizzero.
4. e 5. [...]"
D.- Il 28 maggio 2001 L.U.de.S. ha introdotto al Tribunale federale un ricorso di diritto pubblico, in cui postula l'annullamento delle risoluzioni governative del 24 aprile 2001, rispettivamente dell'8 maggio 2001. Chiede inoltre che sia accertata l'inammissibilità dell'autorizzazione imposta dall'art. 14 LUni, subordinatamente che sia autorizzata ad utilizzare il termine "Università" e, ancor più subordinatamente, che l'incarto sia ritornato al Consiglio di Stato affinché rilasci l'autorizzazione incondizionata per l'uso del termine "Università". Adduce una violazione del principio della forza derogatoria del diritto federale (art. 49 Cost.), della libertà della scienza (art. 20 Cost.), della libertà di associazione (art. 23 Cost.), della libertà economica (art. 27 Cost.), del principio della parità di trattamento (art. 8 Cost.), come pure del divieto d'arbitrio (art. 9 Cost.).
E.- Nella propria risposta il Consiglio di Stato del Cantone Ticino, anche per conto del Dipartimento cantonale dell'istruzione e della cultura, ha sviluppato i propri argomenti in fatto e in diritto concludendo per la reiezione del ricorso e la conferma della risoluzione impugnata.
Il Tribunale federale ha invitato a determinarsi anche la Conferenza universitaria svizzera, la quale, senza formulare proposte in merito al gravame, si esprime sul tema dell'accreditamento di istituti d'insegnamento privati come università ai sensi della legislazione federale.
Con atto di replica la ricorrente si conferma nelle sue precedenti conclusioni.
F.- Con decreto del 12 ottobre 2001 il Presidente della II Corte di diritto pubblico ha accordato l'effetto sospensivo al ricorso, chiesto il 13 settembre 2001.
G.- Il 21 dicembre 2001 la ricorrente ha comunicato al Tribunale federale di avere presentato un'istanza di accreditamento alla Conferenza universitaria svizzera il 5 dicembre 2001; inoltre, con lettera del 15 gennaio 2002 ha trasmesso al Tribunale federale la conferma, da parte dell' Organo di accreditamento e di garanzia della qualità nel settore universitario, dell'avvenuto deposito della domanda di accreditamento.
Considerando in diritto :
1.- a) Il Tribunale federale esamina d'ufficio e con piena cognizione l'ammissibilità dei gravami sottopostigli (DTF 127 I 92 consid. 1; 127 II 198 consid. 1 e relativi richiami).
b) La ricorrente chiede l'annullamento delle risoluzioni governative del 24 aprile 2001 e dell'8 maggio 2001. Sennonché, il dispositivo n. 4 della decisione dell'8 maggio 2001 stabilisce espressamente che quest'ultima "annulla e sostituisce la risoluzione no. 1787 del 24 aprile 2001". Di conseguenza, nella misura in cui è rivolta contro la prima decisione, l'impugnativa è inammissibile per carenza di oggetto di ricorso.
Nella motivazione del proprio gravame la ricorrente dichiara di contestare espressamente determinate misure sancite dalla risoluzione dell'8 maggio 2001, e non la loro globalità. La conclusione volta all'annullamento dell'atto impugnato va pertanto riferita alle condizioni esplicitamente contestate, e non all'integralità della decisione governativa (cfr. Walter Kälin, Das Verfahren der staatsrechtlichen Beschwerde, 2a ed., Berna 1994, pag. 362).
c) Contro la risoluzione impugnata il diritto cantonale applicabile alla fattispecie - segnatamente la legge sull'Università della Svizzera italiana e sulla Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana - non prevede la possibilità d'accedere ad un'autorità giudiziaria cantonale. Considerata la clausola enumeratoria o attributiva delle competenze (sancita dall'art. 60, rispettivamente 55 cpv. 3 della legge ticinese di procedura per le cause amministrative, del 19 aprile 1966 [LPAmm], in base alla quale le decisioni del Consiglio di Stato sono definitive se la legge non prevede il ricorso al Tribunale cantonale amministrativo o al Gran Consiglio), la decisione contestata è d'ultima istanza cantonale. Certo, nel proprio rubrum la risoluzione governativa richiama, da un lato, il diritto federale (art. 6 e 7 della legge federale sull'aiuto alle università e la cooperazione nel settore universitario, dell'8 ottobre 1999 [legge sull'aiuto alle università, LAU; RS 414. 20], come pure la legge federale per la protezione degli stemmi pubblici e di altri segni pubblici, del 5 giugno 1931 [RS 232. 21; in seguito: legge per la protezione degli stemmi pubblici]), e dall'altro il diritto cantonale (art. 14 LUni). La base legale determinante della decisione impugnata è però, senza dubbio, quest'ultima disposizione, che sancisce un obbligo d'autorizzazione, previsto dal diritto cantonale, per gli enti (pubblici o privati) che intendono usare nel Cantone Ticino le denominazioni "Università", "Istituto universitario" e simili. Il Governo cantonale deduce da questo disposto la propria competenza per corredare l'autorizzazione di condizioni concernenti la denominazione della ricorrente nei suoi rapporti verso terzi.
Pertanto, la circostanza che il Consiglio di Stato abbia richiamato anche norme di diritto federale per la concretizzazione di tali condizioni non muta il fondamento materiale dell'autorizzazione litigiosa, che risiede nel diritto cantonale autonomo. Contro di essa non è quindi aperta la via del ricorso di diritto amministrativo, bensì quella del ricorso di diritto pubblico per violazione dei diritti costituzionali dei cittadini (art. 84 cpv. 1 lett. a, 84 cpv. 2 e 86 cpv. 1 OG).
d) La ricorrente - un'associazione ai sensi degli art. 60 segg. CC che gestisce una scuola privata - è colpita nei suoi interessi giuridicamente protetti in quanto destinataria di un'autorizzazione assortita di condizioni. La legittimazione ai sensi dell'art. 88 OG è quindi, di principio, data (DTF 97 I 116 segg.).
e) L'insorgente contesta la costituzionalità dell' obbligo d'autorizzazione sancito dall'art. 14 LUni. Tale quesito va esaminato a titolo pregiudiziale, ma solo nella misura in cui incida sul caso in rassegna. D'altra parte, il Tribunale federale non potrebbe annullare o accertare la nullità della disposizione richiamata, siccome il termine per l'impugnazione diretta dei testi normativi è largamente superato (art. 89 cpv. 1 OG). In altri termini, se le censure ricorsuali risultassero fondate non si procederà all' abrogazione formale del decreto di portata generale o di sue singole disposizioni e neppure alla loro modifica, bensì, esclusivamente, all'annullamento della decisione impugnata (DTF 124 I 289 consid. 2; 113 Ia 257 consid. 3b; RDAT 2001 I n. 45 pag. 175 consid. 2b e rispettivi rinvii; Kälin, op. cit. , pag. 363/364). Subordinatamente all'accertamento dell'inammissibilità dell'autorizzazione imposta dall'art. 14 LUni, la ricorrente chiede di essere autorizzata ad utilizzare il termine "Università" e, ancor più subordinatamente, che l'incarto sia ritornato al Consiglio di Stato perché rilasci l'autorizzazione incondizionata all' uso del termine "Università": nella misura in cui l'insorgente chiede più o altro dell'annullamento della decisione impugnata, il gravame è inammissibile in virtù della natura cassatoria del rimedio, indipendentemente dal fatto che in determinate evenienze, ad esempio in materia di autorizzazioni di polizia, il Tribunale federale possa eccezionalmente derogare a tale principio (DTF 127 I 1 consid. 2c; 126 I 213 consid. 1c e rispettivi richiami). Del resto una tale deroga non risulterebbe, nel caso specifico, indispensabile per ristabilire una situazione conforme alla Costituzione federale, che può essere garantita, all'occorrenza, semplicemente con l'annullamento delle condizioni, o parte di esse, contenute nell'autorizzazione impugnata.
f) Per il resto, il ricorso di diritto pubblico, inoltrato tempestivamente, soddisfa gli ulteriori presupposti formali ed è quindi, di principio, ammissibile, conformemente agli art. 84 segg. OG.
2.- a) La ricorrente contesta in primo luogo la costituzionalità dell'art. 14 LUni, adducendo che la competenza di emanare prescrizioni in materia di formazione professionale e scuole universitarie spetterebbe, in virtù dell'art. 63 Cost. , alla Confederazione. Il principio della preminenza del diritto federale (art. 49 Cost.) sarebbe pertanto violato. Inoltre la norma in esame istituirebbe un monopolio illegittimo a favore del Cantone nel proprio territorio, violando la libertà economica sancita dall'art. 27 Cost.
b) La disciplina stabilita con l'art. 14 LUni, come indica il titolo marginale del disposto ("Protezione del nome"), è intesa ad evitare che nel Cantone Ticino siano creati istituti d'insegnamento, dichiarantisi università, che potrebbero essere confusi con l'Università della Svizzera italiana (USI). Quest'ultima, istituita con la relativa legge cantonale del 3 ottobre 1995 (v. art. 1 cpv. 1 LUni), è stata riconosciuta il 1° novembre 2000 dalla Confederazione come università avente diritto ai sussidi conformemente alla legge sull'aiuto alle università; parallelamente il Cantone Ticino è stato riconosciuto come Cantone universitario.
L'art. 14 LUni sancisce due principi: da un lato nessun altro istituto d'insegnamento può avere lo stesso nome dell'università cantonale, ossia "Università della Svizzera italiana" (art. 14 cpv. 2 LUni), dall'altro l'uso del termine "Università" (e simili) è sottoposto ad autorizzazione, perché il Cantone possa imporre designazioni supplementari che gli sembrino necessarie ai fini di evitare un rischio di confusione con l'ateneo cantonale (art. 14 cpv. 1 LUni). Oltre ad essere intese come misure a tutela del nome, le precisazioni imponibili in base all'art. 14 LUni possono perseguire un interesse di polizia del commercio, in quanto intendano evitare che scuole private siano confuse con istituti che garantiscono un curricolo formativo riconosciuto, com'è il caso per l'USI. In simili circostanze, la disciplina instaurata con l'art. 14 LUni costituisce, indirettamente, anche uno strumento per fronteggiare l'attività di istituti d'insegnamento poco seri, intesi al rilascio di titoli accademici senza che la formazione accordata sia di livello universitario. In questa direzione andava peraltro un appello del 28 ottobre 1993 della Conferenza universitaria svizzera ai Direttori cantonali della pubblica educazione, versato agli atti, in cui si invitavano i Cantoni a predisporre tutte le misure amministrative per impedire tali attività. Ciò posto, va ora esaminata la costituzionalità della norma litigiosa alla luce dell'ordinamento delle competenze.
c) La competenza in materia di formazione spetta in prima linea ai Cantoni (art. 62 e 63 Cost. ; Regina Kiener, Bildung, Forschung und Kultur in: Daniel Thürer e altri [editori], Verfassungsrecht der Schweiz, Zurigo 2001, n. 1 pag. 904). Tale prerogativa include la vigilanza anche nei confronti di istituzioni d'insegnamento private, in prima analisi di scuole per l'istruzione scolastica di base, generalmente sottoposte ad autorizzazione (cfr. art. 62 cpv. 2 Cost. ; Herbert Plotke, Bildung und Schule in den kantonalen Verfassungen, in: Strukturen des schweizerischen Bildungswesens, supplemento RDS, Basilea 1994, pag. 62; v. per il Cantone Ticino gli art. 80 segg. della legge cantonale della scuola, del 1° febbraio 1990 [LSc]). La vigilanza, nel senso di un controllo di polizia del commercio fondato su un interesse pubblico, può estendersi anche ad altri settori dell'insegnamento, come le università private:
la loro istituzione e il loro esercizio possono essere sottoposti a restrizioni da parte del Cantone, e ciò in base alla sua menzionata competenza in materia di formazione (art. 62 Cost.) o, più generalmente, alla sua sovranità in materia di polizia (cfr. Herbert Plotke, Rechtliche Massnahmen gegen unseriöse private Ausbildungsstätten auf Hochschulstufe und gegen wertlose oder täuschende akademische Titel, in: Private Institutionen auf Hochschulstufe - Rechtsfragen, edito dalla Conferenza svizzera dei direttori cantonali della pubblica educazione [CDPE], Berna 1990, pag. 37 segg. , 64 segg. , 130; Beatrice Wagner Pfeifer, Staatlicher Bildungsauftrag und staatliches Bildungsmonopo in: ZBl 99/1998 pag. 268). Del resto, nella misura in cui siano minacciati beni di polizia, intesi, segnatamente, alla protezione del pubblico da istituti d'insegnamento poco seri, e quindi sia minacciata la buona fede nei rapporti commerciali, un intervento del Cantone è senz'altro giustificato (Wagner Pfeifer, op. cit. , pag. 256 e 269; cfr.
anche Pra 85/1996 n. 2 pag. 3 consid. 3 e 4).
D'altra parte anche l'art. 944 CO è inteso alla tutela di interessi pubblici: esso, infatti, può essere richiamato anche dai Cantoni per evitare che istituti didattici privati utilizzino, nella loro ragione sociale, denominazioni suscettibili di creare un rischio di confusione con le scuole pubbliche, partecipando così - indebitamente - alla loro credibilità e alla loro rinomanza (DTF 100 Ib 29 consid. 4; Plotke, Rechtliche Massnahmen, op. cit. , pag. 75 seg. ; Wagner Pfeifer, op. cit. , pag. 268). Al pari dell' art. 29 cpv. 2 CC - applicabile se sia in discussione il nome di un'associazione o di una fondazione, pur rilevando che i principi in materia di protezione delle ditte commerciali sono validi per analogia, nella misura in cui ciò sia giustificato dalla similitudine degli interessi perseguiti dalle rispettive norme di protezione (DTF 102 II 161 consid. 2; cfr. anche DTF 83 II 249 consid. 2 e 116 II 605 consid. 4a; Plotke, Rechtliche Massnahmen, op. cit. , pag. 84 seg.) - l'art. 944 CO, in quanto norma del diritto federale, non impedisce però al Cantone di disciplinare la protezione del nome della propria università mediante una norma di diritto pubblico cantonale - fondata sull'art. 62 cpv. 1 Cost. - nei confronti di istituti che soggiacciono alla sua sovranità territoriale (cfr. DTF 97 I 116 consid.
4 e 5; Wagner Pfeifer, op. cit. , pag. 268). In particolare non vi osta l'art. 63 cpv. 2 Cost. , come del resto il precedente art. 27 vCost. : certo, in quanto sancisce che la Confederazione può istituire, gestire o sostenere scuole universitarie e altri istituti di formazione superiore, tale norma instaura una competenza della Confederazione. Sennonché, tale prerogativa non preclude quella cantonale, che è da intendersi perlomeno parallela a quella federale (Kiener, op. cit. , n. 11 pag. 907/908; Marco Borghi, in: Commentario della Costituzione federale svizzera del 18 maggio 1874, n. 1 ad art. 27 Cost. ; Jean-Luc Gassmann, La répartition des compétences dans le domaine de la formation, de la recherche et des médicaments, in: Thomas Fleiner e altri [editori], BV-CF 2000, Die neue schweizerische Bundesverfassung, Basilea/Ginevra/Monaco 2000, pag. 176). Si può infine rilevare che queste ultime considerazioni valgono anche qualora la legge per la protezione degli stemmi pubblici - espressamente richiamata dal Consiglio di Stato nella decisione impugnata - tutelasse le università: ciò è peraltro dubbio, ma tale quesito può rimanere indeciso (cfr. anche consid. 4b).
d) Ne discende che la normativa cantonale in esame non viola la forza derogatoria del diritto federale sancita dall'art. 49 Cost. né altrimenti determina un monopolio illecito a favore dello Stato. Del resto è perlomeno legittimo - comunque non anticostituzionale - emanare una norma intesa, come nel caso dell'art. 14 LUni, ad evitare confusioni e pertanto a tutelare gli utenti. A quest'ultimo proposito va precisato che con l'accezione "Università", ritenuta singolarmente, in Svizzera è comunemente inteso un ateneo pubblico o perlomeno un istituto d'insegnamento e di ricerca sostenuto dallo Stato, come già rilevato dal Tribunale federale in DTF 97 I 116 consid. 5b. Ora, proprio come in quella vertenza, anche l'attuale ricorrente si è conformata - di fatto - a tale tesi, avendo aggiunto sin dall' inizio, per la designazione dell'istituto, il termine "Libera" alla denominazione "Università" (cfr. DTF 97 I 116 segg. nella causa "Verein Freie Evangelisch-Theologische Hochschule Basel", consid. 5b).
La critica d'incostituzionalità dell'art. 14 LUni risulta pertanto infondata. Rimane da esaminare la legittimità delle singole condizioni alla luce delle censure ricorsuali.
3.- a) La ricorrente contesta l'obbligo di posporre alla propria denominazione il termine "privata": l'accezione "Libera Università" sarebbe sufficiente per esprimere il carattere privato della propria istituzione. A torto.
Anzitutto, l'esigenza di aggiungere il termine "privata" è conforme allo scopo perseguito dall'art. 14 LUni: trattandosi nel caso della ricorrente di un istituto non statale, il termine "libero" non è sufficientemente chiaro per fare capire a terzi la natura effettiva dell'ente. Come ritenuto a ragione dal Consiglio di Stato nella propria risposta, il termine "Libera" associato a "Università", non è immediatamente e esclusivamente riconducibile, in Svizzera, ad un' università privata. Del resto esistono atenei che pur denominandosi "Libera Università" sono, in realtà, istituti statali (come ad esempio la "Freie Universität Berlin"; cfr. art. 1 della legge berlinese sulle università, del 17 novembre 1999 [Gesetz über die Hochschulen im Land Berlin; Berliner Hochschulgesetz - BerlHG]; v. anche DTF 97 I 116 consid. 5d). Come stabilito anche dal Tribunale federale nella sentenza appena citata, l'espressione "libera" - perlomeno per i parametri svizzeri - può risultare ambigua; in ogni caso, combinata con il termine "Università" tale espressione non è univoca come contrapposizione a "statale" (cfr. DTF 97 I 116 consid. 5d, in cui il divieto impartito all'associazione "Verein Freie Evangelisch-Theologische Hochschule Basel" di recare questo nome è stato giudicato conforme alla costituzione federale; cfr. anche DTF 125 I 347 consid. 3c concernente la "Freie Öffentliche Schule Freiburg"). In altri termini, se anche, come afferma l'insorgente, l'accezione "Libera", associata a "Università", fosse chiara per il mondo accademico (internazionale), non è affatto dimostrato che tale significato - ed è determinante - sarebbe certo e evidente per tutti i potenziali utenti. In conformità agli obiettivi perseguiti dall'art. 14 LUni è pertanto concepibile pretendere da un organismo privato, come in concreto, una denominazione che non possa essere confusa con l'esistente Università della Svizzera italiana. Ad ogni modo, e contrariamente all'opinione dell' associazione ricorrente, tale obbligo non si riferisce alla sua esistenza o al suo nome iscritto nel registro di commercio, bensì esplica effetti diretti solo sulla denominazione dell'istituto d'insegnamento da lei gestito nella comunicazione verso terzi (cfr. anche DTF 97 I 116 consid. 5b). Con il complemento contestato - che peraltro riproduce la natura veritiera, ossia privata, dell'istituto - non sono neppure in discussione, né risultano altrimenti limitate, le attività scientifiche, di ricerca e di insegnamento proposte dalla ricorrente.
b) Per le ragioni descritte, nell'obbligo litigioso non è individuabile una limitazione della libertà della scienza (art. 20 Cost.). Ma quand'anche una restrizione fosse ravvisabile - così come una limitazione delle ulteriori garanzie invocate, quali la libertà d'associazione (art. 23 Cost.) e la libertà economica (art. 27 Cost.), sempreché la ricorrente possa validamente prevalersene, ma il quesito può su questo punto rimanere indeciso - essa sarebbe sorretta da un interesse pubblico sufficiente, inteso ad escludere un rischio latente di confusione con un ateneo pubblico. Inoltre, essa risulterebbe senz'altro idonea e adeguata, quindi proporzionata a tale scopo, poiché inequivocabile relativamente alla natura dell'istituto e di agevole applicazione. Ritenuta poi soddisfatta l'esigenza di una base legale sufficiente - essendo l'art. 14 LUni contenuto in una legge in senso formale e di chiaro tenore - tale restrizione sarebbe pertanto conforme all'art. 36 Cost. A maggior ragione la decisione impugnata non risulta arbitraria, ossia manifestamente insostenibile, destituita di fondamento serio e oggettivo o in palese contrasto con il senso di giustizia e di equità (sulla nozione di arbitrio: DTF 127 I 54 consid. 2b, 60 consid. 5a; 125 I 166 consid. 2a e relativi rinvii). Infine, nella misura in cui la ricorrente censura una pretesa disparità di trattamento (art. 8 Cost.) con altre strutture analoghe a cui non sarebbe imposta la medesima condizione, il gravame è irricevibile per carenza di motivazione (sul cosiddetto principio dell'allegazione v. DTF 117 Ia 393 consid. 1c). In particolare, l'insorgente non evoca, nell'impugnativa, alcun istituto privato, non riconducibile all'Università della Svizzera italiana, a cui il Cantone Ticino avrebbe consentito l'uso del termine "Università" senza dover aggiungere il termine "privata".
4.- L'insorgente contesta inoltre la legittimità dell'obbligo comminatole di posporre alla propria denominazione il complemento "non accreditata". L'imposizione di una tale condizione a un ente, come nel suo caso, di recente costituzione e comunque inteso all'ottenimento di una certificazione di qualità, costituirebbe un intervento arbitrario, non sorretto da una valida base legale, che potrebbe avere un impatto negativo sugli utenti e quindi pregiudicare la serietà dell'iniziativa didattica perseguita.
a) La legge sull'aiuto alle università stabilisce all'art. 5 che sulla base di una convenzione di cooperazione tra la Confederazione e i Cantoni universitari (di cui fa parte, come si è accennato, il Cantone Ticino), può essere istituita la "Conferenza universitaria svizzera" (CUS), ossia un organo comune della politica universitaria con potere decisionale, competente - segnatamente - per riconoscere istituti o cicli di studio (art. 6 cpv. 1 lett. d LAU), come pure per emanare direttive sulla valutazione dell'insegnamento e della ricerca (art. 6 cpv. 1 lett. e LAU). Questo organo, di cui il Cantone Ticino è membro, è stato istituito mediante il concordato intercantonale sul coordinamento universitario, del 9 dicembre 1999 (in seguito:
concordato), a cui il Cantone Ticino ha aderito il 6 giugno 2001, completato dalla convenzione tra la Confederazione e i Cantoni universitari sulla cooperazione nel settore universitario, del 14 dicembre 2000 (RS 414. 205; in seguito: convenzione sulla cooperazione), sottoscritta dal Cantone Ticino il 19 settembre 2001. L'art. 7 LAU, dal titolo marginale "accreditamento e garanzia della qualità", sancisce che la Confederazione, i Cantoni universitari e le università garantiscono e sviluppano la qualità dell'insegnamento e della ricerca (cpv. 1). Il capoverso 2 del disposto stabilisce che la Confederazione e i Cantoni universitari istituiscono, a tale scopo, un organo indipendente incaricato, a destinazione della CUS, di - segnatamente - definire le esigenze relative alla garanzia della qualità e verificare regolarmente la loro osservanza (lett.
a), di formulare proposte per attuare a livello nazionale una procedura che consenta di accreditare le istituzioni che intendono ottenere l'accreditamento per se stesse oppure per taluni dei loro cicli di studio (lett. b) e di verificare in base alle direttive stabilite dalla Conferenza universitaria la legittimità dell'accreditamento (lett.
c). Tale organo, denominato "Organo di accreditamento e di garanzia della qualità" (OAQ), è stato istituito mediante il concordato e la convenzione sulla cooperazione citati, i quali ne precisano le competenze e i compiti.
Ora, queste normative possono determinare procedura e condizioni materiali per il riconoscimento, ma non instaurano alcun obbligo per istituti privati già esistenti o fondati da poco, di sottoporsi a questa procedura di riconoscimento, rispettivamente di offrire cicli di studio che soddisfino le condizioni per un riconoscimento. Inoltre, tale regolamentazione non contiene una disposizione da cui si possa dedurre un obbligo per istituti non riconosciuti o non ancora riconosciuti di recare esplicitamente la menzione "non accreditati". L'esigenza, imposta dal Consiglio di Stato alla ricorrente, di aggiungere il termine "non accreditata" non dispone pertanto di una base legale nella legislazione federale in materia di università, né nelle relative convenzioni, né infine nel regolamento dell'Organo di accreditamento e di garanzia della qualità, del 22 febbraio 2001.
b) Una base legale per l'obbligo di recare la menzione "non accreditata" non può essere ravvisata neppure nella legge per la protezione degli stemmi pubblici, che ha quale scopo di assicurare in modo speciale la protezione dei segni pubblici contro il rischio di un'utilizzazione abusiva nell'ambito commerciale (DTF 116 IV 254 consid. 1a). In particolare, la denominazione della ricorrente non sembra rientrare nel campo d'applicazione della normativa, segnatamente dell'art. 6 della legge per la protezione degli stemmi pubblici, che vieta l'utilizzazione di denominazioni ufficiali del tipo "Confederazione", "federale", "Cantoni", "cantonale", "Comune", "comunale", rispettivamente di "espressioni facili a confondere con queste parole", vietate siccome suscettibili di far supporre erroneamente, a fini commerciali, l'esistenza di una relazione tra l'impresa e la Confederazione, un Cantone o un Comune (DTF 116 IV 254 consid. 1b; 102 IV 46 consid. 3).
Il quesito del campo d'applicazione di questa legge non va comunque approfondito poiché un rischio di confusione con l'ateneo cantonale è già da ritenersi escluso con l'esigenza, fondata sull'art. 14 LUni e non anticostituzionale, di aggiungere il termine "privata" (cfr. consid. 3).
c) Come base legale per la menzione "non accreditata" entra in considerazione solo l'art. 14 LUni, la cui validità va esaminata alla luce dei diritti fondamentali invocati, in primo luogo della libertà economica: la ricorrente ne ravvisa la violazione, in sostanza perché il provvedimento in questione lederebbe la libera promozione della sua attività nel settore dell'insegnamento.
aa) La libertà economica garantita dall'art. 27 cpv. 1 Cost. - e precedentemente (denominata libertà di commercio e d'industria) dall'art. 31 vCost. , di cui riprende essenzialmente i principi e le modalità (cfr. René Rhinow, Die Bundesverfassung 2000, Basilea/Ginevra/Monaco 2000, pag. 307 segg.) - protegge ogni attività economica privata esercitata a titolo professionale, volta al conseguimento di un guadagno o di un reddito (DTF 125 I 267 consid. 2b, 276 consid. 3a; 124 I 310 consid. 3a; RDAT 2001 I n. 45 pag. 175, 2P.11/2000, consid. 5a e relativi rinvii). Essa include in particolare la libera scelta della professione, il libero accesso a un'attività economica privata e il suo libero esercizio (art. 27 cpv. 2 Cost.).
La ricorrente, costituita nella forma di un'associazione ed esercitante un'attività privata d'insegnamento e di ricerca, può da questo profilo senz'altro richiamarsi al precetto (Etienne Grisel, Liberté du commerce et de l'industrie, vol. I, n. 422 pag. 154). Sennonché, nell'esercizio del proprio istituto d'insegnamento l'insorgente agisce, secondo le sue dichiarazioni, senza scopo lucrativo. Ora, il presupposto di un fine economico rientra nella nozione medesima di libertà economica e, come tale, è sempre preteso (Grisel, op. cit. , n. 380 pag. 143; René Rhinow, in:
Commentario della Costituzione federale svizzera del 18 maggio 1874, n. 70 ad art. 31 Cost.). Questa condizione va però relativizzata, nel senso che non necessariamente è richiesto, come obiettivo unico, il conseguimento di un utile o di un profitto (cfr. ZBl 101/2000 pag. 215, 1A.183/1998, consid. 2b): in questo quadro si può riconoscere uno scopo di lucro (in senso ampio), quando per il perseguimento di un fine ideale - come ad esempio per le attività culturali - si sfruttano risorse commerciali per coprire le spese di gestione, ossia si ricercano entrate economiche, necessarie per espletare la propria attività (v. DTF 56 I 431 consid. 1; ZBl 71/1970 pag. 379, P.13/1969, consid. 5; Grisel, op. cit. , n. 236 pag. 98; Rhinow, in: Commentario cit. , n. 71 ad art. 31 Cost. ; Jean-François Aubert, Bundesstaatsrecht der Schweiz, Basilea 1995, vol. II, n. 1873 pag. 1136). Nel caso specifico, la ricorrente necessita senza dubbio di entrate, talora cospicue, per la conduzione del suo istituto e come tale agisce alla ricerca di fondi, finanziati in parte dalle rette degli studenti. A quest'ultimo proposito giova poi rilevare che l'insegnamento non viene dispensato a titolo gratuito, bensì - perlomeno parzialmente - in virtù del versamento di tasse d'iscrizione ai corsi, quale "controprestazione pecuniaria", qualificabile come parte costitutiva della nozione di "attività lucrativa" (cfr. DTF 56 I 431 consid. 1). Ne discende che, gestendo una scuola privata, la ricorrente non persegue uno scopo ideale puro, senza connessione con un impiego di mezzi economici, e può quindi richiamare la protezione della libertà economica (v. Jörg Paul Müller, Grundrechte in der Schweiz, 3a ed., Berna 1999, pag. 647; Giovanni Biaggini, Wirtschaftsfreiheit, in:
Daniel Thürer e altri [editori], Verfassungsrecht der Schweiz, Zurigo 2001, n. 7 pag. 782; nella misura in cui da DTF 80 I 139 consid. 2 e 97 I 116 consid. 4 possa evincersi un'altra opinione, essa non può essere mantenuta).
bb) Conformemente all'art. 36 cpv. 1 Cost. le restrizioni dei diritti fondamentali devono avere una base legale (prima frase). Se gravi, devono essere previste dalla legge medesima (seconda frase). Sono eccettuate le restrizioni ordinate in caso di pericolo grave, immediato e non altrimenti evitabile (terza frase). Qualora sussista una limitazione grave di un diritto fondamentale, il Tribunale federale esamina liberamente se essa poggi su una base legale sufficiente; se non è grave, la cognizione è ristretta all'arbitrio (DTF 124 I 310 consid. 3b; 123 I 212 consid. 3; 122 I 130 consid. 3a/bb e relativi riferimenti; Kälin, op. cit. , pag. 177). Il quesito di sapere se l'obbligo per la ricorrente di aggiungere la menzione "non accreditata" alla propria denominazione configuri una limitazione grave della libertà economica può rimanere indeciso, poiché la censura di una base legale carente è fondata già dal profilo dell'arbitrio.
cc) Anzitutto va premesso che il concetto di "riconoscimento", rispettivamente di "accreditamento", ai sensi della legislazione federale sull'aiuto alle università si riferisce sia ai singoli istituti come pure ai cicli di studio proposti e ai diplomi rilasciati (messaggio n. 98.070 del Consiglio federale del 25 novembre 1998 sul promovimento della formazione, della ricerca e della tecnologia negli anni 2000-2003, FF 1999 pag. 355/356; sul significato del riconoscimento v. anche Plotke, Rechtliche Massnahmen, op. cit. , pag. 67 segg.). Non risulterebbe pertanto sempre chiaro riconoscere d'acchito a che elemento la menzione di non riconoscimento si riferisca, anche se nel caso specifico l'aggettivo femminile "non accreditata" non lascerebbe spazio a dubbi riguardo a un mancato riconoscimento dell'istituto in quanto tale, autodefinitosi "Università".
In secondo luogo va rilevato che un mancato riconoscimento non configura necessariamente uno stato durevole. In effetti, ogni istituto d'insegnamento neocostituito abbisogna generalmente di un certo tempo per ottenere il riconoscimento dei propri cicli di studio e dei diplomi rilasciati, proprio come è stato il caso per il Cantone Ticino con l'USI. All'occorrenza bisognerebbe correggere o relativizzare la precisazione in questione, a seconda dell'evoluzione del processo di accreditamento. Certo, può essere senz' altro concepibile e giustificato, quindi legittimo, che un istituto privato menzioni nella propria pubblicità, in modo veritiero, che dispone di un riconoscimento e quale sia la sua estensione (Plotke, Rechtliche Massnahmen, op. cit. , pag. 69); d'altra parte ci si deve attendere da un istituto corretto che, in virtù del principio della buona fede nei rapporti commerciali, informi nella propria documentazione circa il riconoscimento o il non riconoscimento dei cicli di studio offerti, rispettivamente dei diplomi rilasciati, senza pubblicare dichiarazioni false o adescanti. In questo senso, eventuali disposizioni che obblighino gli istituti privati ad informare correttamente gli utenti interessati non sarebbero sproporzionate. Orbene, nel caso in rassegna la decisione impugnata stabilisce precisamente, nella propria cifra 2, un siffatto obbligo di informazione, che la ricorrente non solo non contesta, ma che, anzi, dichiara di rispettare.
Litigioso è, piuttosto, il quesito di sapere se un istituto d'insegnamento neocostituito possa essere obbligato a indicare, nella propria denominazione, che non è riconosciuto.
Certo, mediante una simile precisazione i potenziali utenti sarebbero informati in modo immediatamente riconoscibile sull'attuale valore della formazione dispensata, non (ancora) riconosciuta ai sensi della legislazione federale sull'aiuto alle università, nella misura in cui i cicli di studio offerti appartengano effettivamente alle categorie d'insegnamento ivi contemplate. Sennonché, tale obbligo - come sostiene a giusto titolo la ricorrente - potrebbe pregiudicare lo sviluppo perseguito dall'istituto e quindi il raggiungimento delle finalità accademiche sancite dagli statuti societari. Considerata questa evenienza alla luce della libertà economica, la misura impugnata non trova riferimento diretto nell'art. 14 LUni, essenzialmente inteso - come rilevato in precedenza - alla tutela del nome dell'università pubblica. Tale disposto, al pari delle altre norme richiamate nella risoluzione querelata, non costituisce, pertanto, una base legale sufficiente per la condizione impugnata. In simili circostanze, le censure ricorsuali di violazione della libertà economica risultano fondate per carenza di base legale, senza che ricorrano gli estremi previsti dall'art. 36 cpv. 1 terza frase Cost.
Stante questo esito, non occorre stabilire se e in quale misura le ulteriori garanzie invocate siano lese. Neppure occorre vagliare la portata delle pratiche che la ricorrente dichiara di avere parallelamente in corso per la certificazione e il riconoscimento di propri corsi presso la Divisione della formazione professionale del Cantone Ticino, secondo le norme della legge ticinese sull'orientamento scolastico e professionale e sulla formazione professionale e continua, del 4 febbraio 1998 (Lorform), oppure presso la Croce Rossa Svizzera, rispettivamente il Dipartimento formazione professionale della Conferenza dei direttori cantonali della sanità.
5.- Per quanto riguarda le ulteriori condizioni, l'insorgente non critica l'obbligo di non usare le denominazioni "Università svizzera" e "Università" accompagnate dalla località Lugano, né quello - come detto in precedenza - di indicare chiaramente agli studenti, già nella fase di informazione e al momento dell'iscrizione, che i titoli rilasciati dalla L.U.de.S. non sono equipollenti a titoli di università statali o accreditate svizzere o dell'UE. Neppure contesta la condizione di indicare chiaramente il nome del relativo ateneo, nel caso in cui il titolo venga dato congiuntamente con una università statale o accreditata svizzera o dell'UE. Censura invece, ritenendolo arbitrario, l'obbligo sancito nella cifra 2 della decisione impugnata di trasmettere all'autorità cantonale i documenti che attestano eventuali accordi di università convenzionate. In che misura questa condizione sia pregiudizievole e anticostituzionale non risulta, o non risulta con sufficiente chiarezza, dalle allegazioni ricorsuali. È comunque legittimo che il Cantone Ticino, sulla base delle convenzioni sottoscritte a livello nazionale in materia di riconoscimento di istituti, cicli di studio o diplomi, voglia formarsi un'opinione sulle operazioni della ricorrente.
6.- Per le ragioni esposte, il ricorso, nella misura in cui è ammissibile, risulta fondato limitatamente alla condizione imposta alla ricorrente di aggiungere alla propria denominazione l'indicazione "non accreditata". Ciò stante, poco importa che l'insorgente abbia introdotto, pendente questa procedura, un'istanza di accreditamento ai sensi della legge sull'aiuto alle università, come traspare dai suoi scritti inviati al Tribunale federale il 21 dicembre 2001 e il 15 gennaio 2002, senza esservi stata invitata, e sulla cui ammissibilità, di conseguenza, non occorre determinarsi.
7.- La ricorrente, parzialmente soccombente, è tenuta a versare una tassa di giustizia ridotta (art. 156 cpv. 3 combinato con gli art. 153 e 153a OG). Visto l'esito del ricorso si rinuncia a gravare di una parte delle spese processuali lo Stato del Cantone Ticino, in ragione della sua parziale soccombenza, dato che non è intervenuto in causa per difendere i propri interessi pecuniari (art. 156 cpv. 2 OG). Esso dovrà però versare alla ricorrente, patrocinata da un legale, un congruo importo a titolo di ripetibili ridotte della sede federale (art. 159 cpv. 1 OG).
Per questi motivi
il Tribunale federale
pronuncia :
1. In quanto ammissibile, il ricorso è parzialmente accolto e la risoluzione del Consiglio di Stato del Cantone Ticino dell'8 maggio 2001 è annullata, nella misura in cui impone alla ricorrente di aggiungere al suo nome l'indicazione "non accreditata". Per il resto il ricorso è respinto.
2. La tassa di giustizia ridotta di fr. 1500.-- è posta a carico della ricorrente.
3. Lo Stato del Cantone Ticino rifonderà alla ricorrente fr. 1500.-- per ripetibili ridotte della sede federale.
4. Comunicazione al patrocinatore della ricorrente, al Consiglio di Stato del Cantone Ticino, al Dipartimento dell'istruzione e della cultura del Cantone Ticino e alla Conferenza universitaria svizzera.
Losanna, 19 febbraio 2002 MDE
In nome della II Corte di diritto pubblico
del TRIBUNALE FEDERALE SVIZZERO:
Il Presidente, Il Cancelliere