BGE 130 IV 121
 
20. Estratto della sentenza della Corte di cassazione penale nella causa C. contro Ministero pubblico del Cantone Ticino e consorti (ricorso per cassazione)
 
6S.403/2003 del 17 giugno 2004
 
Regeste
Art. 322bis in Verbindung mit Art. 27 Abs. 2 StGB; Nichtverhinderung einer strafbaren Veröffentlichung.
Beziehung zwischen dem Delikt der Nichtverhinderung einer strafbaren Veröffentlichung und demjenigen der üblen Nachrede (Art. 173 StGB). Der Verantwortliche gemäss Art. 322bis StGB hat das Recht, unter den im Ehrverletzungstatbestand vorgesehenen Bedingungen den Wahrheitsbeweis zu erbringen (E. 1.6).
Sein allfälliger guter Glaube ist unter dem Gesichtswinkel der fahrlässigen Begehung gemäss Art. 322bis Satz 2 StGB zu berücksichtigen (E. 1.8).
Bei Antragsdelikten ist es nur zulässig, subsidiär gegen den Verantwortlichen gemäss Art. 322bis StGB vorzugehen, wenn vorher gegen den Autor der Veröffentlichung Strafantrag gestellt wurde. Wenn der Autor nicht ermittelt oder in der Schweiz nicht vor Gericht gestellt werden kann, wird von Amtes wegen das Verfahren wegen Nichtverhinderung einer strafbaren Veröffentlichung durchgeführt (E. 2.3).
 
Sachverhalt


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A. Nel maggio 2000 la rivista "L'Inchiesta" pubblicava un articolo non firmato, lanciato in copertina con il titolo "Il potere occulto - Massoneria: gli intrallazzi segreti dei fratelli ticinesi", in cui tra le altre cose si affermava che la massoneria influenzerebbe segretamente la politica, l'economia e la televisione, e che i suoi membri si arricchirebbero a spese del contribuente. Nell'articolo erano contenuti riferimenti anche a persone concrete tra cui A. e B.
In data 8 giugno 2000 A. presentava denuncia penale con querela della parte lesa nei confronti di C., quale redattore responsabile della rivista, e di ignoti per i reati di calunnia, diffamazione, ingiuria e mancata opposizione a una pubblicazione punibile, costituendosi parimenti parte civile. Il 2 agosto 2000 B. presentava denuncia e querela penale nei confronti di C. ed eventualmente altri responsabili con lui, per diffamazione e/o calunnia ed eventualmente altro ravvisabile, poi costituendosi parte civile in sede dibattimentale.
Nel novembre 2000 la medesima rivista pubblicava un servizio non firmato, lanciato in copertina con il titolo "A Lugano coi narcodollari - L'Inchiesta ha simulato un traffico di denaro sporco dal Sudamerica al Ticino. Ecco i fiduciari e gli avvocati che hanno

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abboccato", in cui si accusavano alcuni fiduciari ed avvocati ticinesi di essersi mostrati interessati ad un traffico di denaro sporco dal Sudamerica al Ticino appositamente simulato dalla rivista stessa.
Il 20 febbraio 2001 D., uno dei professionisti citati nel servizio, sporgeva querela penale contro l'articolista ed il redattore della rivista per reati contro l'onore, costituendosi inoltre parte civile.
Infine nel mese di maggio 2001 la rivista in questione ospitava un articolo non firmato, dal titolo "Divise avvelenate - Mobbing, favoritismi e giochi di potere. Così nella polizia cantonale ticinese si sprecano i soldi e si bloccano le riforme", in cui fra le altre cose si accusava E. di essere un assiduo giocatore di azzardo.
Il 25 giugno 2001 E. sporgeva querela penale contro C. per titolo di diffamazione e si costituiva parte civile.
C. si è rifiutato di rilevare il nome dell'autore o degli autori degli articoli sopraccitati, avvalendosi del diritto di non testimoniare previsto all'art. 27bis CP.
B. Con decreto d'accusa del 3 dicembre 2001 il Procuratore pubblico proponeva la condanna di C. ad una multa di fr. 2'500.-, ritenendolo colpevole di ripetuta mancata opposizione a una pubblicazione punibile, commessa intenzionalmente.
C. Con sentenza 11 marzo 2002 il Pretore del distretto di Bellinzona, statuendo sull'opposizione del querelato al decreto d'accusa, dichiarava C. autore colpevole di ripetuta mancata opposizione a una pubblicazione punibile, commessa intenzionalmente, e lo condannava al pagamento di una multa di fr. 1'500.-.
D. In data 8 ottobre 2003 la Corte di cassazione e di revisione penale del Tribunale d'appello (CCRP) respingeva il ricorso per cassazione interposto da C. contro la sentenza pretorile.
E. C. insorge con tempestivo ricorso per cassazione al Tribunale federale contro la sentenza dell'ultima istanza cantonale, chiedendone l'annullamento per violazione del diritto federale.
F. La CCRP rinuncia a presentare osservazioni al ricorso. Il Procuratore pubblico postula la reiezione del gravame. Nelle loro osservazioni le parti civili D. e A. domandano che il ricorso venga respinto, E. domanda che il ricorso venga respinto nella misura della sua ricevibilità. B. è rimasto silente.
Il Tribunale federale ha accolto il ricorso per cassazione.
 


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Dai considerandi:
 
Erwägung 1
1.1 Il ricorrente rimprovera essenzialmente all'autorità cantonale di avergli ingiustamente negato la cosiddetta prova della verità. Egli ritiene infatti che la fattispecie di cui all'art. 322bis CP è da porsi in stretta relazione con una pubblicazione punibile per cui, al fine di valutare la sussistenza o meno di un simile reato, occorre sempre potere entrare nel merito della pubblicazione stessa, esaminando la punibilità di quanto pubblicato, concedendo in particolare al responsabile che non si oppone a una pubblicazione la possibilità di fornire la prova liberatoria come previsto all'art. 173 n. 2 CP. Non ammettendolo al beneficio di tale prova, segnatamente respingendo la richiesta di interrogare a questo scopo 14 testimoni, l'autorità cantonale avrebbe pertanto violato il diritto federale.
Tale norma è parte integrante della recente modifica del diritto penale e procedurale dei mass media, entrata in vigore il 1° aprile 1998. Al centro di questa riforma vi è la necessità di adattare le condizioni poste dal moderno diritto penale al lavoro degli operatori dei media, in modo tale che questi possano adempiere i loro compiti, diventati sempre più importanti per la formazione delle opinioni nella società democratica, senza tuttavia pregiudicare indebitamente altri interessi degni di protezione (FF 1996 IV 450). In ambito di punibilità dei mezzi d'informazione ciò ha comportato il

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conseguente adeguamento al principio della colpa, che rappresenta un pilastro dei moderni sistemi penali ben espresso nel noto brocardo nulla poena sine culpa (v. ad es. DTF 117 IV 369 consid. 17 pag. 391; FELIX BOMMER, Commentario basilese, n. 21 e segg. preliminarmente all'art. 10 CP; MARTIN KILLIAS, Précis de droit pénal général, 2a ed., Berna 2001, pag. 37 e seg.). Alla luce di tale adeguamento il redattore responsabile risponde ora soltanto della propria colpa, senza più doversi assumere la responsabilità risultante da altrui colpa, come invece ancora prevedeva il vecchio art. 27 CP, non a caso molto criticato dalla dottrina (cfr. a questo proposito FRANZ ZELLER, Commentario basilese, n. 1 all'art. 322bis CP e rinvii). In questo senso è stata istituita per il redattore responsabile una punibilità autonoma rispetto a quella dell'autore dell'opera. Essa entra però in linea di conto solo sussidiariamente, ovvero qualora l'autore dell'opera non possa essere individuato o non possa essere tradotto davanti a un tribunale svizzero (art. 27 cpv. 2 CP). La condotta del redattore responsabile è penalmente rilevante se non si è opposto in modo colpevole alla pubblicazione, vale a dire intenzionalmente o per negligenza. Questo a condizione che mediante tale pubblicazione sia stato commesso un reato. L'esistenza di tale reato di riferimento è un presupposto oggettivo esplicitamente enunciato nell'art. 322bis CP, laddove si parla di "una pubblicazione con la quale è commesso un reato". Questo vale anche nella versione tedesca ("eine Veröffentlichung, durch die eine strafbare Handlung begangen wird") e ancora più chiaramente nella versione francese, dove si sottolinea la necessità che la pubblicazione costituisca reato ("une publication constituant une infraction").
Nel caso concreto ciò significa che le pubblicazioni incriminate devono costituire effettivamente una diffamazione ai sensi dell'art. 173 CP, altrimenti si determinerebbe la situazione paradossale ed assurda per cui il redattore responsabile dovrebbe rispondere penalmente per non avere impedito una pubblicazione con la quale non è stato commesso un reato.
1.6 Per quanto riguarda la prova della verità essa deve venire presa in considerazione nella fattispecie sussidiaria alle stesse condizioni di applicazione previste per il reato di riferimento. In caso contrario verrebbe stravolto lo stesso sistema repressivo previsto dal Codice penale in ambito di diffamazione, con il rischio di ammettere la punibilità di un redattore responsabile per la pubblicazione di affermazioni vere e giustificate dall' interesse pubblico (FRANZ RIKLIN, Medialex 2003 pag. 124; lo stesso, Schweizerisches Strafrecht, Allgemeiner Teil I, 2a ed., Zurigo 2002, pag. 249; DENIS BARRELET, Medialex 2002 pag. 101). Anzi, è proprio nella logica del regime di punibilità a cascata giusta l'art. 27 CP permettere al redattore responsabile, che di fatto fa le veci di "incolpato di rimpiazzo", di tentare perlomeno di provare la verità delle affermazioni incriminate. L'interpretazione proposta nella sentenza impugnata non sarebbe del resto nemmeno conciliabile con quanto previsto all'art. 27bis CP, in quanto svuoterebbe di contenuto il diritto del redattore di rifiutarsi di testimoniare sull'identità dell'autore dell'opera. Egli verrebbe infatti messo sotto eccessiva pressione ed implicitamente spinto a rivelare l'autore per liberarsi dalla responsabilità penale sussidiaria, con il rischio di vanificare di fatto gli intenti garantistici esplicitamente perseguiti dal legislatore in ambito di tutela delle fonti giornalistiche (v. FF 1996 IV 477, nonché 480 e segg.).
1.7 Da tutto ciò discende che i giudici cantonali, negando al ricorrente il diritto di fornire la prova della verità, hanno violato il

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diritto federale. Il ricorso va quindi accolto e la sentenza cantonale annullata.
1.8.1 Preliminarmente va evidenziata l'esistenza di aporie logiche che si oppongono ad un'applicazione diretta degli stessi principi elaborati in ambito di prova della verità. La prova della buona fede non riguarda infatti un dato oggettivo, quale appunto la verità o meno delle affermazioni incriminate, bensì una condizione soggettiva del reo. Si pone dunque la questione di sapere se la buona fede cui riferirsi sia quella dell'autore della pubblicazione incriminata oppure quella del responsabile ex art. 322bis CP. Che si possa trattare della buona fede del primo va subito escluso per ragioni di logica materiale, visto che la fattispecie sussidiaria dell'art. 322bis CP entra in azione proprio soltanto nei casi in cui l'autore della pubblicazione non può essere individuato o non può essere tradotto davanti a un tribunale svizzero (art. 27 cpv. 2 CP). A questo proposito si potrebbero formulare solo delle ipotesi teoriche, impossibili da verificare nella pratica e quindi sostanzialmente vane.
1.8.2 Verificabile nella pratica è invece la buona fede del responsabile ex art. 322bis CP. Si tratta di una condizione soggettiva che non può tuttavia venire direttamente considerata dal profilo dell'art. 173 n. 2 CP, visto che tale norma fa riferimento esclusivo alla buona fede del colpevole di diffamazione e non a quella di altre persone. La condizione soggettiva del responsabile massmediatico va piuttosto esaminata in applicazione della variante colposa del reato di cui all'art. 322bis CP. In questo senso colui che senza commettere imprevidenza colpevole ai sensi dell'art. 18 cpv. 3 CP ha in buona fede ritenuto vere le affermazioni incriminate e per questo motivo non ne ha impedito la pubblicazione, non adempie la fattispecie di mancata opposizione a una pubblicazione punibile. Si rende invece colpevole di mancata opposizione colposa (art. 322bis seconda frase CP) il responsabile che non ha usato le precauzioni di vigilanza redazionale alle quali era tenuto secondo le circostanze

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e la sua situazione personale. Nel ponderare tali precauzioni sono da tenere presenti il genere di mezzo di comunicazione utilizzato, i rischi specifici ad esso connessi ed il grado di fiducia che il responsabile massmediatico può riporre nella correttezza di comportamento dei propri collaboratori, tenendo presenti il principio dell'affidamento nonché la massima "ultra posse nemo tenetur" (ANDREAS DONATSCH/WOLFGANG WOHLERS, Strafrecht IV, 3a ed., Zurigo 2004, pag. 506). La questione della buona fede non va dunque affrontata alla stregua di una prova liberatoria posta nelle mani dell'accusato, ma bensì come indicazione per valutare se sono dati o meno gli elementi di tipicità del reato colposo. In questi casi spetta di conseguenza alla pubblica accusa dimostrare che l'accusato ha violato un dovere di diligenza, che, se rispettato, avrebbe permesso all'accusato stesso di accorgersi della punibilità della pubblicazione che egli ha invece omesso di impedire.
 
Erwägung 2
2.3 La formulazione dell'art. 322bis CP è quella di un reato perseguibile d'ufficio: la procedibilità non è subordinata ad una querela penale. D'altro canto, come già sottolineato ai consid. 1.3 e 1.8.1, l'art. 27 cpv. 2 CP prescrive che il redattore responsabile, rispettivamente la persona responsabile della pubblicazione, sia punibile ex art. 322bis CP solamente qualora l'autore dell'opera non possa essere individuato o non possa essere tradotto davanti a un tribunale svizzero (principio della responsabilità sussidiaria). Si presuppone dunque che l'autore, qualora fosse individuabile, rispettivamente giudicabile da parte di un tribunale svizzero, sarebbe egli stesso

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punibile per il reato di riferimento. Di conseguenza se quest'ultimo reato è punibile solo a querela di parte, come ad esempio nel caso di reati contro l'onore, il reato previsto all'art. 322bis CP entra in linea di conto soltanto se in precedenza è stata correttamente sporta querela penale contro l'autore stesso della pubblicazione (così anche DONATSCH/WOHLERS, op. cit., pag. 506; RIKLIN, Strafrecht, op. cit., § 20 n. 22; ZELLER, op. cit., n. 9; SIMON CANONICA, Medialex 2000 pag. 64). Da questo profilo la recente riforma del diritto penale dei mass media comporta delle importanti novità anche nelle modalità d'esercizio del diritto di querela, tali da permettere una semplificazione del sistema. In base al vecchio diritto, infatti, se l'autore della pubblicazione punibile non poteva venire scoperto, la parte lesa doveva esplicitamente richiedere che si procedesse contro il redattore. Per fare ciò occorreva però attendere che fossero adempiute le condizioni di punibilità di quest'ultimo, giusta l'art. 27 n. 3 vCP (DTF 70 IV 145 consid. 1 pag. 149 e seg.). Spesso, per non correre rischi, la parte lesa doveva così sporgere querela in due tempi: dapprima contro l'autore ignoto e solo in seguito, qualora questi non venisse identificato, contro il redattore. Ora invece, in base al nuovo diritto, è sufficiente - ma comunque in ogni caso necessaria - una sola querela contro l'autore, noto o ignoto che sia. Se l'autore non può essere individuato o non può venire tradotto davanti a un tribunale svizzero, subentra d'ufficio la procedura per il reato di mancata opposizione a pubblicazione punibile. In questo senso il ruolo della parte lesa nel procedimento per reati commessi mediante mass media è oggi più circoscritto, ferma restando la possibilità della desistenza dalla querela (art. 31 CP). In particolare, contrariamente a prima, non ricade più nella sua sfera di competenza la decisione di agire contro il redattore, se i responsabili del mezzo d'informazione si rifiutano di indicare il nome dell'autore oppure forniscono risposte evasive (v. per quanto riguarda la vecchia prassi DTF 76 IV 65 consid. 2 pag. 67). Da parte sua l'autorità procederà in base all'art. 322bis CP contro il redattore, o eventualmente contro altri responsabili, soltanto dopo avere ineccepibilmente chiarito se l'autore della pubblicazione incriminata è individuabile e se può essere tradotto davanti a un tribunale svizzero.
2.4 Da tutto ciò discende che, contrariamente a quanto affermato nella sentenza impugnata, l'esistenza o meno di una querela valida è decisiva per il giudizio sulla punibilità del redattore giusta l'art. 322bis CP. Tuttavia in base all'art. 29 CP il termine di tre mesi per

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esercitare il diritto di querela comincia a decorrere solo dal momento in cui l'avente diritto ha conosciuto l'autore del reato. È quindi palese che tale condizione non è qui adempiuta, per cui la querela non può venire considerata tardiva. Il problema della tardività assume dunque rilevanza effettiva solo nei casi, anch'essi previsti all'art. 27 cpv. 2 CP, in cui l'autore, pur essendo conosciuto dalla parte lesa, non può essere tradotto davanti a un tribunale svizzero.