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Informationen zum Dokument  BGE 96 II 428  Materielle Begründung
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Regeste
Sachverhalt
Considerando in diritto:
1. Il presente ricorso è diretto contro una decisione preg ...
2. Ci si può invero chiedere se la decisione impugnata non ...
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55. Sentenza 8 dicembre 1970 della I. Corte civile nella causa Real Estate Investment Company AG contro Pavetto e Naman.
 
 
Regeste
 
Berufung. Gerichtsstandsklausel. Staatsvertrag zwischen der Schweiz und Frankreich vom 15. Juni 1869 über den Gerichtsstand und die Vollstreckung von Urteilen in Zivilsachen.  
2. Art. 3 des erwähnten Staatsvertrages zwischen der Schweiz und Frankreich ist keine zwingende Bestimmung, sondern stellt nur eine Ausnahme dar zu Art. 1 und 2, deren nachgiebigen Charakter er unterstreicht (Erw. 2).  
 
Sachverhalt
 
BGE 96 II, 428 (429)A.- Il World Investment Fund, rappresentato dalla Real Estate Investment Company AG, che ha sede a Zugo, ha concluso il 14 aprile 1965 con Michel Pavetto e Charles Naman, entrambi domiciliati a Marsiglia, una convenzione. Essa riguarda, da una parte, la partecipazione di questi ultimi ad una società civile immobiliare avente per oggetto la costruzione di un grande immobile a Marsiglia, e dall'altra, la partecipazione del World Investment Fund a tale società a titolo fiduciario per Pavetto e Naman. La convenzione contiene la seguente clausola:
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"Le droit applicable à cette convention est le droit suisse for à la compétence des Tribunaux à Lugano. Les parties se réservent de soumettre tout différend à la réglementation arbitrale".
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Tra le parti sono presto sorte divergenze. Mediante petizione del 27 giugno 1969 alla Camera civile del Tribunale di appello del Cantone Ticino, la Real Estate Investment Company AG, dichiarando d'agire nella qualità di direzione del World Investment Fund, ha reclamato da Pavetto e Naman il pagamento d'una somma di fr. 900'454.50 oltre interessi al 6% a partire dal 1. gennaio 1969. I convenuti hanno contestato la veste attiva della Real Estate Investment Company AG e negato la competenza del giudice ticinese.
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B.- Con sentenza del 2 luglio 1970, la Camera civile del Tribunale di appello del Cantone Ticino ha declinato d'ufficio la propria competenza ad occuparsi del caso. Essa ha rilevato che nessuna delle parti ha domicilio o sede nel cantone, al quale è pure estraneo l'oggetto della lite. Secondo la Corte cantonale, la clausola di prorogazione di foro non basta per attribuire la vertenza ad una giurisdizione creata "per i bisogni della nostra popolazione".
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C.- La Real Estate Investment Company AG impugna questa sentenza davanti al Tribunale federale mediante un tempestivo ricorso per riforma. Essa chiede l'annullamento del BGE 96 II, 428 (430)giudizio e il rinvio degli atti alla Corte cantonale perchè dia seguito alla domanda.
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D.- Gli intimati propongono di dichiarare il ricorso irricevibile, in via subordinata di respingerlo.
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Considerando in diritto:
 
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Secondo la costante giurisprudenza del Tribunale federale (RU 56 II 387, 57 II 115, 76 II 249, 87 III 27), approvata dalla dottrina predominante (GULDENER, Zivilprozessrecht, p. 85; VOYAME, RDS 1961 p. 150; BIRCHMEIER, Bundesrechtspflege, p. 177 in alto; WURZBURGER, Les conditions objectives du recours en réforme au Tribunal fédéral, Losanna 1964, p. 104 e 218; in senso contrario: FISCHER, Les conventions de prorogation de for, Losanna 1969, p. 91), la convenzione di prorogazione di foro attiene alla procedura; il rifiuto del giudice di considerare una convenzione di prorogazione che deroga a una regola di diritto dispositivo federale concerne quindi il diritto processuale cantonale.
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Nella fattispecie, la clausola litigiosa, stabilendo il foro a Lugano, consacra una deroga all'art. 1 della Convenzione franco-svizzera del 15 giugno 1869 sulla competenza di foro e l'esecuzione delle sentenze in materia civile, il cui carattere di diritto dispositivo è attestato dal successivo art. 3. Ne consegue che la decisione impugnata non poggia sul diritto federale. La ricorrente stessa, del resto, non invoca alcuna violazione di questo diritto, e tutte le sue censure si limitano a concernere una pretesa erronea applicazione delle norme della procedura ticinese. Il ricorso per riforma appare quindi, in tali circostanze, irricevibile (art. 43 OG).
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2. Ci si può invero chiedere se la decisione impugnata non sia alle volte incompatibile con l'art. 3 della citata Convenzione franco-svizzera, in virtù del quale "se il domicilio venne eletto in un luogo che non è quello di domicilio del convenuto, il giudice del domicilio eletto è solo competente per pronunciare giudizio sulle difficoltà sorte per causa dell'esecuzione del BGE 96 II, 428 (431)contratto". In effetti, sebbene si riferisca all'elezione del domicilio, si ammette comunemente che tale norma concerna altresì la clausola di prorogazione di foro (cfr. il Messaggio del Consiglio federale del 28 giugno 1869, pubblicato nel FF, ed. in lingua francese, anno 1869, II, p. 505; sentenza del Tribunale federale del 6 ottobre 1888, riferita da CLUNET, Journal du droit international privé, anno 1890, p. 383; ROGUIN, Conflits de lois suisses, Lausanne 1891, p. 678 e segg.; PILLET, Les conventions internationales relatives à la compétence judiciaire et à l'exécution des jugements, Paris 1913, p. 116). Ed è evidente che, se la citata regola fosse di diritto imperativo, la cui applicazione si impone al giudice del domicilio eletto, la decisione impugnata consacrerebbe la violazione d'una norma cogente del diritto civile federale, censurabile d'ufficio dal Tribunale federale giusta l'art. 63 OG.
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Sennonchè, si deve riconoscere che l'art. 3 della Convenzione franco-svizzera non ha questo senso nè questa natura. Esso sta in relazione con gli art. 1 e 2, cui apporta un correttivo, nel senso che queste due ultime norme sono di diritto dispositivo ed è possibile derogarvi con una prorogazione di foro. Risulta del resto chiaramente dal citato Messaggio del Consiglio federale che la Convenzione franco-svizzera ha semplicemente inteso consacrare il diritto delle parti di eleggere un domicilio, rispettivamente di prorogare il foro (cfr. il Messaggio, loc.cit.). Ciò corrisponde d'altra parte al testo del precedente trattato del 1828, al quale, secondo lo stesso Messaggio, l'art. 3 della Convenzione non apporta nulla di nuovo: ora, tale testo esprime una semplice facoltà di derogare al giudice naturale ed istituisce quindi una norma non cogente (v. il testo citato da AUJAY, Etudes sur le Traité franco-suisse du 15 juin 1869, Paris 1903, p. 412). Aujay (op. cit., p. 416) insegna invero che le parti possono scegliere uno qualunque dei tribunali francesi o svizzeri: il tribunale eletto, in tal caso, non può dichiararsi incompetente a causa dell'estraneità delle parti. Lo scopo dell'art. 3 della Convenzione si rivela pertanto come quello di escludere per gli Svizzeri l'eccezione di estraneità che i tribunali francesi sollevavano d'ufficio nei confronti di stranieri, anche qualora le parti avessero loro convenzionalmente attribuito tale competenza (cfr. GAUDEMET, La prorogation volontaire de juridiction en droit international privé, Paris 1965, p. 227). Ma ciò non significa che ogni tribunale debba dichiararsi competente BGE 96 II, 428 (432)pure nel caso in cui esso avrebbe declinato la propria competenza trattandosi di una lite tra cittadini svizzeri.
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Secondo il diritto ticinese, il giudice può, anche se adito in virtù di una prorogazione di foro, rifiutare di statuire, quando la vertenza non ha alcun legame di connessione, personale o reale, con il territorio del cantone (v. la sentenza impugnata; inoltre, RGP 1967, p. 117/118 e la sentenza inedita del Tribunale federale del 10 settembre 1966 nella causa Società Anastasia contro Auf der Maur e Co AG). E, questa, una regola che il giudice ticinese può opporre a due cittadini svizzeri domiciliati in Svizzera, fuori del Ticino. Ora, in materia di pretese personali, l'oggetto della Convenzione è di porre una regola di competenza di carattere dispositivo, non di creare un privilegio che accordi a cittadini - uno dei quali francese - ciò che la legge non accorda a due giudicabili entrambi svizzeri.
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Si deve quindi concludere che l'art. 3 della Convenzione franco-svizzera non è una norma cogente, ma costituisce soltanto un'eccezione agli art. 1 e 2, di cui sottolinea il carattere di diritto dispositivo. Esso mira ad escludere che venga opposta a una prorogazione di foro l'eccezione di estraneità. La prorogazione di foro prevista da questa norma deroga quindi a una regola dispositiva di diritto federale. Spetta di conseguenza alla giurisdizione cantonale decidere sovranamente, in applicazione del diritto cantonale, se si considera vincolata da una siffatta prorogazione (v. al riguardo Eugen CURTI, Der Staatsvertrag zwischen der Schweiz und Frankreich betreffend den Gerichtsstand und die Urteilsvollziehung, Zurigo 1879, p. 67; LEUCH, Berner ZPO, n. 5 in fine all'art. 27; cfr. pure RU 18 p. 775 consid. 2).
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Ne consegue che il ricorso per riforma, diretto contro una sentenza fondata sul diritto processuale cantonale, è irricevibile.
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Il Tribunale federale pronuncia:
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Il ricorso è irricevibile.
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