BGer 1A.119/2005 | |||
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BGer 1A.119/2005 vom 13.07.2005 | |
Tribunale federale
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{T 0/2}
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1A.119/2005 /viz
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Sentenza del 13 luglio 2005
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I Corte di diritto pubblico
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Composizione
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Giudici federali Féraud, presidente,
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Reeb, Eusebio,
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cancelliere Crameri.
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Parti
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A.________, attualmente in detenzione estradizionale, presso il Penitenziario cantonale "La Stampa",
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ricorrente, patrocinato dall'avv. D.________,
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contro
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Ufficio federale di giustizia, Divisione assistenza giudiziaria internazionale, Sezione estradizioni, Bundesrain 20, 3003 Berna.
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Oggetto
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estradizione all'Italia,
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ricorso di diritto amministrativo contro la decisione del 1° aprile 2005 dell'Ufficio federale di giustizia.
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Fatti:
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A.
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Il 9 giugno 2004 Interpol Roma ha chiesto alle autorità svizzere l'arresto ai fini estradizionali di A.________, cittadino greco e turco. L'interessato è stato arrestato il 16 novembre 2004 a Chiasso sulla base di un ordine di arresto in vista d'estradizione emesso dall'Ufficio federale di giustizia (UFG): egli si è opposto all'estradizione semplificata. Con nota del 3 dicembre 2004 l'Ambasciata d'Italia a Berna ha presentato una domanda formale di estradizione fondata sul provvedimento di unificazione pene e ordine di esecuzione spiccato il 7 febbraio 1997 dalla Procura generale della Repubblica presso la Corte d'appello di Milano per l'espiazione di una pena residua di 10 anni, 10 mesi e 3 giorni di reclusione. Ciò in relazione a due sentenze definitive di condanna: una della Corte d'appello di Roma del 4 maggio 1985, della durata di otto anni, divenuta irrevocabile il 25 giugno 1985, confermativa del giudizio del 25 maggio 1982 del Tribunale di Roma, l'altra della Corte d'Appello di Milano del 15 gennaio 1996, divenuta irrevocabile il 9 marzo 1996, confermativa della sentenza del 13 ottobre 1994 del Giudice per le indagini preliminari (GIP) presso il Tribunale di Milano, della durata di tre anni.
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Ammesso d'essere a conoscenza di questi giudizi, l'estradando ha sostenuto che si tratterrebbe del perseguimento degli stessi reati per i quali è stato condannato in Svizzera nel 1983. Nel 1981 l'Italia aveva inoltre già presentato una domanda di estradizione, poi ritirata.
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B.
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Il 10 dicembre 2004 l'UFG ha chiesto all'Italia di completare la richiesta, trasmettendo in particolare una copia conforme della sentenza del 13 ottobre 1994 del GIP. L'estradando, nel suo memoriale, completato il 17 gennaio 2005, ha ribadito la sua opposizione. Dopo che le autorità italiane, dando seguito alla richiesta dell'UFG avevano completato la domanda, precisando in particolare l'esercizio dei diritti della difesa nell'ambito dei procedimenti penali e che l'interessato si era pronunciato al riguardo, con decisione del 1° aprile 2005 l'UFG ha concesso l'estradizione.
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C.
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A.________ impugna questa decisione con un ricorso di diritto amministrativo al Tribunale federale. Chiede di annullarla, di essere posto al beneficio dell'assistenza giudiziaria e di aumentare l'indennità del patrocinatore d'ufficio corrisposta dall'UFG da fr. 3'500.-- a fr. 5'000.--.
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L'UFG propone di respingere il ricorso. Con osservazioni del 23 giugno 2005 il ricorrente si riconferma nelle proprie conclusioni.
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Diritto:
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1.
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1.1 L'estradizione fra l'Italia e la Svizzera è retta dall'omonima Convenzione europea del 13 dicembre 1957 (CEEstr; RS 0.353.1) e dal Secondo Protocollo addizionale, conchiuso il 17 marzo 1978 (RS 0.353.12). La legge federale del 20 marzo 1981 sull'assistenza internazionale in materia penale (AIMP) e l'ordinanza del 24 febbraio 1982 (OAIMP) sono applicabili alle questioni che la prevalente Convenzione internazionale non regola espressamente o implicitamente (cfr. art. 1 cpv. 1 AIMP), come pure quando il diritto nazionale sia più favorevole all'estradizione di quello convenzionale (DTF 123 II 134 consid. 1a, 122 II 140 consid. 2 pag. 142, 373 consid. 1a), riservato il rispetto dei diritti dell'uomo (DTF 123 II 595 consid. 7c pag. 616 seg.).
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1.2 L'atto impugnato è una decisione secondo l'art. 55 cpv. 1 AIMP, contro cui il ricorso di diritto amministrativo è ammissibile giusta il rinvio dell'art. 55 cpv. 3 all'art. 25 AIMP (DTF 130 II 337 consid. 1.2).
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1.3 Il Tribunale federale fruisce in questo ambito di piena cognizione, ma deve attenersi all'esposto dei fatti contenuto nella domanda di estradizione, salvo ch'esso risulti erroneo, lacunoso o contraddittorio (DTF 123 II 134 consid. 1d, 279 consid. 2b). Nell'applicazione del principio dell'ufficialità, esso è però tenuto a rispettare i limiti della lite, poiché non gli competono funzioni di vigilanza (DTF 130 II 337 consid. 1.4, 123 II 134 consid. 1d, 112 Ib 576 pag. 586 in medio). Anche se il Tribunale federale esamina il ricorso con piena cognizione, spetta al giudice estero del merito, e non al giudice svizzero dell'estradizione, pronunciarsi sulla colpevolezza della persona perseguita (DTF 122 II 373 consid. 1c e rinvii, 112 Ib 215 consid. 5b pag. 220).
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1.4 La legittimazione del ricorrente, colpito dal provvedimento di estradizione, è pacifica (art. 21 cpv. 3 AIMP). Il ricorso, tempestivo, ha effetto sospensivo per legge (art. 21 cpv. 4 AIMP).
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2.
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2.1 Il ricorrente accenna dapprima al fatto che l'UFG non avrebbe esaminato il quesito della prescrizione alla luce dell'art. 172 CP italiano, secondo il quale le pene apparirebbero prescritte. L'estradizione dovrebbe quindi essere rifiutata in applicazione dell'art. 5 AIMP. L'assunto manifestamente non regge.
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2.2 L'art. 10 CEEstr dispone che l'estradizione non sarà consentita se la prescrizione dell'azione o della pena è acquisita secondo la legislazione della parte richiedente o della parte richiesta. Ora, con nota 19 marzo 2005 il Ministero della giustizia italiano ha rilevato che, sulla base dell'invocata norma, la sentenza della Corte d'appello di Milano non è prescritta. Il 25 maggio 2005 esso ha confermato che anche la pena di cui alla sentenza 4 maggio 1985 della Corte di appello di Roma non è prescritta, in quanto è stata ritenuta la continuazione dei fatti: in tal caso, secondo l'allegata prassi della Corte suprema, il termine di prescrizione decorre dal momento in cui la seconda sentenza è divenuta definitiva; nella fattispecie il 9 marzo 1996. Richiamando semplicemente l'art. 271 CP italiano, concernente l'estinzione delle pene per decorso del tempo, il ricorrente, che non si esprime sull'argomento addotto dall'Autorità richiedente, non rende verosimile che l'esecuzione della pena sarebbe prescritta, né ciò è ravvisabile in concreto. Nella replica egli, richiamando il principio della celerità nell'ambito dell'esecuzione delle pene, illustrato nella DTF 130 I 269, si limita a sostenere che la sentenza milanese, riferibile a fatti accaduti nel 1981, violava probabilmente l'invocato principio. Accenna inoltre all'inattività delle autorità italiane e alla decisione del Pubblico ministero di Milano, del 1994, di rilasciarlo nonostante la crescita in giudicato della sentenza, circostanza che militerebbe a suo giudizio in favore della rinuncia all'esecuzione della pena. Egli non fa tuttavia valere d'aver sollevato tali questioni, comunque non decisive, nell'ambito del procedimento estero.
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3.
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3.1 Il ricorrente, riconosciuto che i diritti della difesa sono stati rispettati riguardo alla sentenza milanese, sostiene che lo stesso non varrebbe per il procedimento svoltosi a Roma. Egli ammette che il 3 aprile 1981 venne a conoscenza della possibilità di difendersi, ma visto che l'Italia, il 10 luglio 1981, aveva ritirato la domanda di estradizione poteva pensare che la procedura, contumaciale, fosse conclusa. Aggiunge ch'egli non avrebbe potuto parlare con il suo difensore d'ufficio e sostiene che non avrebbe rinunciato volontariamente a difendersi.
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3.2 Occorre quindi esaminare se il procedimento contumaciale estero non avrebbe rispettato i diritti minimi della difesa previsti dall'art. 6 CEDU e dall'art. 37 cpv. 2 AIMP, norme che s'ispirano all'art. 3 del titolo III del Secondo protocollo addizionale alla CEEstr (FF 1995 III 21). Le citate norme dispongono che l'estradizione può essere negata se la domanda si fonda su una sentenza contumaciale e la procedura giudiziale non ha rispettato i diritti minimi della difesa, eccetto quando lo Stato richiedente offra garanzie ritenute sufficienti per assicurare alla persona perseguita il diritto a un nuovo processo che li salvaguardi.
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Secondo la giurisprudenza degli Organi di Strasburgo, l'art. 6 CEDU è violato se il condannato, che non ha avuto conoscenza della sua citazione ai dibattimenti e non ha cercato di sottrarsi alla giustizia, non può ottenere di far riassumere il processo che alla condizione di provare d'essere stato impedito, per forza maggiore, di presentarsi. L'art. 6 CEDU non esige, in linea di massima, che il condannato in contumacia possa ottenere in ogni caso e senza condizioni la revoca del giudizio contumaciale, ma soltanto ch'egli possa far riassumere il processo allorquando sia accertato che non abbia avuto conoscenza dei procedimenti avviati nei suoi confronti. L'onere della prova a tal proposito non può essergli imposto; spetta allo Stato dimostrare ch'egli si è intenzionalmente sottratto alla giustizia, ritenuto che la rinuncia a un diritto garantito dalla Convenzione dev'essere stabilita in maniera non equivoca (sul tema v. DTF 129 II 56 consid. 6.2 e rinvii; sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo del 12 ottobre 1992 nella causa T., serie A, vol. 245-C, n. 26 seg. e del 23 novembre 1993 nella causa Poitrimol, serie A vol. 277 A n. 31; Laurent Moreillon (editore), Entraide internationale en matière pénale, Basilea 2004, n. 7-12 all'art. 37 AIMP; Claude Rouiller, L'extradition du condamné par défaut: illustration des rapports entre l'ordre constitutionnel autonome, le "jus cogens" et le droit des traités, in: Etudes en l'honneur de Jean-François Aubert, Basilea, 1996, pag. 647 segg.; Stefan Heimgartner, Auslieferungsrecht, tesi Zurigo 2002, pag. 138 segg.). La giurisprudenza del Tribunale federale si basa sulle medesime concezioni (DTF 117 Ib 337 consid. 5b; cfr. anche DTF 127 I 213 consid. 3 e 4).
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3.3 L'art. 3 del Titolo III del Secondo protocollo addizionale alla CEEstr, applicabile nei rapporti con l'Italia (DTF 129 II 56 consid. 6.1 in fine), concerne, in materia estradizionale, le citate garanzie offerte dall'art. 6 CEDU (DTF 117 Ib 337 consid. 5c). Questo disposto si riferisce al parere dello Stato richiesto; questo, nell'accertare se la procedura contumaciale abbia o meno salvaguardato i diritti della difesa, dispone dunque di un vasto potere di apprezzamento, che dipende dalle circostanze del caso concreto. In genere, la persona condannata in contumacia non può esigere incondizionatamente il diritto di essere giudicata di nuovo (DTF 129 II 56 consid. 6.2 con numerosi riferimenti alla prassi della Corte europea; Robert Zimmermann, La coopération judiciaire internationale en matière pénale, 2a ed., Berna 2004, n. 452, 453 e 453-1).
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3.4 Dall'interrogatorio in via rogatoriale del 3 aprile 1981 dinanzi al Giudice istruttore sostituto sottocenerino e alla presenza del Giudice istruttore di Roma, che aveva presentato la domanda, il ricorrente aveva rilevato di non aver ancora nominato un difensore, che comunque gli sarebbe stato designato d'ufficio, qualora avesse ritenuto di doverne fare richiesta. Preso atto delle accuse mossegli, egli, contestatele, si era pronunciato dettagliatamente sulle stesse. Dagli atti di causa, e come ritenuto dall'UFG e peraltro non contestato dal ricorrente, nell'ambito del procedimento contumaciale romano egli era difeso dall'avvocato d'ufficio B.________. Dalla sentenza di primo grado del Tribunale di Roma del 25 maggio 1982 risulta inoltre, come visto, ch'egli era stato udito per rogatoria. Dalla sentenza 4 maggio 1985 della Corte d'appello di Roma, nel cui procedimento il ricorrente è stato ritenuto latitante-contumace, l'avviso era stato dato all'avv. C.________ ed era stato difeso dal citato avvocato d'ufficio.
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Il Tribunale federale ha già avuto occasione di stabilire che qualora l'interessato non partecipi personalmente al processo, ma si faccia rappresentare da un avvocato di sua scelta (o d'ufficio), conformemente a quanto previsto anche dall'art. 14 n. 3 lett. d del Patto ONU II, si può giungere, a determinate condizioni, a due soluzioni: o questi ha cercato deliberatamente di sottrarsi alla giustizia o, eventualmente, egli potrà far riassumere il procedimento contumaciale; in siffatte ipotesi, i diritti minimi della difesa non sono lesi (vedi, per le sentenze concernenti l'Italia, DTF 129 II 56 consid. 6.2 pag. 60 con riferimenti).
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3.5 Nell'ambito del procedimento di prima istanza, di cui ha avuto conoscenza, il ricorrente era patrocinato da un difensore d'ufficio e ha potuto esprimersi sui fatti rimproveratigli nell'ambito della citata audizione rogatoriale. Dal menzionato interrogatorio risulta ch'egli era a conoscenza del procedimento penale, delle accuse mossegli, sulle quali ha potuto pronunciarsi, come pure della facoltà di nominare un avvocato di fiducia o di farsi rappresentare da un difensore d'ufficio. In effetti il suo patrocinatore d'ufficio ha partecipato al dibattimento e ha potuto formulare conclusioni. Il ricorrente non asserisce poi che non gli sarebbe stata comunicata la data del dibattimento. In siffatte circostanze non si può sostenere che i diritti minimi della difesa non sarebbero stati salvaguardati (cfr. DTF 129 II 56 consid. 6.3). Il ricorrente, ammesso che il 3 aprile 1981 era stato informato del procedimento pendente nei suoi confronti e della facoltà concessagli di difendersi, rileva nondimeno che il 10 luglio 1981 l'Italia aveva ritirato la domanda di estradizione presentata il 12 maggio 1981, per cui poteva pensare che la procedura fosse conclusa. Questa circostanza non è decisiva. In effetti, il ritiro della domanda, verosimilmente dovuta al fatto che il ricorrente era stato udito per rogatoria, è avvenuto comunque oltre tre mesi dopo. Il ricorrente, che venne arrestato in Svizzera soltanto nel novembre 1982, disponeva quindi del tempo necessario per preparare la sua difesa, per informarsi sul prosieguo del procedimento e per scegliere liberamente se partecipare personalmente o meno al processo: si può pertanto ritenere ch'egli vi abbia rinunciato in maniera non equivoca
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Il ricorrente accenna inoltre al fatto che non avrebbe avuto la possibilità di conferire con il suo difensore: egli non fa tuttavia valere di non aver avuto conoscenza della condanna contumaciale di primo grado e nemmeno di non aver potuto far uso dei rimedi di diritto contro la stessa, impugnata dal suo difensore d'ufficio dinanzi alla Corte di appello. Né egli spiega perché queste procedure, nel loro insieme, avrebbero leso i diritti minimi della difesa e osterebbero quindi all'estradizione (cfr. Heimgartner, op. cit., pag. 132 e segg.).
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3.6 Il ricorrente, limitandosi a trascrivere parte della sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo nella causa Ismet Sejdovic contro l'Italia del 10 novembre 2004 (richiesta n. 56581/00), disattende che la fattispecie è diversa. Nell'invocata sentenza, contrariamente al caso in esame, è stato ritenuto che le autorità italiane non avevano potuto notificare all'interessato l'invito a nominare un difensore di fiducia, per cui ne era stato nominato uno d'ufficio (n. 10). In quella vertenza, sempre contrariamente al caso di specie, dall'incarto non era desumibile se il richiedente aveva avuto ufficialmente conoscenza delle accuse mossegli (n. 15). Nella causa Tamas Somogyi contro l'Italia, del 18 maggio 2004 (richiesta n. 67972/01), la Corte europea dei diritti dell'uomo, accertato che non si era potuto stabilire se il richiedente aveva ricevuto l'avviso che fissava l'udienza preliminare, evenienza non addotta in questa vertenza, ha ritenuto che, in assenza di un controllo scrupoloso, non si poteva stabilire se la sua rinuncia a partecipare all'udienza era o meno equivoca (n. 68).
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3.7 Nella causa Sejdovic, la Corte ha inoltre ritenuto che l'art. 175 CPP italiano, concernente lo spurgo di una sentenza contumaciale le cui condizioni erano già state ritenute non del tutto chiare dal Tribunale federale (sentenza 1A.251/1997 del 20 novembre 1997, consid. 4), non garantisce con un sufficiente grado di certezza e in maniera incondizionata all'accusato, che non è mai stato informato in maniera effettiva del perseguimento penale, la possibilità di partecipare e di difendersi nel quadro di un nuovo procedimento (n. 38 e 40). Ciò è stato riconosciuto come dovuto a un problema risultante dalla legislazione italiana in materia di processi contumaciali concernenti più persone, per cui si imponeva l'adozione di misure di carattere generale tendenti a impedire il ripetersi di violazioni analoghe. La Corte ha quindi invitato l'Italia a sopprimere ogni ostacolo legale che potrebbe impedire la restituzione del termine per proporre l'impugnazione (n. 44-47). Sulla base di questa giurisprudenza, il ricorrente potrebbe pertanto, dandosene i presupposti, chiedere all'autorità estera di applicare l'art. 175 CPP italiano in maniera conforme alla prassi appena citata. Anche in considerazione di questa circostanza non si giustifica di rifiutare l'estradizione. Non vi è infatti motivo di ritenere che l'Italia, all'occorrenza, non rispetterà e applicherà quanto stabilito dalla Corte europea dei diritti dell'uomo.
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4.
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4.1 Il ricorrente ravvisa poi un diniego di giustizia, poiché l'UFG si sarebbe rifiutato di esaminare le censure concernenti la pretesa violazione del principio della buona fede in relazione al suo asserito ruolo di agente infiltrato. La tesi è infondata, visto che l'Autorità federale ha esaminato questa censura (consid. 7d della decisione impugnata), stabilendo tuttavia che la stessa dev'essere addotta dinanzi alle autorità italiane rispettivamente ticinesi.
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4.2 Dopo aver rilevato d'aver sempre negato i fatti rimproveratigli, eccetto nel quadro di un interrogatorio del 5 maggio 1994, durante il quale era assistito dai suoi difensori, il ricorrente asserisce d'essere diventato, dalla fine del 1986 sino all'inizio dell'anno successivo, un collaboratore di giustizia. Questo sulla base di un accordo non scritto, concluso nell'ambito del citato interrogatorio su proposta del Pubblico ministero italiano di giustizia, e alla presenza della polizia e un Procuratore pubblico sopracenerino, che gli avrebbe permesso di disporre tra l'altro di un vero "falso passaporto svizzero". Secondo l'asserito accordo, egli avrebbe dovuto confermare la versione di un pentito in cambio della sua definitiva scarcerazione e della rinuncia a fargli scontare qualsiasi ulteriore pena per fatti pregressi. L'esistenza di questo accordo sarebbe dimostrata sia dall'avvenuta scarcerazione, sebbene all'epoca la sentenza di Roma fosse nota e cresciuta in giudicato, sia dalla circostanza che sulla base dello stesso, fino all'emissione del mandato di arresto internazionale, egli avrebbe risieduto anche in Italia e sarebbe stato controllato dalla polizia in relazione anche a rogatorie elvetiche. Postula inoltre di far interrogare il suo legale di Varese, che aveva presentato la domanda di scarcerazione, e il Ministero pubblico italiano.
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4.3 Sulla base delle indicazioni addotte dal ricorrente né l'accordo né i fatti da lui invocati risultano accertati o comprovati Ora, secondo la giurisprudenza, la nozione di alibi ai sensi dell'art. 53 AIMP, implicitamente richiamata dal ricorrente, dev'essere intesa nel senso classico, cioè della prova che al momento del fatto la persona perseguita non si trovava nel luogo di commissione del reato. Una versione dei fatti diversa da quella descritta nella domanda o semplici argomenti a discarico, come quello addotto nella fattispecie, non possono essere ritenuti in tale ambito (DTF 123 II 279 consid. 2b, 122 II 373 consid. 1c). Inoltre, con questa argomentazione, il ricorrente adduce in sostanza la sua estraneità ai reati oggetto della sentenza romana: ora, come già si è indicato, non spetta allo Stato richiesto pronunciarsi sulla colpevolezza dell'estradando e sulla fondatezza delle accuse mossegli (DTF 122 II 373 consid. 1c).
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4.4 La Svizzera non può quindi sottrarsi, con riferimento all'asserito accordo, al suo obbligo di estradare (art. 1 CEEstr; causa 1A.199/2001 del 21 gennaio 2002, consid. 3; cfr. Zimmermann, op. cit., n. 89-1).
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Del resto, non spetta all'autorità di esecuzione né al giudice svizzero dell'assistenza o dell'estradizione, nel quadro di una valutazione sommaria e «prima facie» dei mezzi di prova, di eseguire o far eseguire indagini sulla credibilità di testimoni o di indagati per quanto concerne l'attendibilità delle loro dichiarazioni o, in generale, di altri mezzi di prova, come potrebbe esserlo il preteso accordo (DTF 117 Ib 64 consid. 5c pag. 88, 112 Ib 347 consid. 4; cfr. anche DTF 122 II 373 consid. 1c pag. 376). Trattandosi di una questione relativa alla valutazione delle prove, spetterà alle autorità italiane risolverla, visto che l'accordo, secondo il ricorrente, sarebbe stato proposto dal Ministero pubblico italiano, al suo dire competente per definire le modalità tecniche dello stesso (cfr. DTF 121 II 241 consid. 2b pag. 244, 118 Ib 547 consid. 3a in fine pag. 552). La conclusione subordinata di procedere ai postulati interrogatori dev'essere pertanto respinta.
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4.5 Ciò a maggior ragione visto che il ricorrente neppure sostiene d'aver sollevato tale questione, essendo a conoscenza della pena romana ancora da scontare, nell'ambito del procedimento penale conclusosi con le sentenze 13 ottobre 1994 del GIP e 15 gennaio 1996 della Corte di appello di Milano, procedimenti nei quali egli era patrocinato dal suo avvocato di fiducia, del quale chiede l'interrogatorio proprio sull'asserito accordo. Neppure lo scritto del 23 giugno 2005 del Ministero pubblico ticinese, prodotto dal ricorrente, muta l'esito del gravame. In effetti, osservato che al ricorrente venne rilasciato un "documento di viaggio" svizzero e ch'egli aveva offerto spontaneamente informazioni che potevano avere rilevanza penale, l'autorità cantonale ha precisato che né risulta che siano stati presi impegni di sorta con il ricorrente né tanto meno fatte promesse o pagate prestazioni. Nemmeno è poi documentato il contenuto dell'eventuale accordo intervenuto con la magistratura italiana.
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4.6 Il ricorrente fa valere che il ritiro di una domanda di estradizione nel 1981, che al suo dire avrebbe valore di pregiudiziale cresciuta in giudicato, implicherebbe l'inammissibilità della domanda litigiosa, che sarebbe pertanto lesiva del principio della buona fede. Di questo principio il ricorrente, di massima, può prevalersi (cfr. DTF 117 Ib 337 consid. 2). La censura, fondata su una concezione erronea della forza di cosa giudicata di una decisione con cui è stata chiusa la procedura di assistenza o di estradizione (cfr. al riguardo DTF 121 II 93, Zimmermann, op. cit., n. 175), è comunque infondata. Infatti la domanda del 1981 non concerneva, manifestamente, la sua estradizione per l'esecuzione delle pene pronunciate nel 1985 e 1996, ma, semmai, il suo perseguimento penale. Il ritiro verosimilmente aveva trovato origine dalla circostanza che il ricorrente era stato udito in via rogatoriale. Del resto, neppure la reiezione di una domanda di estradizione osta, se fondata come nella fattispecie su fatti nuovi, a una sua ulteriore ripresentazione (DTF 112 Ib 215 consid. 4).
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5.
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5.1 Il ricorrente, rilevato che l'UFG ha ritenuto parzialmente fondata la censura di violazione del principio "ne bis in idem", critica la formulazione del dispositivo della decisione impugnata.
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5.2 L'UFG ha rilevato che il 15 giugno 1983 il ricorrente è stato condannato dalla Corte delle Assise criminali di Lugano a 10 anni di reclusione, per aver organizzato un traffico di stupefacenti da importare dalla Turchia. Un terza persona occultò in un'automobile kg 4,180 di eroina, rintracciati dalle autorità doganali durante il transito dalla Turchia verso la Grecia nell'ottobre del 1982. Nella sentenza 15 gennaio 1996 della Corte di appello di Milano egli è stato riconosciuto colpevole d'aver illecitamente detenuto, importato o fatto importare, tre quantitativi di eroina, segnatamente kg 4, 0,5 e 1,5 (punto 1) e d'aver acquistato o ricevuto direttamente da fornitori turchi circa 8 kg di eroina. Il corriere fu arrestato al confine tra la Grecia e la Turchia e gli furono rinvenuti solo kg 4,180 di eroina (punto 2). L'UFG ha ritenuto che dal confronto delle due sentenze si evince chiaramente che i fatti esposti al punto 1 sono differenti da quelli posti a fondamento del giudizio svizzero, mentre è riscontrabile una parziale similitudine tra alcuni fatti descritti al punto 2 della sentenza milanese e quelli riportati nella decisione elvetica. Le divergenze in quest'ultimo caso concernono il quantitativo di eroina. L'UFG ha quindi concesso l'estradizione per quanto attiene alla fattispecie descritta al punto 1 e per i rimanenti kg3,820 di eroina per i quali il ricorrente è stato condannato unicamente in Italia. Nel dispositivo n. 2 ha invece stabilito che l'estradizione è rifiutata per i fatti esposti nella sentenza di condanna 15 giugno 1983 della Corte delle Assise criminali di Lugano.
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5.3 La CEEstr, nel testo originale firmato a Parigi nel 1957, consacra nell'art. 9 il principio "ne bis in idem" solo nel rapporto tra Stato richiedente e Stato richiesto (per una sentenza definitiva intervenuta in uno Stato terzo v. il titolo II, art. 2 del Protocollo addizionale conchiuso a Strasburgo il 15 ottobre 1975, RS 0.353.11).
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La Svizzera si è riservata di ammettere l'estradizione, contrariamente all'art. 9 primo periodo CEEstr, "se essa l'ha consentita per altri reati e lo Stato richiedente ha dimostrato che fatti o mezzi di prova venuti a sua conoscenza giustificano una revisione della decisione motivante il rifiuto dell'estradizione secondo il detto articolo o se la persona ricercata non ha subìto tutto o parte della pena o della misura pronunciata contro di essa mediante tale decisione" (cfr. sul tema Curt Markees, Mehrfache territoriale Gerichtsbarkeit - Ne bis in idem und Auslieferung, in: Schweizerisches Jahrbuch für internationales Recht, XLI/1985 pag. 121 segg., 126 seg.; Zimmermann, op. cit., n. 431/432; Hans Schultz, Das schweizerische Auslieferungsrecht, Basilea 1953, pag. 475 segg.; Britta Specht, Die zwischenstaatliche Geltung des Grundsatzes "ne bis in idem", tesi Heidelberg 1998, pag. 17 segg., 31 segg., 49 segg., 86 segg.).
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5.4 L'invocato principio, che appartiene secondo la costante giurisprudenza al diritto penale federale, figura, oltre che agli art. 9 CEEstr e 5 AIMP, anche all'art. 4 del Protocollo addizionale n. 7 alla CEDU (RS 0.101.07), che si riferisce tuttavia unicamente al perseguimento e alla condanna nello stesso Stato e non è quindi applicabile in concreto (DTF 123 II 464 consid. 2b), e all'art. 14 cpv. 7 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici del 16 dicembre 1966 (RS 0.103.2; Patto ONU II), entrato in vigore anche per l'Italia (sul fondamento del principio in discussione e la sua portata in genere v. DTF 125 II 402 consid. 1b, 122 I 257 consid. 3, 121 II 257 consid. 5 pag. 270, 118 IV 269; Andreas Auer/Giorgio Malinverni/Michel Hottelier, Droit constitutionnel suisse, vol. II, Berna 2000, pag. 643 seg.; Karim J. Giese, Das Grundrecht des "ne bis in idem", in: Christoph Grabenwarter/Rudolf Thienel, editori, Kontinuität und Wandel der EMRK, 1998, pag. 97 segg.; Andreas Eicker, Transstaatliche Strafverfolgung: ein Beitrag zur Europäisierung, Internationalisierung und Fortentwicklung des Grundsatzes ne bis in idem, tesi, San Gallo 2004, pag. 60 segg.). Quale corollario della forza di cosa giudicata, che nell'ambito dell'assistenza non ha però portata assoluta (DTF 121 II 93 consid. 2b), esso vieta che una persona sia penalmente perseguita o condannata due volte per gli stessi fatti (DTF 125 II 402 consid. 1b).
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5.5 L'applicazione dell'invocato principio presuppone da una parte che il giudice, nell'ambito del primo procedimento, abbia avuto la facoltà di valutare la fattispecie sulla base di tutti gli elementi costitutivi (DTF 125 II 402 consid. 1b) e, dall'altra, l'identità del reo e quella del reato (DTF 122 I 257 consid. 3; Robert Hauser/Erhard Schweri/ Karl Hartmann, Schweizerisches Strafprozessrecht, 6a ed., Basilea 2005, n. § 21 n. 9, § 84 n. 17). Nella giurisprudenza e nella dottrina svizzera non sussiste tuttavia unità di vedute sul modo di determinare l'identità del reato (DTF 120 IV 10 consid. 2b pag. 13, 118 IV 269 consid. 2 pag. 272). Va inoltre osservato che in Svizzera il giudice penale tiene conto del fatto che al colpevole è già stata inflitta una pena all'estero (art. 3 - 7 CP; cfr. DTF 114 IV 83 consid. 1, 111 IV 1 consid. 1 e 2).
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5.6 Secondo il diritto interno italiano, quando non esista convenzione o questa non disponga diversamente, la Corte di appello pronuncia sentenza favorevole all'estradizione se, tra l'altro, per lo stesso fatto nei confronti della persona della quale è domandata l'estradizione non è in corso un procedimento penale né è stata pronunciata sentenza irrevocabile nello Stato (art. 705 comma 1 CPP italiano; v. Giovanni Conso/Vittorio Grevi, Commentario breve al nuovo Codice di procedura penale, 4a ed., Padova 2002, n. V ad art. 705, pag. 1954). Inoltre, riguardo agli effetti delle sentenze penali straniere, l'art. 739 CPP italiano dispone che, nei casi di riconoscimento ai fini dell'esecuzione della sentenza straniera, il condannato non può essere estradato né sottoposto di nuovo a procedimento penale nello Stato per lo stesso fatto, neppure se questo viene diversamente considerato per il titolo, per il grado o per le circostanze.
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5.7 Secondo l'UFG la pena pronunciata in Svizzera, che il ricorrente - attualmente detenuto per un'altra procedura giudiziaria, come da lui rilevato nelle osservazioni - ha già scontato, ha in parte per oggetto gli stessi fatti su cui si fondano le autorità italiane per chiederne l'estradizione. Quest'ultima è pertanto stata rifiutata sulla base del principio "ne bis in idem". Certo, mal si comprende perché il ricorrente, sebbene nell'ambito del procedimento italiano, nel quale era patrocinato da un legale di fiducia, rilevato d'essere stato oggetto di un procedimento in Svizzera, non abbia fatto valere l'invocato principio. Neppure si comprende perché davanti ai giudici italiani non abbia addotto il suo asserito ruolo di collaboratore di giustizia. Del resto, nella misura in cui il principio "ne bis in idem" impone di tener conto del carcere già sofferto, spetta di massima all'autorità richiedente e non al giudice dell'estradizione esaminare tale questione (cfr. DTF 128 II 355 consid. 5.3 in fine pag. 368).
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5.8 Non vi è d'altra parte ragione, ritenuto che il rispetto dei trattati internazionali è presunto, di dubitare che l'Italia, parte contraente delle citate Convenzioni, non rispetterà il rifiuto dell'estradizione pronunciato dall'UFG per i fatti posti a fondamento della sentenza della Corte delle Assise Criminali di Lugano (cfr. anche gli art. 26/27 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, del 23 maggio 1969, RS 0.111, ratificata pure dall'italia; cfr. sentenza 1A.32/1996 del 15 marzo 1996, consid. 4c in fine, apparsa in Rep 1996 102). Spetterà comunque all'autorità federale verificare l'osservanza di questo diniego.
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6.
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6.1 Il legale contesta l'indennità forfetaria di fr. 3'500.-- assegnatagli dall'UFG, che l'aveva nominato patrocinatore d'ufficio. Chiede di aumentarla a fr. 5'000.--.
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6.2 Nella decisione impugnata l'UFG, rilevato che il patrocinatore non aveva prodotto una nota d'onorario indicante l'attività svolta, il tempo investito e le spese, ha fissato il criticato importo forfetario. Esso ha osservato che il legale aveva partecipato agli interrogatori del ricorrente, aveva compulsato l'incarto intervenendo più volte presso l'autorità federale per informarsi sullo stato della procedura e presentato osservazioni alla domanda estera. Il ricorrente si limita a sostenere che l'incarto, difficile da reperire, è voluminoso e aggiunge che ha dovuto leggere le sentenze italiane. Ha quindi prodotto un riassunto delle sue prestazioni, a partire dal 2004, nel quale non è tuttavia indicato il tempo impiegato per le varie prestazioni. Inoltre, come rilevato dall'UFG nella risposta, la domanda di assistenza giudiziaria è stata presentata soltanto il 17 gennaio 2005, per cui si può ritenere che fino a quella data il ricorrente abbia avuto i mezzi per pagare gli onorari del suo legale. Da queste circostanze discende che fissando l'importo litigioso, che si situa peraltro al di sopra dei montanti concessi di regola in tale ambito dall'UFG, l'autorità federale non ha ecceduto o abusato del suo potere di apprezzamento.
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7.
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Vista la situazione economica del ricorrente, al quale sono stati bloccati gli averi, la domanda di assistenza giudiziaria (art. 152 cpv. 1 OG) può essere accolta. Sebbene non richiesto espressamente, può essere concesso anche il gratuito patrocinio (art. 152 cpv. 2 OG).
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Per questi motivi, il Tribunale federale pronuncia:
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1.
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Il ricorso è respinto.
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2.
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Il ricorrente è posto al beneficio dell'assistenza giudiziaria con il patrocinio dell'avv. D.________. La Cassa del Tribunale federale corrisponderà a quest'ultimo un'indennità di fr. 2'000.--. Non si preleva tassa di giustizia.
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3.
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Comunicazione al patrocinatore del ricorrente e all'Ufficio federale di giustizia, Divisione assistenza giudiziaria internazionale, Sezione estradizioni (B 126951).
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Losanna, 13 luglio 2005
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In nome della I Corte di diritto pubblico
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del Tribunale federale svizzero
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Il presidente: Il cancelliere:
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