BGer 6B_917/2018 | |||
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BGer 6B_917/2018 vom 13.01.2022 | |
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6B_917/2018 |
Sentenza del 13 gennaio 2022 |
Corte di diritto penale | |
Composizione
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Giudici federali Denys, Giudice presidente,
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Koch, Hurni,
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Cancelliera Ortolano Ribordy.
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Partecipanti al procedimento | |
G.________,
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patrocinata dall'avv. Gabriele Banfi,
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ricorrente,
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contro
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Ministero pubblico della Confederazione, Guisanplatz 1, 3003 Berna,
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opponente.
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Oggetto
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Ripetuto riciclaggio di denaro, ripetuta falsità in documenti,
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ricorso contro la sentenza emanata il 27 marzo 2018 dalla Corte penale del Tribunale penale federale (SK.2017.71).
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Fatti: | |
A.
| 1 |
Seguendo il solco dell'operazione condotta dalla Direzione distrettuale antimafia della Procura della Repubblica italiana presso il Tribunale di Milano, il 17 dicembre 2014 il Ministero pubblico della Confederazione (MPC) ha aperto un'istruzione penale nei confronti di B.________ per i titoli di organizzazione criminale e di riciclaggio di denaro.
| 2 |
Il 28 aprile 2016 il procedimento penale è stato esteso anche nei confronti di A.________ per i titoli di riciclaggio di denaro aggravato, di falsità in documenti nonché di inganno nei confronti delle autorità giusta l'art. 118 cpv. 1 LStr (RS 142.20), e di G.________ per i titoli di falsità in documenti e riciclaggio di denaro.
| 3 |
B.
| 4 |
Con decreto d'accusa del 19 ottobre 2016, il MPC ha ritenuto G.________ autrice colpevole di ripetuto riciclaggio di denaro e di ripetuta falsità in documenti. G.________ ha interposto opposizione.
| 5 |
C.
| 6 |
Con atto di accusa del 25 agosto 2017, il MPC ha promosso l'accusa dinanzi alla Corte penale del Tribunale penale federale (TPF) nei confronti di G.________ per i titoli di riciclaggio di denaro aggravato e falsità in documenti. Con medesimo atto, sono stati rinviati a giudizio anche B.________ e A.________.
| 7 |
Benché regolarmente citata, G.________ non si è presentata al pubblico dibattimento. Il TPF ha quindi disgiunto il procedimento condotto nei suoi confronti da quello dei suoi coimputati e indetto una nuova udienza per statuire sulle accuse mosse a G.________.
| 8 |
D.
| 9 |
Dopo aver informato, in occasione del nuovo dibattimento, di riservarsi di valutare il capo d'imputazione 1.3.2 anche nell'ottica dell'ipotesi di riciclaggio di denaro, con sentenza del 27 marzo 2018 il TPF ha riconosciuto G.________ autrice colpevole di ripetuto riciclaggio di denaro in relazione a 8 dei relativi capi d'accusa e al capo d'accusa 1.3.2, nonché di ripetuta falsità in documenti. Ha invece abbandonato il procedimento in relazione a 18 capi d'imputazione di riciclaggio di denaro, per intervenuta prescrizione dell'azione penale, mentre ha prosciolto l'imputata da due capi d'imputazione di riciclaggio di denaro, non avendo gli atti rimproveratile carattere vanificatorio. G.________ è stata condannata alla pena detentiva di due anni, sospesa condizionalmente per un periodo di prova di due anni, e a un risarcimento equivalente pari a euro 110'000.-- in favore della Confederazione, al pagamento delle spese procedurali in ragione di fr. 8'000.--, e al rimborso alla Confederazione della retribuzione del difensore d'ufficio nella misura di fr. 25'000.--, non appena le sue condizioni economiche glielo permetteranno. Il TPF ha infine accolto le pretese di indennizzo di G.________ in ragione di fr. 2'000.--, importo a cui ha opposto in compensazione le spese procedurali poste a suo carico.
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In breve, la sentenza si fonda sui seguenti fatti:
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D.a. A partire dagli anni Ottanta fino all'intervento degli inquirenti italiani nella metà degli anni Novanta del '900, ha operato nella regione di a.________ una compagine criminale di stampo 'ndranghetoso finalizzata al traffico di stupefacenti, capeggiata da F.________ (cosca F.________). I fratelli D1.________ e D2.________ hanno aderito alla stessa sin dalle sue origini, assumendo nel corso degli anni un ruolo sempre più incisivo. L'attività di narcotraffico verteva su enormi quantitativi di stupefacenti e produceva guadagni illeciti ingentissimi, di cui una parte importante in contanti.
| 12 |
D.b. Il 17 gennaio 1995 G.________, moglie di D3.________, ha aperto un conto cifrato denominato ddd, presso H.________ Ltd., quale unica titolare e avente diritto economico, conferendo procura individuale a I.________, moglie di D2.________, ovvero uno dei tre fratelli di D3.________. La relazione è stata alimentata dal 19 gennaio all'8 agosto 1995, sia in lire italiane, sia in franchi svizzeri. Sul deposito titoli di ddd sono inoltre confluiti, nel febbraio 1995, titoli provenienti da una relazione bancaria presso J.________, il cifrato eee, accesa il 30 novembre 1994 dalla stessa G.________ e con I.________ procuratrice individuale. A debito del conto ddd, sono stati corrisposti i premi per le polizze assicurative intestate a D1.________ e D2.________.
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D.c. Nel 2012 G.________, accompagnata dal marito D3.________ e da B.________, si è recata dal fiduciario A.________. Il 1° marzo 2012 ella ha autorizzato la società del fiduciario a intraprendere le ricerche del conto ddd. Una volta ritrovato, il 31 maggio 2012 G.________ ha sottoscritto un nuovo formulario A, confermando di essere la proprietaria economica degli averi in conto, ha approvato tutte le operazioni eseguite fino a quel momento, prelevato euro 30'000.--, ordinato di non eseguire pagamenti alla compagnia assicurativa in punto alle polizze annullate e disposto la vendita del deposito titoli.
| 14 |
L'insieme dei valori patrimoniali è in seguito stato trasferito su un conto intestato alla società di servizi K.________ Ltd. a Dubai e successivamente sul conto cifrato fff alle Bahamas.
| 15 |
E.
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Contro il giudizio del TPF, G.________ si aggrava al Tribunale federale con un ricorso in materia penale, postulando in via principale l'annullamento della sentenza impugnata, il rinvio della causa all'autorità precedente per nuova decisione e la constatazione della violazione dell'art. 6 CEDU nel procedimento. Subordinatamente chiede, in sintesi, il suo proscioglimento da ogni accusa, l'annullamento della " confisca" [ recte : del risarcimento equivalente], la presa a carico da parte della Confederazione dell'integralità della retribuzione riconosciuta al suo difensore d'ufficio e l'accoglimento delle sue pretese di indennizzo di fr. 2'000.-- giusta l'art. 429 cpv. 1 lett. a e b CPP. Domanda inoltre di essere posta al beneficio dell'assistenza giudiziaria con gratuito patrocinio.
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Con decreto presidenziale del 3 ottobre 2018, è stata respinta la domanda di conferimento dell'effetto sospensivo presentata contestualmente al ricorso in materia penale.
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Invitati a esprimersi sul gravame, il TPF propone la conferma della sentenza impugnata e il MPC postula l'integrale reiezione del ricorso. L'insorgente ha replicato, riconfermandosi nelle proprie conclusioni ricorsuali.
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Diritto: | |
1.
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Il Tribunale federale esamina d'ufficio e con cognizione piena la sua competenza (art. 29 LTF) e l'ammissibilità del rimedio esperito (DTF 146 IV 185 consid. 2).
| 21 |
1.1. La legge sul Tribunale federale si applica ai procedimenti promossi dinanzi al Tribunale federale dopo la sua entrata in vigore; ai procedimenti su ricorso si applica soltanto se la decisione impugnata è stata pronunciata dopo la sua entrata in vigore (art. 132 cpv. 1 LTF). Questa norma transitoria non disciplina unicamente i rapporti tra la LTF e le previgenti disposizioni procedurali della Confederazione, ma vale anche in caso di modifiche delle disposizioni della stessa LTF (sentenza 6B_1108/2013 del 25 marzo 2014 consid. 2.1.3 con rinvii). Di conseguenza, il nuovo art. 80 cpv. 1 LTF, in vigore dal 1° gennaio 2019, si applica unicamente alle decisioni emanate dopo il 31 dicembre 2018. La sentenza impugnata è stata pronunciata prima di tale data dalla Corte penale del Tribunale penale federale e può essere oggetto di ricorso dinanzi al Tribunale federale in virtù del vecchio art. 80 cpv. 1 LTF (RU 2006 1205; v. pure mutatis mutandis sentenza 6B_523/2019 del 4 giugno 2019 consid. 1, in RtiD 2020 II pag. 243).
| 22 |
1.2. Presentato dall'imputata (art. 81 cpv. 1 LTF) e diretto contro una decisione finale (art. 90 LTF) resa in materia penale (art. 78 cpv. 1 LTF), il ricorso in materia penale è proponibile e di massima ammissibile, in quanto tempestivo (art. 100 cpv. 1 unitamente all'art. 46 cpv. 1 lett. b LTF) e inoltrato nelle forme richieste (art. 42 cpv. 1 LTF).
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2.
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Il Tribunale federale fonda la sua sentenza sui fatti accertati dall'autorità inferiore (art. 105 cpv. 1 LTF). La parte ricorrente che intende scostarsene deve dimostrare che il loro accertamento è stato svolto in modo manifestamente inesatto, ovvero arbitrario, o in violazione del diritto ai sensi dell'art. 95 LTF, spiegando inoltre in che misura l'eliminazione dell'invocato vizio è determinante per l'esito del procedimento (art. 97 cpv. 1 LTF). In caso contrario, esso non tiene conto di uno stato di fatto diverso da quello posto a fondamento della decisione impugnata (DTF 145 V 188 consid. 2).
| 25 |
Il Tribunale federale applica il diritto d'ufficio (art. 106 cpv. 1 LTF). Nondimeno, tenuto conto dell'onere di allegazione e motivazione posto dall'art. 42 cpv. 1 e 2 LTF, la cui mancata ottemperanza conduce all'inammissibilità del gravame, il Tribunale federale esamina di regola solo le censure sollevate (DTF 146 IV 88 consid. 1.3.2). Se rimprovera all'autorità inferiore un accertamento dei fatti manifestamente inesatto la parte ricorrente deve sollevare la censura e motivarla in modo preciso, come esige l'art. 106 cpv. 2 LTF. Le critiche di natura appellatoria non sono ammissibili. Per motivare l'arbitrio non basta criticare semplicemente la decisione impugnata contrapponendole una versione propria, ma occorre dimostrare per quale motivo l'accertamento dei fatti o la valutazione delle prove sono manifestamente insostenibili, si trovano in chiaro contrasto con la fattispecie, si fondano su una svista manifesta o contraddicono in modo urtante il sentimento della giustizia e dell'equità (DTF 146 IV 88 consid. 1.3.1 con rinvii). Per quanto riguarda in particolare la valutazione delle prove e l'accertamento dei fatti, il giudice - che in questo ambito dispone di un ampio margine di apprezzamento - incorre nell'arbitrio se misconosce manifestamente il senso e la portata di un mezzo di prova, se omette senza valida ragione di tener conto di un elemento di prova importante, suscettibile di modificare l'esito della vertenza, oppure se ammette o nega un fatto ponendosi in aperto contrasto con gli atti di causa o interpretandoli in modo insostenibile (DTF 143 IV 500 consid. 1.1).
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Se in merito ai fatti l'autorità precedente ha forgiato la sua convinzione sulla base di un insieme di elementi o d'indizi convergenti, non basta che l'uno o l'altro di questi o addirittura ciascuno di essi, preso isolatamente, risulti insufficiente. La valutazione delle prove dev'essere esaminata nel suo insieme. Non sussiste arbitrio se i fatti accertati possono essere dedotti in modo sostenibile dal collegamento dei diversi elementi o indizi. Analogamente non vi è arbitrio per il solo fatto che uno o più argomenti corroborativi appaiono fragili, nella misura in cui la soluzione ritenuta può essere giustificata in modo sostenibile con altri argomenti atti a portare a un convincimento (sentenza 6B_565/2015 del 10 febbraio 2016 consid. 1.1, non pubblicato in DTF 142 IV 49).
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3.
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La ricorrente lamenta la violazione del diritto a un processo equo giusta l'art. 6 CEDU sotto vari aspetti.
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3.1. Si duole in primo luogo della violazione del principio della presunzione di innocenza, nella misura in cui gli accertamenti della sentenza impugnata si fonderebbero in parte su decisioni italiane non ancora cresciute in giudicato. Il TPF non avrebbe effettuato alcun accertamento in relazione al conto ddd, richiamandosi a sentenze estere che sarebbero tuttavia silenti in proposito. Ciò nonostante, esso avrebbe rifiutato di assumere le prove da lei richieste, segnatamente l'integrale acquisizione degli atti italiani a fondamento delle sentenze degli anni '90 e di quelle più recenti emanate in procedimenti di cui l'insorgente neppure era parte. Tale modo di procedere violerebbe gli art. 6 e 10 CPP, oltre al diritto a un processo equo.
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3.1.1. Nel procedimento penale vige il principio della verità materiale: le autorità penali accertano d'ufficio tutti i fatti rilevanti per il giudizio, sia riguardo al reato sia riguardo all'imputato (art. 6 cpv. 1 CPP), ed esaminano con la medesima cura le circostanze a carico e a discarico (art. 6 cpv. 2 CPP). Questo principio non obbliga il giudice ad assumere delle prove, d'ufficio o ad istanza di parte, ove il materiale probatorio agli atti gli abbia permesso di raggiungere una convinzione e abbia, procedendo a una valutazione anticipata di altre prove, la certezza che queste non siano suscettibili di modificare la sua opinione (art. 139 cpv. 2 CPP; sentenza 6B_150/2020 del 19 maggio 2020 consid. 3.1 con rinvii). Nell'ambito di tale valutazione il giudice dispone di un vasto margine di apprezzamento e il Tribunale federale interviene solo in caso di arbitrio (DTF 144 II 427 consid. 3.1.3; 141 I 60 consid. 3.3).
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La ritenuta origine criminosa del denaro confluito sul conto ddd non poggia, come sembra credere l'insorgente, sulle sentenze italiane, bensì su una serie di elementi di cui si dirà appresso al momento di vagliare le censure di arbitrio nell'accertamento dei fatti (v. infra consid. 4.2). L'istanza probatoria, formulata in occasione del dibattimento, volta ad acquisire l'integralità degli incarti italiani è stata esaminata e respinta dal TPF in quanto non sufficientemente motivata e in ogni caso non rilevante, concernendo procedimenti italiani sfociati in pronunce giudiziarie acquisite agli atti. Al riguardo, benché contesti la carenza di motivazione della sua istanza trascrivendo quanto addotto dinanzi all'autorità precedente per dimostrare il contrario, la ricorrente non sostanzia arbitrio di sorta sul secondo motivo di reiezione avanzato dal TPF. Precisa che le sentenze italiane non menzionano il conto ddd o altri conti all'estero, ma nulla suggerisce e ella neppure pretende che negli incarti italiani figurino elementi in proposito, ipotizzando solo possibili tracce del conto negli atti di sorveglianza dei membri della cosca F.________. In realtà la sua non era un'istanza probatoria, bensì un'istanza di ricerca di prove ( Beweisermittlungsantrag; v. in proposito sentenza 6B_1085/2019 del 18 settembre 2020 consid. 3.4.2), atteso che non serviva all'assunzione concreta di prove, ma mirava unicamente a determinare l'eventuale esistenza di altre prove su punti peraltro non meglio precisati.
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3.1.2. In virtù della presunzione d'innocenza, garantita dagli art. 32 cpv. 1 Cost. e 6 n. 2 CEDU e ribadita dall'art. 10 cpv. 1 CPP, ognuno è presunto innocente fintanto che non sia condannato con decisione passata in giudicato. Tale presunzione costituisce un elemento del processo equo. Considerata come una garanzia procedurale nell'ambito del procedimento penale, essa vieta, nell'ottica di assicurare un processo equo, in particolare l'espressione di opinioni premature sulla colpevolezza di un imputato da parte del giudice di merito o di qualsiasi altra autorità pubblica. La garanzia concerne le procedure giudiziarie anteriori al rinvio a giudizio dell'imputato nonché quelle posteriori al proscioglimento definitivo dell'accusato (DTF 147 I 386 consid. 1.2).
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In concreto si può seriamente dubitare dell'ammissibilità della censura. L'insorgente infatti cerca di far valere non tanto la sua presunzione d'innocenza quanto piuttosto quella del marito, rispettivamente dei cognati, oggetto di procedimenti penali in Italia e nei confronti dei quali sono state emanate le sentenze menzionate dal TPF, all'epoca non ancora passate in giudicato. Orbene, nell'ambito di un ricorso in materia penale, non è possibile censurare l'asserita violazione di diritti di terzi, l'interesse giuridicamente protetto giusta l'art. 81 cpv. 1 lett. b LTF essendo un interesse personale (DTF 145 IV 161 consid. 3.1; 131 IV 191 consid. 1.2.1). Certo, la ricorrente afferma che la presunzione d'innocenza del marito si ripercuoterebbe sulla sua, ma non sostanzia in alcun modo tale asserto in urto al suo dovere di motivazione (art. 42 cpv. 2 e art. 106 cpv. 2 LTF). Sia come sia, appare comunque opportuno rilevare che le critiche ricorsuali sono infondate. Il contestato richiamo del TPF alle predette sentenze si riferisce a fatti (una pretesa attività di stampo 'ndranghetoso risalente agli anni 2000) posteriori all'alimentazione del conto ddd e quindi non determinanti per l'esito di questo procedimento, ciò che neppure è sostenuto nel gravame. Peraltro l'autorità precedente si è limitata a menzionarle, senza pronunciarsi o lasciar intendere alcunché sulla colpevolezza degli interessati o sui loro eventuali ruoli nelle vicende all'esame delle autorità italiane. E difatti nemmeno la ricorrente pretende che il TPF abbia in qualche modo espresso, in modo esplicito o implicito, opinioni premature sulla colpevolezza degli interessati. Di transenna si osserva ancora un comportamento contraddittorio dell'insorgente che da un lato si duole dei riferimenti a sentenze non ancora passate in giudicato, ma dall'altro lato non esita a prevalersene e a citarle a sostegno delle censure di arbitrio nell'accertamento dei fatti.
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Analogo discorso vale con riferimento a I.________, di cui la ricorrente ha chiesto invano l'interrogatorio e di cui lamenta la violazione della presunzione d'innocenza. Non si scorge peraltro come la presunzione d'innocenza dell'interessata possa essere stata disattesa. Il TPF infatti non ha neppure adombrato sospetti di natura penale nei suoi confronti, né ha tratto conclusioni sulla sua persona o sul suo ruolo che avrebbero forzatamente necessitato la sua audizione. Ciò che la sentenza impugnata espone su di lei emerge chiaramente dalle prove documentali agli atti, segnatamente dalla documentazione bancaria del conto ddd e dagli atti pubblici relativi alla società di autolavaggio. Cade infine nel vuoto la censura di arbitrio afferente il suo mancato interrogatorio, volto in particolare a dimostrare l'inattendibilità del consulente bancario T.________. L'insorgente disattende che l'accertamento dei fatti del giudizio impugnato non poggia minimamente sulle dichiarazioni di quest'ultimo, di modo che non vi sono ragioni per confutarne il contenuto con l'audizione di terze persone, in particolare di I.________.
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3.2. L'insorgente lamenta poi un accertamento arbitrario, perché incompleto, dei fatti e una violazione del diritto di essere sentito, nella forma del diritto a una decisione motivata. La sentenza impugnata non menzionerebbe puntualmente le censure sollevate in sede di dibattimento, le richieste di assunzione di prove e le relative decisioni. Non sarebbe così dato di sapere in che misura le contestazioni difensive sarebbero state considerate dall'autorità precedente e neppure come siano stati interpretati i contenuti dei vari verbali non espressamente citati. La ricorrente avrebbe in particolare domandato l'estromissione di dodici verbali d'interrogatorio, svoltisi a sua insaputa, e la loro ripetizione. Il TPF non avrebbe menzionato né di quali verbali si trattasse né l'istanza volta alla loro ripetizione. Non avrebbe inoltre indicato se detti verbali siano stati utilizzati come prova per il giudizio emanato e ancor meno le ragioni per cui le prove non siano state ripetute. Secondo l'insorgente, riservarsi di valutare la portata di una prova in camera di consiglio, come in concreto fatto dal TPF, permetterebbe ai giudici di fondare comunque il loro giudizio sul materiale acquisito. Ritiene peraltro che tali prove sarebbero state determinanti, perché in caso contrario il MPC non le avrebbe raccolte. I giudici precedenti non solo nulla indicherebbero sulla valenza probatoria delle prove contestate, ma neppure spenderebbero una parola sull'unico documento della difesa ammesso come prova.
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3.2.1. L'art. 80 cpv. 2 prima frase CPP sancisce un obbligo di motivazione. Il diritto a una decisione motivata è un aspetto del diritto di essere sentito garantito dall'art. 29 cpv. 2 Cost. Esso impone all'autorità di menzionare almeno brevemente le ragioni che l'hanno indotta a decidere in un senso piuttosto che nell'altro e di porre così l'interessato nelle condizioni di rendersi conto della portata del giudizio e delle eventuali possibilità di impugnazione (DTF 145 III 324 consid. 6.1). L'autorità non è tuttavia tenuta a pronunciarsi in modo esplicito ed esaustivo su tutti gli argomenti sollevati (fatti, mezzi di prova, censure), potendo limitarsi a quelli che, senza arbitrio, appaiono rilevanti per il giudizio, in quanto atti a influire sulla decisione (DTF 146 II 335 consid. 5.1, sentenza 6B_257/2020 del 24 giugno 2021 consid. 5.3.4, destinata alla pubblicazione). Inoltre, purché la comprensione non ne sia ostacolata, la motivazione di una decisione può anche essere implicita, risultare dai diversi considerandi della stessa o da rinvii ad altri atti (DTF 141 V 557 consid. 3.2.1).
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3.2.2. La richiesta di estromissione dall'incarto di determinati verbali di interrogatorio e della loro ripetizione è stata respinta dal TPF una prima volta con decreto ordinatorio del 25 ottobre 2017 (incarto 129.280.003 segg.), e poi ancora al dibattimento, al momento di trattare le questioni pregiudiziali (sentenza impugnata pag. 7), riservandosi in entrambe le occasioni di esaminare la valenza di tali mezzi di prova in camera di consiglio e, se del caso, rilevarne l'inutilizzabilità. Infondato (e quasi pretestuoso) appare il rimprovero di non aver elencato i verbali di cui la ricorrente ha chiesto l'estromissione né menzionato l'istanza volta alla ripetizione di tali prove. Innanzitutto non si ravvede come una loro eventuale mancata, rispettivamente incompleta indicazione possa violare il diritto a una decisione motivata, nella misura in cui il TPF ha esposto le ragioni alla base della loro reiezione. In secondo luogo, il precitato decreto ordinatorio enumera espressamente le audizioni oggetto della postulata ripetizione (incarto 129.280.010). La decisione impugnata, a sua volta, riassume in modo sintetico le questioni pregiudiziali sollevate dall'insorgente e il loro esito e contiene un rinvio al verbale principale dei dibattimenti. Quest'ultimo non solo menziona espressamente le istanze probatorie, e segnatamente le audizioni di cui è stata chiesta la ripetizione (incarto 130.920.013 segg.), ma richiama (incarto 130.920.013) e allega (incarto 130.920.022) anche il memoriale relativo alle questioni pregiudiziali intitolato "Arringa" (incarto 130.925.047 segg.), quello relativo alle istanze probatorie intitolato "Prove" (incarto 130.925.122 segg.), nonché copia dello scritto del 4 ottobre 2017 (incarto 130.925.145 segg.), con cui la ricorrente ha formulato le sue contestazioni e richieste di prove.
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Vero è che, dopo essersi riservato di esaminare la valenza probatoria dei verbali in questione e di rilevare una loro eventuale inutilizzabilità a carico dell'insorgente, il TPF non vi ha più accennato. Come visto però (v. supra consid. 3.2.1), l'autorità non è tenuta a pronunciarsi in modo esplicito su tutti gli argomenti sollevati, ma solo su quelli rilevanti ai fini del giudizio. Il suo silenzio indica quindi che non ha accordato valenza probatoria a tali prove nel caso concreto. E invero l'accertamento dei fatti della sentenza impugnata non poggia minimamente sui verbali di cui è stata chiesta l'estromissione o su altre prove raccolte in base alle informazioni ivi contenute e neppure la ricorrente pretende il contrario. Non vi è dunque alcuna violazione dell'art. 147 cpv. 4 CPP, che vieta di utilizzare le prove assunte senza rispettare il diritto al contraddittorio a carico della parte che non era presente. Vano è dunque il richiamo ricorsuale alla DTF 143 IV 457. Quanto alla necessità di riassumere suddetti mezzi probatori conformemente all'art. 343 cpv. 2 CPP, si sarebbe imposta ove l'autorità li avesse considerati decisivi ai fini della sua decisione per utilizzarli a carico dell'imputata. Ma così manifestamente non è.
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Riguardo poi alle altre prove presenti nell'incarto, si ribadisce che l'autorità non è tenuta a pronunciarsi in modo esplicito su tutti i mezzi di prova, potendo limitarsi a quelli che, senza arbitrio, sono rilevanti per il giudizio (v. supra consid. 3.2.1). Il TPF non era dunque obbligato a passare in rassegna e a esprimersi su ogni prova del voluminoso incarto. In proposito la censura si riduce a un vacuo richiamo al diritto a una decisione motivata, laddove la ricorrente avrebbe dovuto dimostrare che, in modo del tutto insostenibile, i giudici precedenti hanno omesso senza valida ragione di tener conto di prove importanti suscettibili di modificare l'accertamento dei fatti, non essendo manifestamente sufficiente affermare la rilevanza generale delle prove semplicemente in ragione della loro raccolta da parte dell'autorità inquirente. Per quanto concerne poi il documento difensivo acquisito agli atti al dibattimento, la stessa insorgente indica trattarsi di un "ulteriore tassello" a dimostrazione dell'inattendibilità delle dichiarazioni di B.________. Orbene, nella misura in cui il TPF non ha accertato i fatti sulla scorta delle dichiarazioni di quest'ultimo, non necessitava di esaminarne l'attendibilità e di conseguenza nemmeno di confrontarsi con suddetto documento.
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3.3. La ricorrente rimprovera ancora all'autorità precedente di non essersi chinata sulla correttezza del
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3.3.1. Il principio della parità delle armi, elemento del diritto a un equo processo garantito dagli art. 29 cpv. 1 Cost. e 6 n. 1 CEDU, impone un giusto equilibrio tra le parti: a ognuna di esse dev'essere fornita l'opportunità di difendere le proprie ragioni in condizioni che non la collochino in una posizione di sostanziale svantaggio rispetto alla controparte (sentenza 6B_974/2019 del 25 ottobre 2019 consid. 1.1).
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Se è vero che, nella procedura preliminare, spetta al pubblico ministero accertare i fatti e raccogliere le prove (art. 308 cpv. 1, 311 cpv. 1 CPP), l'imputato ha diritto di parteciparvi (art. 147 CPP) e di presentare istanze probatorie (art. 318 cpv. 1 CPP). L'imputato può inoltre riproporre durante la procedura dibattimentale le istanze probatorie respinte dal pubblico ministero (art. 318 cpv. 2 ultimo periodo, 331 cpv. 2 e 3, nonché 339 cpv. 2 lett. d CPP). L'art. 139 cpv. 2 CPP precisa tuttavia che i fatti irrilevanti, manifesti, noti all'autorità penale oppure già comprovati sotto il profilo giuridico non sono oggetto di prova, codificando in tal modo la giurisprudenza dedotta dall'art. 29 cpv. 2 Cost. in materia di valutazione anticipata delle prove (sentenza 6B_147/2021 del 29 settembre 2021 consid. 1.6), ambito in cui la cognizione del Tribunale federale è limitata all'arbitrio (sentenza 6B_323/2021 dell'11 agosto 2021 consid. 2.5.1, destinata alla pubblicazione; v. supra consid. 3.1.1).
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Nel procedimento penale vige il principio dell'immediatezza limitata (art. 308 e 343 CPP). Il giudice procede all'interrogatorio dettagliato dell'imputato (art. 341 cpv. 3 CPP). È tenuto a raccogliere ulteriori prove solo alle condizioni espressamente menzionate dalla legge (sentenz a 6B_430/2015 del 12 giugno 2015 consid. 2.3.1), segnatamente dall'art. 343 cpv. 2 e 3 CPP. Secondo l'art. 343 cpv. 3 CPP, in particolare, il giudice provvede a riassumere le prove che sono state assunte regolarmente nella procedura preliminare laddove la conoscenza diretta dei mezzi di prova appaia necessaria per la pronuncia della sentenza. L'assunzione diretta di mezzi di prova è necessaria se può influire sull'esito del procedimento. Ciò è segnatamente il caso qualora la valutazione della loro forza probatoria dipenda fondamentalmente dall'impressione che se ne trae al momento della loro assunzione, per esempio ove derivi in modo particolare dalla percezione diretta di una dichiarazione testimoniale, allorché costituisce l'unico mezzo di prova diretto (situazione di "parola di una parte contro quella dell'altra"). Non è il solo contenuto della dichiarazione di una persona (cosa dice) che rende necessaria la riassunzione della prova. Determinante è piuttosto sapere se il suo comportamento (come lo dice) incide in modo decisivo sul giudizio. Nell'esame della necessità di assumere nuovamente delle prove, il tribunale dispone di un potere d'apprezzamento (DTF 140 IV 196 consid. 4.4.2). Nel ricorso occorre quindi spiegare perché la riassunzione delle prove sarebbe necessaria ai sensi dell'art. 343 cpv. 3 CPP (sentenza 6B_888/2017 del 25 ottobre 2017 consid. 3.3, non pubblicato in DTF 143 IV 434).
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3.3.2. Non giova alla ricorrente richiamarsi semplicemente alla parità delle armi e al principio dell'immediatezza per contestare con successo la mancata assunzione delle prove richieste, il loro rifiuto non comportando
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Quanto poi al principio dell'immediatezza, l'insorgente non indica quali prove, alla base del giudizio impugnato, avrebbero necessitato una conoscenza diretta da parte del TPF giusta l'art. 343 cpv. 3 CPP, contravvenendo così al suo obbligo di motivazione (v. supra consid. 3.3.1). Vano è al riguardo il laconico richiamo ricorsuale alle sentenze della CorteEDU Lorefice c. Italia del 29 giugno 2017, rispettivamente Dastan c. Turchia del 10 ottobre 2017, relative alla necessità di una diretta valutazione di testimonianze a carico che hanno un valore decisivo per la condanna. La fattispecie in esame è infatti sostanzialmente diversa. Il giudizio di condanna impugnato non si fonda su dichiarazioni di testi a carico e nemmeno il contrario è preteso nel gravame. Rilevasi che il TPF ha accertato i fatti essenzialmente sulle prove documentali agli atti che, per loro natura, non rendono necessaria una loro assunzione diretta al dibattimento al fine di valutarne compiutamente la forza probatoria. Per il resto non è contestato che l'autorità precedente ha proceduto a interrogare l'imputata secondo l'art. 341 cpv. 3 CPP. Vero è che al dibattimento non sono state riassunte le prove che, secondo quanto addotto nel ricorso, sarebbero state raccolte nella procedura preliminare senza garantire il contraddittorio e quindi in modo irregolare, in apparente urto con l'art. 343 cpv. 2 CPP. Sennonché l'art. 147 cpv. 4 CPP sancisce in modo generale che le prove raccolte violando il diritto della parte di partecipare alla loro assunzione non possono essere utilizzate a carico della stessa. Basti allora osservare che tali prove non hanno minimamente servito all'accertamento dei fatti, come già precedentemente menzionato (v. supra consid. 3.2.2), sicché neppure in quest'ottica può essere ravvisata una violazione del principio dell'immediatezza.
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3.3.3. Per ogni causa penale è costituito un fascicolo, comprensivo dei verbali procedurali e di quelli d'interrogatorio; degli atti raccolti dall'autorità penale, nonché degli atti prodotti dalle parti (art. 100 cpv. 1 CPP). Il fascicolo servirà poi come base al tribunale per rendere il proprio giudizio (sentenza 6B_1188/2020 del 7 luglio 2021 consid. 1.1.2). In occasione della procedura dibattimentale di primo grado, chi dirige il procedimento esamina in particolare se l'atto d'accusa e il fascicolo sono stati allestiti regolarmente (art. 329 cpv. 1 lett. a CPP).
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Concepito come uno degli aspetti essenziali della nozione generale di processo equo ai sensi dell'art. 29 Cost., il diritto di essere sentito garantisce, tra l'altro, anche il diritto per l'interessato di consultare l'incarto (v. art. 3 cpv. 2 lett. c, 101 e 107 CPP). L'imputato deve poter consultare gli atti per conoscere gli elementi di cui dispone l'autorità e beneficiare quindi di una possibilità effettiva di fare valere le sue argomentazioni nel procedimento penale. Affinché questa consultazione sia utile, l'incarto dev'essere completo. Nell'ambito di un procedimento penale ciò significa che i mezzi di prova devono figurare nell'incarto dell'istruzione penale, quanto meno nella misura in cui non siano direttamente assunti in occasione del dibattimento dinanzi al tribunale di merito, e che le modalità della loro produzione devono essere documentate, al fine di permettere alla parte di esaminare l'eventuale loro irregolarità formale o materiale e, se del caso, contestarne l'utilizzabilità. Si tratta al riguardo di una condizione volta a permettere generalmente all'imputato di fare valere i suoi diritti di difesa, conformemente agli art. 32 cpv. 2 Cost. e 6 n. 3 lett. b CEDU (DTF 129 I 85 consid. 4.1).
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3.3.4. Il TPF ha ritenuto che il fascicolo fosse conforme al codice di rito, e contenesse sia gli atti giunti rogatorialmente dall'estero sia gli atti prodotti dalle parti in quanto formulati conformemente all'art. 110 CPP e di cui all'elenco atti del MPC e non invece di cui a prestazioni fatturate in note d'onorario da un difensore di altra parte. Quest'ultima precisazione si riferisce manifestamente agli e-mail di cui la ricorrente ha lamentato e lamenta ancora l'assenza nell'incarto e che, secondo quanto da lei avanzato nelle sue istanze probatorie, risulterebbero dalla nota d'onorario del precedente legale di B.________ (v. verbale principale dei dibattimenti pag. 8, incarto 130.920.013). Orbene, l'insorgente medesima indica trattarsi di una corrispondenza elettronica antecedente il rito abbreviato nei confronti dello stesso B.________, poi negato dalla Corte di merito. Sicché la loro eventuale assenza nell'incarto si giustifica già solo alla luce degli art. 362 cpv. 4 e 141 CPP (v. DTF 144 IV 189), come addotto dal MPC al dibattimento, a cui del resto la ricorrente fa esplicito riferimento nella replica. Peraltro non sostiene trattarsi di atti formulati conformemente all'art. 110 CPP né che il fascicolo debba contemplare anche quelli non rispettosi di tale norma. Non si confronta quindi con le motivazioni del TPF, spiegando perché sarebbero lesive del diritto, ma ribadisce la sua posizione e reitera semplicemente le proprie richieste avanzando le medesime argomentazioni presentate dinanzi all'istanza precedente in modo inammissibile (v. DTF 140 III 115 consid. 2). Ma v'è di più. La ricorrente rivendica la necessità di disporre di detta corrispondenza al fine di suffragare "l'assoluta inattendibilità di B.________". Disattende però che, come già sopra menzionato (v.
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3.4. In conclusione, il procedimento svolto dinanzi all'istanza precedente non ha violato il diritto a un processo equo dell'insorgente.
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4.
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La ricorrente contesta la sua condanna per riciclaggio di denaro. Censura gli accertamenti relativi sia all'origine del denaro confluito sul conto ddd sia all'aspetto soggettivo del reato, come pure l'idoneità vanificatoria di alcuni degli atti riciclatori in giudizio, nonché la confiscabilità dei valori patrimoniali giunti sul citato conto.
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4.1. Si rende colpevole di riciclaggio di denaro ai sensi dell'art. 305bis n. 1 CP (nella versione in vigore fino al 31 dicembre 2015) chiunque compie un atto suscettibile di vanificare l'accertamento dell'origine, il ritrovamento o la confisca di valori patrimoniali sapendo o dovendo presumere che provengono da un crimine.
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Il comportamento punibile consiste nel mettere al riparo da misure delle autorità penali i valori patrimoniali ottenuti illecitamente dal reato a monte. L'art. 305bis CP tutela in primo luogo l'amministrazione della giustizia nell'esecuzione della pretesa confiscatoria dello Stato, rispettivamente l'interesse pubblico al buon funzionamento della giustizia penale (DTF 145 IV 335 consid. 3.1). L'art. 305bis n. 3 CP estende la tutela penale all'amministrazione della giustizia estera e quindi alle pretese confiscatorie estere, quanto meno nella misura in cui la Svizzera garantisce allo Stato in questione l'assistenza giudiziaria per esercitare il suo diritto di confisca (DTF 145 IV 335 consid. 3.3).
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4.1.1. La giurisprudenza ha posto l'accento sull'atto suscettibile di vanificare la confisca, atto che di per sé include anche quello suscettibile di vanificare l'accertamento dell'origine e il ritrovamento dei valori patrimoniali. Il comportamento è quindi punibile se è idoneo a compromettere la confisca del prodotto del crimine. Il reato a monte deve pertanto essere la causa essenziale e adeguata dell'ottenimento dei valori patrimoniali e questi devono provenire tipicamente dal reato in questione (DTF 138 IV 1 consid. 4.2.3.2; 137 IV 79 consid. 3.2).
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In ragione del suo carattere accessorio, la fattispecie di riciclaggio di denaro presuppone, oltre alla dimostrazione dell'atto di riciclaggio, anche quella del crimine a monte e della provenienza dei valori patrimoniali da tale reato (DTF 145 IV 355 consid. 3.1). Con particolare riguardo al riciclaggio di denaro di un'organizzazione criminale, è sufficiente provare l'esistenza di un antefatto criminoso senza necessariamente avere precise conoscenze dello stesso né del suo autore. Non è possibile esigere la dimostrazione di un nesso causale naturale e adeguato tra ognuno dei singoli crimini perpetrati nell'ambito dell'organizzazione e i valori patrimoniali riciclati. Il legame "volontariamente tenue" tra il reato a monte all'origine dei fondi e il loro riciclaggio (v. DTF 120 IV 323 consid. 3d) è accertato a sufficienza con la prova che i crimini sono stati commessi nell'ambito dell'organizzazione e che i valori patrimoniali provengono da quest'ultima. Anche se l'origine criminosa è solo indiretta, occorre allora che sia dato un rapporto causale naturale e adeguato tra i crimini, considerati globalmente, e i valori patrimoniali (DTF 138 IV 1 consid. 4.2.3.2). Nella sentenza testé citata, il Tribunale federale ha lasciato indecisa la questione di sapere se, per l'applicazione dell'art. 305bis CP, la presunzione dell'art. 72 CP sia sufficiente per stabilire l'origine criminosa dei fondi trovati in possesso di un membro dell'organizzazione criminale. In una successiva sentenza non pubblicata, il Tribunale federale ha tuttavia rilevato che dagli art. 72 e 260ter CP non è possibile dedurre che i valori patrimoniali di cui un'organizzazione criminale ha facoltà di disporre provengono, indipendentemente da come siano stati ottenuti, da un crimine ai sensi dell'art. 305bis CP, rispettivamente possono essere oggetto di riciclaggio (sentenza 6B_238/2013 del 22 novembre 2013 consid. 11.7.2).
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Solo i valori patrimoniali confiscabili possono essere oggetto di riciclaggio di denaro. L'applicazione dell'art. 305bis CP richiede dunque che il reato a monte non sia prescritto al momento della commissione dell'atto vanificatorio. Non è infatti possibile vanificare una confisca se non esiste più la relativa pretesa in quanto prescritta (DTF 145 IV 335 consid. 3.2 e 3.3). Nel caso in cui il reato a monte sia stato perpetrato all'estero, in assenza di un'autonoma pretesa confiscatoria svizzera, la punibilità del riciclaggio di denaro presuppone che, al momento della commissione dei presunti atti riciclatori, una confisca sarebbe concepibile secondo il pertinente diritto estero. In caso contrario, l'amministrazione della giustizia estera non disporrebbe di alcun interesse alla confisca giuridicamente protetto dall'art. 305bis CP (DTF 145 IV 335 consid. 4.4). Quando i valori patrimoniali oggetto di una possibile confisca provengono da un reato commesso all'estero, il termine di prescrizione della pretesa confiscatoria si determina sulla scorta del diritto del luogo in cui tale reato è stato perpetrato (DTF 126 IV 255 consid. 3b/bb e 4c).
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4.1.2. Sotto il profilo soggettivo, il riciclaggio di denaro è un reato intenzionale e il dolo eventuale è sufficiente (DTF 122 IV 211 consid. 2e). Oltre all'atto vanificatorio in quanto tale, l'intenzione deve riferirsi anche all'origine criminosa dei valori patrimoniali oggetto di riciclaggio. L'art. 305bis n. 1 CP esige infatti che l'autore sappia o quanto meno debba presumere che i valori patrimoniali provengono da un crimine. Basta a tal proposito che vi siano elementi che inducano a sospettare la possibilità che i valori patrimoniali siano frutto di un antefatto penalmente rilevante. È quindi sufficiente che l'autore sia a conoscenza di circostanze che portino a intuire l'origine criminosa del denaro, non dovendo per contro sapere quale reato sia stato commesso in concreto (DTF 119 IV 242 consid. 2b). Agisce con dolo eventuale l'autore che presume con una certa probabilità un'origine criminosa dei valori patrimoniali, ma evita qualsiasi controllo per non dover scoprire la verità (sentenza 6B_627/2012 del 18 luglio 2013 consid. 1.2).
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In mancanza di confessioni, il giudice può, di regola, dedurre la volontà dell'interessato fondandosi su indizi esteriori e regole d'esperienza. Può desumere la volontà dell'autore da ciò che questi sapeva, laddove la possibilità che l'evento si produca era tale da imporsi all'autore, di modo che si possa ragionevolmente ammettere che lo abbia accettato (DTF 137 IV 1 consid. 4.2.3; 133 IV 222 consid. 5.3 e rinvii). Tra gli elementi esteriori, da cui è possibile dedurre che l'agente ha accettato l'evento illecito nel caso che si produca, figurano in particolare la gravità della violazione del dovere di diligenza e la probabilità, nota all'autore, della realizzazione del rischio. Quanto più grave è tale violazione e quanto più alta è la probabilità che tale rischio si realizzi, tanto più fondata risulterà la conclusione che l'autore, malgrado i suoi dinieghi, aveva accettato l'ipotesi che l'evento considerato si realizzasse (DTF 138 V 74 consid. 8.4.1; 135 IV 12 consid. 2.3.2). Altri elementi esteriori rivelatori possono essere il movente dell'autore e il modo nel quale egli ha agito (DTF 130 IV 58 consid. 8.4; 125 IV 242 consid. 3c).
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Quello che l'autore sa, vuole o prende in considerazione sono questioni di fatto (DT F 141 IV 369 consid. 6.3), che vincolano il Tribunale federale, tranne se accertate in modo manifestamente inesatto, ovvero arbitrario (DTF 143 IV 500 consid. 1.1), o in violazione del diritto (art. 105 cpv. 1 e 2 LTF), e sindacabili in questa sede alle medesime condizioni (art. 97 cpv. 1 LTF; v. supra consid. 2).
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4.2. L'origine dei valori patrimoniali
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4.2.1. Il TPF ha ritenuto che l'origine dei fondi confluiti sul conto ddd fosse da ricondurre alle immense liquidità generate dal narcotraffico commesso nell'ambito dell'organizzazione F.________. Dopo aver illustrato la natura e l'evoluzione delle cosche F.________ e D.________ sulla scorta di diverse sentenze italiane agli atti, ha evidenziato che, durante la loro militanza nell'organizzazione di stampo 'ndranghetoso di F.________ negli anni Ottanta fino al loro arresto agli inizi del 1996, D1.________ e D2.________ svolgevano attività illecite generanti ingentissime disponibilità di denaro contante, senza che sussistessero prove di una loro attività professionale lecita. G.________ e il marito D3.________ non erano affiliati alla cosca F.________. Al momento dell'apertura del conto ddd nel 1995, avevano 25 rispettivamente 29 anni, lei titolare di un diploma di ragioneria e lui artigiano, socio di P.________ S.a.s. insieme al fratello D1.________ e a I.________, moglie di D2.________. L'alimentazione del conto ddd tuttavia mal si concilia con l'asserito versamento di risparmi conseguiti con l'autolavaggio o di neri fiscali. Nel periodo gennaio-agosto 1995, continua il TPF, si sono infatti registrati versamenti per cassa per un importo globale superiore al miliardo di lire italiane, modalità e liquidità incompatibili con un'attività lecita e che ben difficilmente avrebbe potuto generare l'esercizio dell'autolavaggio. Ma non solo. Malgrado D3.________ sia sempre stato indicato dalla moglie quale reale proprietario economico dei fondi, egli non aveva alcun potere dispositivo sul conto. Lo aveva per contro I.________. L'autorità precedente ha inoltre rilevato come D1.________, esponente di spicco del gruppo 'ndranghetoso senza provata attività lecita, fosse associato alla società gerente l'autolavaggio e come questa di riflesso gravitasse attorno all'organizzazione capeggiata da F.________, le cui attività producevano, nel periodo antecedente e concomitante l'alimentazione del conto ddd, cospicue liquidità a seguito del narcotraffico. Anche se l'origine criminosa è indiretta, il TPF ha ritenuto un rapporto causale naturale e adeguato tra i valori patrimoniali confluiti sul conto ddd e l'attività esclusivamente illecita dell'organizzazione F.________, in cui D1.________ e D2.________ militavano con ruoli apicali, considerata nella sua globalità e comprensiva pure dell'autolavaggio formalmente gestito da D3.________.
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4.2.2. Secondo la ricorrente, l'accertamento sull'origine criminosa dei valori patrimoniali presenti sul conto ddd e l'esclusione della loro riconduzione economica a D3.________ sarebbero "frutto di diversi arbitri". Rileva che il TPF avrebbe costruito la sua motivazione su stralci di sentenze italiane relative alla cosca F.________, a cui però il marito D3.________ non sarebbe appartenuto. L'autorità precedente avrebbe considerato l'attività della P.________ S.a.s riconducibile alla citata cosca, ciò che però sarebbe smentito proprio dalle sentenze di condanna di D1.________ e D2.________ per la loro appartenenza alla stessa, rese sulla base, tra l'altro, delle intercettazioni ambientali che avrebbero dovuto essere acquisite anche in questo procedimento. La partecipazione di D1.________ al capitale sociale della predetta società, peraltro senza ruoli gestionali, non sarebbe idonea a fondare la presunzione di un controllo dell'attività da parte dell'organizzazione criminale a cui apparteneva. L'assenza di prove circa l'origine criminosa del denaro del conto ddd risulterebbe inoltre dalle mere supposizioni formulate dal TPF, tra cui quella per cui le modalità dell'alimentazione del conto sarebbero incompatibili con un'attività lecita. L'insorgente sostiene infatti che il marito si sarebbe sottratto integralmente all'imposizione dello Stato italiano e osserva che il rapido spostamento di capitali in contanti sarebbe stata un'attività precipua della piazza finanziaria del Cantone Ticino negli anni '70, '80 e '90. Il TPF si riferirebbe inoltre al solo autolavaggio, dimenticando l'attività della X.________ S.a.s. L'autorità precedente non avrebbe esperito alcun accertamento su D3.________. Essa riterrebbe altresì che il conto ddd fosse sotto il controllo dei fratelli D.________ e ciò senza alcuna prova né motivazione, e quindi in modo arbitrario. Nulla potrebbe infatti essere dedotto dalla procura che I.________, moglie di D2.________, disponeva su tale conto, non potendo essere considerata un tutt'uno con il marito e non essendo mai stata condannata. Secondo la ricorrente, la fumosità e l'inconsistenza del ragionamento del TPF raggiungerebbero il loro parossismo laddove quest'ultimo includerebbe nell'attività illecita della cosca 'ndranghetosa F.________ pure l'autolavaggio gestito da D3.________, dimostrando così di ignorare la provenienza dei fondi in parola a causa dell'assenza di istruzione in merito, ciò che costituirebbe una violazione dell'art. 6 CPP. L'autorità precedente sembrerebbe ritenere che, quand'anche i fondi provenissero dall'autolavaggio, vi sarebbe comunque un'origine criminosa indiretta riconducibile all'organizzazione criminale. L'insorgente rileva tuttavia che, nella denegata ipotesi che la cosca avesse avuto il controllo sull'attività economica lecita dell'autolavaggio, i valori patrimoniali che ne deriverebbero non sarebbero confiscabili, perché la presunzione dell'art. 72 CP non potrebbe essere applicata per qualificare come criminosa l'origine del denaro. Errerebbe quindi il TPF nel richiamarsi alla confiscabilità estesa dell'art. 12sexies del d.l. 306/1992.
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4.2.3. Occorre innanzitutto puntualizzare che, contrariamente a quanto preteso nel ricorso, il TPF non ha ritenuto che l'attività dell'autolavaggio fosse riconducibile o controllata alla cosca F.________. Si è limitato a rilevare come D1.________, eminente esponente della compagine 'ndranghetosa senza provata attività lecita, fosse associato alla società gerente l'autolavaggio e come la stessa gravitasse di riflesso attorno all'organizzazione all'epoca capeggiata da F.________, le cui attività di narcotraffico producevano cospicue liquidità nel periodo antecedente e concomitante l'alimentazione del conto ddd. Che D1.________ fosse socio, anche se non gerente, della società è del resto ammesso dalla stessa insorgente. Come obiettato nel gravame, le sentenze italiane relative al reato a monte non si sono chinate sul conto ddd. Nulla indica però che tale conto fosse noto alle autorità estere e del resto nemmeno la ricorrente lo pretende. Di modo che dal silenzio delle citate sentenze in merito al conto non può essere escluso che i relativi valori patrimoniali abbiano un'origine criminosa. Appare poi sorprendente che, nel rimproverare all'autorità precedente di aver negletto l'attività del marito di vendita e importazione di auto, la ricorrente citi il di lui verbale di interrogatorio, ovvero uno dei verbali di cui anche in questa sede ha ribadito l'inutilizzabilità e censurato la mancata estromissione (v.
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La sentenza impugnata precisa che la ricorrente, formale titolare e avente diritto economico del conto ddd, ha negato che il denaro ivi depositato fosse di sua pertinenza, indicando il marito quale proprietario economico, il conto essendo destinato ad accogliere i risparmi da lui conseguiti con la sua attività professionale. Sennonché, il TPF ha evidenziato che egli non aveva poteri dispositivi sullo stesso, contrariamente a I.________, sua socia insieme al di lui fratello D1.________ nell'autolavaggio. L'autorità precedente ha in seguito rilevato che il conto è stato alimentato con versamenti per cassa per un importo globale superiore al miliardo di lire italiane tra il gennaio e non oltre l'agosto 1995. Come pertinentemente osservato dal TPF, gli importi e la tempistica di tale alimentazione mal si conciliano con pretesi risparmi o neri fiscali. Del resto, dopo l'agosto 1995, il conto non è più stato alimentato. Non risulta tuttavia che a partire da quel momento D3.________, indicato dalla moglie quale reale avente diritto economico del denaro, abbia cessato l'attività dell'autolavaggio, ceduta solo nel 1997, o qualsiasi altra attività redditizia da cui ricavare dei risparmi o dei neri fiscali, ricordato inoltre che egli è definito quale "artigiano" negli atti pubblici relativi alla società P.________ S.a.s. Né ciò è preteso dall'insorgente neppure con riguardo all'attività di vendita e importazioni di auto che rimprovera all'autorità precedente di aver negletto di considerare. Per contro, è assodato che, nel periodo precedente e concomitante l'alimentazione del conto ddd, la cosca F.________, a cui appartenevano i fratelli D1.________ e D2.________, era dedita a un importante traffico di stupefacenti che produceva cospicue liquidità. Con mente poi al periodo in cui si constata un'interruzione dell'alimentazione del conto, appare inoltre eloquente come esso praticamente coincida con l'intervento degli inquirenti italiani nei confronti di F.________ (nel giugno 1995) rispettivamente di D1.________ e D2.________ (all'inizio del 1996), membri della cosca 'ndranghetosa attiva nel narcotraffico. Non solo. Dal rapporto della divisione Analisi Finanziaria Forense del MPC, richiamato nella sentenza impugnata e nel gravame, emerge altresì che, dalla sua apertura sino alla sua chiusura, dal conto ddd sono stati pagati i premi per le polizze assicurative in favore di D1.________ e D2.________ (v. incarto 11.1.43 segg.). Tutti questi elementi hanno indotto il TPF a concludere che i valori patrimoniali del conto ddd fossero riconducibili ai fratelli D1.________ e D2.________ e non a D3.________ e ancor meno a G.________, che ha esplicitamente negato fossero di sua pertinenza. Avendo i tribunali italiani accertato che D1.________ e D2.________ non esercitavano alcuna attività lecita, ma appartenevano al consesso criminale votato al narcotraffico da cui scaturivano cospicui guadagni di cui solo una minima parte ha potuto essere confiscata, l'autorità precedente ha infine ritenuto che proprio l'ingentissima liquidità generata da tale narcotraffico è alla base dell'intera alimentazione in valori patrimoniali del conto ddd.
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Orbene, l'esistenza di un diritto dispositivo sulla relazione bancaria di I.________, moglie di D2.________, la natura e la tempistica dell'alimentazione del conto ddd considerate in parallelo all'attività e alle vicissitudini giudiziarie della cosca F.________, a cui appartenevano D1.________ e D2.________, nonché il pagamento di polizze assicurative intestate a questi ultimi a debito del citato conto sono gli elementi fattuali alla base dell'accertamento per cui la relazione bancaria è "rimasta anche in seguito nella disponibilità e sotto il controllo dei fratelli D.________". Erra quindi la ricorrente quando pretende che esso sarebbe privo di fondamento. Se, presi singolarmente, sono lungi dal sorreggerlo, è senz'altro sostenibile dedurre tale accertamento dal collegamento di questi elementi, in quanto globalmente convergenti.
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Inconferenti risultano infine le considerazioni ricorsuali sulla non confiscabilità degli introiti dell'autolavaggio, nel caso in cui lo si considerasse riconducibile all'organizzazione criminale. Infatti, benché il TPF abbia menzionato anche questa attività nelle sue conclusioni, poco prima esso accerta che il narcotraffico commesso nell'ambito dell'organizzazione F.________ ha "generato quell'ingentissima liquidità alla base dell'intera alimentazione in valori patrimoniali pervenuti su ddd" (sentenza impugnata pag. 21).
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In simili circostanze, non vi è alcuna violazione del diritto nel ritenere l'origine criminosa dei valori patrimoniali del conto ddd, in quanto frutto di un importante narcotraffico, ossia di reati che costituiscono dei crimini secondo il diritto svizzero (v. art. 19 cpv. 2 LStup; sentenza 6B_1441/2019 del 30 marzo 2020 consid. 2.4).
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4.3. Confiscabilità dei valori patrimoniali del conto
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4.3.1. Dopo aver illustrato l'assetto confiscatorio dell'ordinamento italiano e ricordato che, secondo le sentenze italiane passate in giudicato relative alla cosca F.________, solo una minima parte delle cospicue disponibilità di denaro generate dall'importante narcotraffico ha potuto essere confiscato, il TPF ha accertato un nesso di pertinenzialità tra, da un lato, il traffico di stupefacenti e il connesso illecito guadagno e, dall'altro, i valori patrimoniali pervenuti sul conto ddd e anch'essi sgorganti da dette attività illecite a cui era dedita la cosca F.________ e i suoi componenti. In virtù di questo nesso, sarebbero aperti alle autorità italiane tutti gli istituti ablativi, tra cui quelli degli art. 240 e 416 bis del Codice penale italiano (CP/I), oltre alle misure di prevenzione patrimoniali previste dal Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo italiano del 6 settembre 2011, n. 159 (d.l. 159/2011). Anche l'istituto ablativo di cui all'art. 12 sexies del decreto legge n. 306 dell'8 giugno 1992, convertito nella legge n. 356 dell'8 luglio 1992 (d.l. 306/1992), entrerebbe in linea di conto. Il TPF ha quindi ritenuto che, alla luce del pertinente ordinamento, sussisteva e sussiste una pretesa confiscatoria dell'Italia sui valori patrimoniali giunti sul conto ddd, per l'attuazione della quale la Svizzera concederebbe la necessaria assistenza giudiziaria.
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4.3.2. A mente della ricorrente, l'art. 12 sexies d.l. 306/1992 richiamato dal TPF sarebbe paragonabile all'art. 72 CP, che però non rientrerebbe nel concetto di confisca giusta l'art. 305bis CP. Rileva poi che neppure una confisca ordinaria sarebbe possibile, né in base al diritto italiano, né in base a quello svizzero. Con riferimento al traffico di stupefacenti commesso all'estero, ritenuto in casu essere il reato a monte del riciclaggio, l'art. 19 cpv. 4 LStup imporrebbe di applicare la legge più favorevole tra quella del luogo di commissione e quella elvetica. Questa regola dovrebbe applicarsi anche alla confisca, se le autorità svizzere si dichiarassero competenti, come nella fattispecie. Sennonché, secondo il diritto svizzero la pretesa confiscatoria per il reato a monte sarebbe prescritta, atteso che l'attività di narcotraffico della cosca F.________ risalirebbe agli anni 1985/1986. Con la prescrizione della pretesa confiscatoria, conclude l'insorgente, difetterebbe un presupposto oggettivo del riciclaggio di denaro.
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4.3.3. Può essere lasciata indecisa la questione di sapere se l'art. 12 sexies d.l. 306/1992 sia effettivamente paragonabile all'art. 72 CP e se possa fondare una pretesa di confisca tutelata dall'art. 305bis n. 3 CP. Il TPF ha infatti ritenuto che tale pretesa derivasse anche dagli art. 240 e 416 bis cpv. 7 CP/I, oltre che dall'art. 24 d.l. 159/2011, ciò che la ricorrente non censura con una motivazione sufficiente, limitandosi ad affermare che "la confisca ordinaria italiana non sarebbe più possibile". Nell'ambito di un ricorso in materia penale, il Tribunale federale esamina il diritto estero solo sotto il ristretto profilo dell'arbitrio (sentenza 6B_122/2017 dell'8 gennaio 2019 consid. 5.4 con rinvii). Le relative critiche ricorsuali devono dunque adempiere le accresciute esigenze di motivazione dell'art. 106 cpv. 2 LTF, nella fattispecie non rispettate. Non vi è dunque motivo di soffermarsi oltre.
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Vero è che, alla luce della ritenuta origine dei valori patrimoniali pervenuti sul conto ddd (v. supra consid. 4.2.3), la loro confiscabilità potrebbe fondarsi anche sull'art. 24 cpv. 1 LStup, a tenore del quale i vantaggi pecuniari illeciti collocati in Svizzera sono devoluti allo Stato anche quando l'infrazione [alla LStup] è stata commessa all'estero. Questa disposizione consacra una competenza universale della Svizzera per la confisca in caso di reati alla LStup (GUSTAV HUG-BEELI, Betäubungsmittelgesetz [BetmG]: Kommentar zum Bundesgesetz über die Betäubungsmittel und die psychotropen Stoffe vom 3. Oktober 1951, 2016, n. 2 ad art. 24 LStup; PETER ALBRECHT, Die Strafbestimmungen des Betäubungsmittelgesetzes [art. 19-28 BetmG], 3a ed. 2016, n. 1 ad art. 24 LStup; BENOĚT MAURON, Interactions entre blanchiment et confiscation, notamment dans un contexte international, AJP/PJA 2021 pag. 378; MOREILLON/NICOLET, La créance compensatrice, RPS 135/2017 pag. 421). Giusta l'art. 70 cpv. 3 CP, il diritto di ordinare la confisca si prescrive in sette anni; se il perseguimento del reato soggiace a una prescrizione più lunga, questa si applica anche alla confisca. Se l'infrazione è stata commessa all'estero, il termine di prescrizione si determina essenzialmente sulla scorta del diritto estero (MARCEL SCHOLL, in Kommentar Kriminelles Vermögen - Kriminelle Organisationen, vol. I, 2018 § 4 Vermögenseinziehung, n. 401 ad art. 70 CP; TRECHSEL/JEAN-RICHARD, in Schweizerisches Strafgesetzbuch, Praxiskommentar, 4a ed. 2021, n. 15 ad art. 70 CP; ACKERMANN/ZEHNDER, in Kommentar Kriminelles Vermögen - Kriminelle Organisationen, vol. II, 2018, § 11 Geldwäscherei, n. 332 ad art. 305bis CP). Nella DTF 126 IV 255 consid. 4c, il Tribunale federale ha ritenuto che, nell'ambito delle infrazioni alla LStup commesse all'estero, si potesse far capo alternativamente anche al diritto svizzero per stabilire il termine di prescrizione delle pretese confiscatorie, in applicazione analogica dell'art. 19 cpv. 4 LStup. La stessa soluzione è avanzata anche dalla dottrina, con esplicito richiamo a tale sentenza (GUSTAV HUG-BEELI, op. cit., n. 108 ad art. 24 LStup; FINGERHUTH/SCHLEGEL/JUCKER, BetmG Kommentar: Betäubungsmittelgesetz mit weiteren Erlassen, 3a ed. 2016, n. 6 ad art. 24 LStup; HANS MAURER, in StGB, JStG: Kommentar, 20a ed. 2018, n. 1b ad art. 24 LStup; MICHEL DUPUIS ET AL., Code pénal, petit commentaire, 2a ed. 2017, n. 28 ad art. 70 CP; FLORIAN BAUMANN, in Basler Kommentar, Strafrecht I, 4a ed. 2019, n. 64 ad art. 70/71 CP; MADELEINE HIRSIG-VOUILLOZ, in Commentaire romand, Code pénal I, 2a ed. 2021, n. 63 ad art. 70 CP). Posteriormente all'emanazione della citata DTF, l'art. 19 cpv. 4 LStup è stato modificato. Nella sua nuova versione in vigore dal 1° luglio 2011, oltre a prevedere la punibilità in virtù degli art. 19 cpv. 1 e 2 LStup di chiunque ha commesso l'atto all'estero, si trova in Svizzera e non è estradato, sempreché l'atto sia punibile anche nel luogo in cui è stato commesso, l'art. 19 cpv. 4 LStup dichiara applicabile la legge di tale luogo se è più favorevole all'autore nonché l'art. 6 CP. Da questa nuova formulazione l'insorgente deduce l'obbligo di applicare il diritto più favorevole anche alla pretesa confiscatoria. Non occorre prendere posizione su questa tesi perché, anche volendo per ipotesi aderirvi, nulla muterebbe in concreto. Oggetto di questo procedimento non è infatti un'infrazione alla LStup, bensì il reato di riciclaggio di denaro. L'art. 24 LStup fonda una pretesa confiscatoria svizzera. Ciò non esclude l'esistenza (parallela) di pretese confiscatorie estere, tutelate allo stesso titolo di quelle svizzere dall'art. 305bis CP (v. supra consid. 4.1). Peraltro, il Tribunale federale ha già avuto modo di stabilire che, malgrado l'intervenuta prescrizione di pretese confiscatorie svizzere, un atto vanificatorio della confisca ai sensi dell'art. 305bis CP è ancora possibile ove persista una pretesa confiscatoria estera secondo il pertinente diritto estero e la Svizzera conceda allo Stato estero interessato l'assistenza giudiziaria per far valere tale pretesa indipendentemente dall'eventuale prescrizione assoluta intervenuta sulla base del diritto interno, la limitazione posta dall'art. 5 cpv. 1 lett. c AIMP (RS. 351.1) non trovando applicazione. Ciò vale in particolare nell'ambito dell'assistenza giudiziaria internazionale disciplinata dalla Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale del 20 aprile 1959 (DTF 126 IV 255 consid. 3b/bb; v. pure DTF 136 IV 4 consid. 6.3), a cui sia la Svizzera sia l'Italia sono parti.
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Orbene, il TPF ha accertato la sussistenza di pretese confiscatorie italiane al momento della commissione degli imputati atti riciclatori. Sicché anche la condizione della confiscabilità dei valori patrimoniali oggetto del riciclaggio di denaro qui in giudizio è data, a prescindere da un'eventuale intervenuta prescrizione di una pretesa confiscatoria svizzera.
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4.4.
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4.4.1. Tra le condotte qualificate quali atti di riciclaggio di denaro, il TPF ha ritenuto anche la sottoscrizione di due formulari A in cui la ricorrente è indicata, contrariamente al vero, avente diritto economico dei valori patrimoniali depositati sul conto cifrato ddd, rispettivamente sul conto cifrato fff. Secondo l'autorità precedente, l'indicazione di un avente diritto economico dei valori patrimoniali diverso da quello reale è potenzialmente idonea a vanificare il ritrovamento e la confisca di tali averi.
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4.4.2. A mente dell'insorgente, la sua sottoscrizione del formulario A non potrebbe essere considerata un atto di riciclaggio né con riferimento al conto ddd, né con riferimento al conto fff. Nel primo caso, si sarebbe limitata a confermare di essere la beneficiaria economica di valori già presenti sul conto rimasto intestato sempre alla medesima persona. Nel secondo caso, la sottoscrizione sarebbe connessa all'apertura del nuovo conto fff, e la semplice apertura di un conto non costituirebbe un atto punibile di riciclaggio.
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4.4.3. Il riciclaggio di denaro ha per fine la sottrazione all'autorità penale del prodotto del crimine. Il comportamento incriminato consiste nell'ostacolare l'accesso dell'autorità penale al bottino del reato, rendendo più arduo stabilire un legame tra i valori patrimoniali e il crimine, e può essere realizzato da qualsiasi atto suscettibile di vanificare l'accertamento dell'origine, il ritrovamento o la confisca di valori patrimoniali di origine criminosa (DTF 145 IV 335 consid. 3.1; 136 IV 188 consid. 6.1). La delimitazione dell'atto punibile da quello non punibile viene fatta nel caso concreto, esaminando di volta in volta se il comportamento è tale da vanificare la confisca del prodotto del crimine (DTF 144 IV 172 consid. 7.2.2). Va comunque osservato che il riciclaggio di denaro non richiede operazioni finanziarie complicate: anche gli atti più semplici possono essere adeguati (DTF 128 IV 117 consid. 7a; 127 IV 20 consid. 3a con rinvii).
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Una delle strategie tipiche adottate per vanificare l'accertamento dell'origine, il ritrovamento o la confisca di valori patrimoniali consiste nel creare una distanza personale tra tali valori e l'autore del reato a monte. Una simile distanza può essere creata in particolare ingannando sull'identità dell'avente diritto economico dei valori patrimoniali (v. ACKERMANN/ZEHNDER, op. cit., n. 416 ad art. 305bis CP; MARK PIETH, in Basler Kommentar, Strafrecht II, 4a ed. 2019, n. 42 e 48 ad art. 305bis CP; CHRISTINE EGGER TANNER, Die strafrechtliche Erfassung der Geldwäscherei: ein Rechtsvergleich zwischen der Schweiz und der Bundesrepublik Deutschland, 1999, pag. 130). Questa posizione dottrinale può essere condivisa, nella misura in cui un'indicazione fallace dell'avente diritto economico di valori patrimoniali può dissimulare il legame tra questi e l'autore del reato a monte ed essere potenzialmente idonea a vanificare il ritrovamento e quindi la confisca dei valori patrimoniali. Non per niente l'identificazione dell'avente economicamente diritto è uno degli obblighi imposti agli intermediari finanziari dalla legge sul riciclaggio di denaro (LRD; RS 955.0) che disciplina appunto (tra l'altro) la lotta contro il riciclaggio di denaro ai sensi dell'art. 305bis CP (art. 1 e art. 4 LRD). La carente diligenza in operazioni finanziarie punita dall'art. 305ter CP, disposizione che tutela l'amministrazione della giustizia come anche l'art. 305bis CP, ha a sua volta lo scopo di raccogliere le informazioni suscettibili di facilitare le inchieste penali sull'origine dei valori patrimoniali (DTF 136 IV 127 consid. 3.1.3.2). L'identità dell'avente economicamente diritto è dunque di sicuro rilievo in materia di riciclaggio di denaro.
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Ciò tuttavia non significa che l'indicazione nel formulario A di un avente diritto economico dei valori patrimoniali diverso da quello reale costituisca necessariamente un atto di riciclaggio a sé stante. Di regola, infatti, essa è fornita in occasione dell'apertura di una relazione bancaria. Orbene, nella sentenza 6B_217/2013 del 28 luglio 2014 consid. 3.2, il Tribunale federale ha tutelato una decisione in cui si considerava la fase di apertura di un conto bancario assorbita dal versamento di denaro sullo stesso, essendo essa solo un passo del progetto di riciclaggio, presupposto per il successivo versamento o temporaneo transito dei valori patrimoniali di origine criminosa. Non può essere altrimenti della compilazione del formulario A con l'indicazione di un avente diritto economico diverso da quello reale, quanto meno se avviene contestualmente all'apertura di una relazione bancaria. Ci si potrebbe chiedere se, in talune costellazioni, non sia comunque ipotizzabile un atto di riciclaggio consistente già solo nell'indicazione di un avente economicamente diritto diverso da quello reale, in particolare ove tale indicazione sia fornita in seguito a una richiesta fondata sull'art. 5 LRD. La questione può in concreto restare indecisa, dal momento che, né secondo l'atto d'accusa né secondo la sentenza impugnata, l'indicazione incriminata è avvenuta nel contesto di una situazione contemplata dall'art. 5 LRD.
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Sia il conto ddd, sia il conto fff, ove sono confluiti i valori patrimoniali del conto ddd dopo essere transitati su un altro conto, sono intestati alla ricorrente. Nei relativi formulari A ella risulta pure esserne l'avente diritto economico. L'insorgente ha riconosciuto la propria firma apposta in calce ai formulari e disconosciuto la riconduzione economica alla sua persona dei valori patrimoniali in questione. Il TPF ha riconosciuto il carattere vanificatorio dei prelievi per cassa dal conto ddd (capi d'accusa 1.3.1.19 e 1.3.1.20), del bonifico a debito del conto ddd a favore del conto intestato alla società K.________ Ltd. a Dubai (capo d'accusa 1.3.1.21), del successivo trasferimento di denaro da quest'ultimo conto al conto fff intestato alla ricorrente presso una banca delle Bahamas (capo d'accusa 1.3.1.22), nonché di quattro ulteriori bonifici a debito del conto fff a favore di un conto intestato a D3.________ presso una banca di g.________ (capi d'accusa 1.3.1.24-1.3.1.27). In simili circostanze, l'indicazione di un avente diritto economico fittizio dei fondi nei formulari A relativi ai conti ddd e fff non può essere considerata come autonomo atto di riciclaggio, di modo che, condannando l'insorgente per titolo di riciclaggio di denaro anche in relazione ai punti 1.3.2.1 e 1.3.2.2, il TPF ha violato l'art. 305bis CP.
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4.5. Dolo
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4.5.1. Il TPF ha rilevato che la ricorrente, titolare e dichiarata avente diritto economico del conto ddd, ha sempre affermato di aver creduto che i valori patrimoniali confluitivi fossero riconducibili ai risparmi conseguiti dal marito. Pur sapendo quindi di non essere l'avente diritto economico, ha indicato alla banca di esserlo. Per l'autorità precedente, ciò costituisce una sensibile violazione di un dovere nei confronti della banca sottoposta agli obblighi antiriciclaggio. All'insorgente era poi anche nota la condanna per associazione a delinquere di stampo mafioso dei cognati D1.________ e D2.________. Nel 2012, si è recata insieme al marito e a B.________ dal fiduciario A.________ e conferito alla società di quest'ultimo l'incarico di intraprendere le ricerche del conto. In uno degli incontri tenutosi con il fiduciario era presente anche D1.________. Una volta rintracciato il conto, la ricorrente ha ritirato la corrispondenza afferente la relazione bancaria e sottoscritto il benestare, datato 16 maggio 2012, che riportava il valore complessivo del portafoglio titoli per un importo pari a fr. 1'720'801.73. Il 16 maggio 2012, continua il TPF, ella dunque conosceva senza ombra di dubbio l'avere in conto depositato sul cifrato ddd. Il 31 maggio 2012, in occasione di una visita nella banca in cui era stato ritrovato il conto, l'insorgente ha ordinato di non eseguire pagamenti alla compagnia assicurativa in relazione alle polizze annullate e intestate ai cognati D1.________ e D2.________ e di vendere il deposito titoli, monetizzando gli averi in conto, ha fornito un recapito telefonico italiano, approvato tutte le operazioni fino ad allora effettuate e prelevato euro 30'000.--. Ha inoltre depositato nuovamente la firma convenuta, da impiegare per il cifrato ddd, e soprattutto ha confermato di essere la proprietaria economica degli averi in conto, sottoscrivendo un nuovo formulario A. I giudici precedenti hanno scorto nella rinnovata dichiarazione di titolarità economica una crassa violazione della ricorrente dell'obbligo che le incombeva nei confronti dell'istituto bancario, concretizzata del resto dalla confezione di un falso intellettuale in documenti. Tale violazione al CP, conclude il TPF, è di una gravità tale da ingenerare la prova dell'insorgenza quanto alla consapevolezza dell'insorgente dell'origine criminosa dei valori patrimoniali. Ha quindi ritenuto dato un dolo eventuale a partire dal 31 maggio 2012.
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4.5.2. Secondo la ricorrente, gli accertamenti alla base degli indizi utilizzati per ritenere un dolo eventuale sarebbero frutto di arbitrio. Avrebbe appreso delle condanne dei cognati dai giornali e si sarebbe recata in carcere con i nipoti come "semplice atto cristiano". Non si tratterebbe quindi di indizi, e ancor meno può esserlo la procura in favore di I.________, di cui avrebbe indicato di ignorarne l'esistenza. In modo arbitrario, il TPF ometterebbe di accertare che, negli anni '90, lei sarebbe venuta un'unica volta in Svizzera e non vi avrebbe portato soldi e che sarebbe stata all'oscuro della chiusura del conto eee. L'insorgente sottolinea che sarebbe sempre stata accompagnata dal marito e sarebbe stato lui a ricevere i soldi prelevati. D3.________ risulterebbe quindi di centrale importanza per giudicare dell'aspetto soggettivo del reato. Sulla scorta delle dichiarazioni di B.________ e del consulente bancario T.________, l'insorgente ritiene arbitrario l'accertamento per cui ella volesse rappresentare falsamente la realtà nei formulari A, nella misura in cui non sapeva cosa stesse firmando e si sarebbe trattato di una mera formalità in seguito del cambiamento di logo e di formulistica conseguente all'acquisizione dell'originario istituto bancario. Sarebbe del resto erroneo considerare il suo comportamento una crassa violazione di un suo obbligo nei confronti della banca, perché la violazione sarebbe semmai da imputare al consulente bancario che le avrebbe sottoposto i documenti da sottoscrivere senza sincerarsi di nulla. La ricorrente avrebbe sempre sostenuto di essere venuta a conoscenza delle polizze assicurative in favore dei cognati unicamente in occasione dei suoi interrogatori, ciò che il TPF avrebbe arbitrariamente omesso di accertare. Esso stabilirebbe tuttavia che l'insorgente avrebbe ordinato di non eseguire pagamenti relativi alle polizze assicurative, malgrado risulti dagli atti che le polizze sarebbero state sospese ben prima dallo stesso consulente bancario. La ricorrente non avrebbe mai potuto dare quell'ordine, perché nulla avrebbe saputo delle polizze, ciò che sarebbe peraltro confermato dal "meeting report" allestito proprio il 31 maggio 2012 in cui non si menzionerebbe alcunché in merito alle polizze. L'audizione del consulente bancario, unico ad avere un "interesse ad allontanarsi dalle polizze [...] e dal conto ddd", sarebbe stata fondamentale per accertare l'inattendibilità della documentazione bancaria. L'insorgente avrebbe funto solo "da ausilio del marito", avrebbe saputo dell'esistenza dei fondi unicamente nel 2012 e creduto trattarsi dei risparmi di una vita di lavoro del coniuge. Avrebbe firmato documenti in bianco o senza leggerli, fidandosi del marito. Lo stesso A.________ confermerebbe che l'insorgente avrebbe sottoscritto della documentazione senza leggere, rispettivamente dei fogli bianchi, dimostrando così che era "un mero strumento ignaro nelle mani del marito". Poiché all'oscuro delle movimentazioni effettuate con i valori patrimoniali del conto ddd, non potrebbe sussistere la volontà di vanificare una pretesa confiscatoria, su cui del resto il TPF sarebbe rimasto silente, concentrandosi sulla contestata consapevolezza dell'origine criminosa del denaro.
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4.5.3. Nella misura in cui la ricorrente afferma che fosse necessario interrogare il consulente bancario "per accertare l'attendibilità della documentazione bancaria" in applicazione del principio dell'immediatezza di cui all'art. 343 cpv. 3 CPP interpretato conformemente all'art. 6 CEDU, si richiama quanto già esposto in precedenza (v.
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Irrilevanti poi risultano in concreto le considerazioni ricorsuali su quante volte si sarebbe recata in Svizzera negli anni '90 o sulla chiusura del conto eee, dal momento che il TPF ha ritenuto che l'insorgente dovesse presumere l'origine criminosa dei valori patrimoniali presenti sul conto ddd solo a partire dal 31 maggio 2012. È invece pacifico e ribadito nel gravame che la ricorrente sapesse di non essere la reale "titolare degli averi", in altre parole della loro intestazione fittizia. È altrettanto pacifico che era al corrente dello spessore criminale dei cognati, poco importa al riguardo se ne sia venuta a conoscenza per mezzo stampa e nulla mutano le ragioni per cui si recava a rendere loro visita in carcere. Indiscusso è inoltre che, a uno degli incontri con il fiduciario incaricato di ritrovare il conto ddd, l'insorgente fosse accompagnata anche dal cognato D1.________, condannato anni prima per associazione a delinquere di stampo mafioso. Incontestato è poi che il 16 maggio 2012, al più tardi, le fosse nota l'ingente entità dei valori presenti sul conto ddd, superiore al milione e mezzo di franchi. Fuori discussione è pure la sottoscrizione da parte della ricorrente della documentazione bancaria menzionata dal TPF, tra cui il benestare del 16 maggio 2012, il verbale di visita del 31 maggio 2012 e il formulario A.
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La ricorrente si dilunga sulla pretesa inattendibilità della documentazione bancaria con una motivazione di natura appellatoria. Sostiene che lo stesso TPF l'avrebbe ritenuta tale, tant'è che l'avrebbe prosciolta per i pagamenti dei premi assicurativi a debito del conto ddd, difettando "la ricorrenza dell'elemento soggettivo". Orbene, così argomentando, ella dimentica che è solo a partire dal 31 maggio 2012 che l'autorità precedente ha ritenuto fossero riuniti elementi a sufficienza per concludere a un dolo eventuale. Se per i citati pagamenti è stata prosciolta è dunque perché sono stati effettuati anteriormente a tale data e non, come tenta invece di suggerire, perché la documentazione bancaria sarebbe stata considerata inattendibile. L'accertamento della conoscenza dell'esistenza delle polizze assicurative da parte dell'insorgente è fondato sul verbale di visita del 31 maggio 2012 da lei sottoscritto, in cui figura l'ordine di non più eseguire pagamenti all'assicurazione in seguito all'annullamento delle polizze. La ricorrente, precisando di aver firmato senza leggere, ipotizza che tale indicazione sarebbe stata inserita "in un secondo tempo, per risolvere a posteriori la questione del mancato pagamento delle polizze [...], già deciso in modo autonomo" dal consulente bancario, motivo per cui l'accertamento sarebbe arbitrario. La critica manifesta qui in modo emblematico la sua natura appellatoria: non è certo con la formulazione di mere ipotesi che si può sostanziare arbitrio nell'accertamento dei fatti o nella valutazione delle prove (v. supra consid. 2). Non è d'ausilio alla tesi ricorsuale nemmeno il riferimento al meeting report del 31 maggio 2012 ove effettivamente non figura l'indicazione relativa alle polizze, contrariamente al verbale di visita di quel giorno. Trattasi di documenti distinti e nulla permette di affermare che debbano avere un contenuto perfettamente sovrapponibile, ciò che nemmeno l'insorgente pretende. Peraltro, si precisa che dal citato verbale, in cui sono appunto menzionate le polizze assicurative e l'ordine di non più pagarne i premi, il TPF ha dedotto la sua conoscenza della loro esistenza, non traendone altre conclusioni.
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Vero è che la ricorrente ha più volte affermato di non aver letto ciò che firmava, ciò che il TPF non ha escluso. Va però rilevato che, secondo la sentenza impugnata, l'insorgente ha palesato stupore e sconcerto per l'entità degli averi in conto, da ultimo proprio in sede dibattimentale dichiarandosi "un po' scioccat[a]" dall'importo. Sorprende quindi che possa sostenere in questa sede di aver pensato trattarsi dei risparmi di una vita, la cui entità non crea di regola alcun turbamento e di cui peraltro in linea di principio non si perdono le tracce. L'asserito shock non le ha comunque impedito di firmare tutta una serie di documenti bancari ("parecchi fogli") in relazione a valori patrimoniali di tale importanza che sapeva essere a lei fittiziamente intestati, senza nemmeno leggerli, come sostenuto. Non risulta dalla sentenza impugnata, né la ricorrente pretende di aver posto domande o chiesto chiarimenti in merito. Ella ha così dimostrato di non voler sapere (" willful blindness "; " bewusstes Nicht-Wissen-Wollen "; v. sentenza 6B_627/2012 del 18 luglio 2013 consid. 2.4) e indifferenza rispetto a cosa sottoscriveva. Appare quindi pretestuoso, in tali circostanze, addurre che il consulente bancario non si sarebbe sincerato di nulla. Emerge ancora che l'insorgente ha affermato di aver firmato della documentazione per "trasferire i soldi dal [suo] nome a nome di [suo] marito" (v. sentenza impugnata pag. 40). Tanto basta per riconoscere l'intenzione (dolo eventuale) riferita anche alla natura vanificatoria delle operazioni compiute con il denaro in parola. Non v'è poi ragione di soffermarsi sui prelievi in contanti, di cui la ricorrente non poteva ignorarne il carattere vanificatorio, poco importa al riguardo che abbia poi consegnato il denaro al marito.
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5.
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Il TPF ha condannato la ricorrente anche per titolo di ripetuta falsità in documenti per aver indicato, nei relativi formulari A, essere l'avente diritto economico dei valori patrimoniali depositati rispettivamente sul cifrato ddd e sul cifrato fff, commettendo in tal modo un falso ideologico. Richiamata la DTF 135 IV 12, ha poi precisato che la ricorrente non poteva sottrarsi alle proprie responsabilità asserendo di aver firmato i documenti in questione senza leggerli.
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In proposito la ricorrente ribadisce di aver firmato dei documenti precompilati, senza sapere di cosa si trattasse perché sottoscritti senza leggerli. Il consulente bancario glieli avrebbe sottoposti senza richiedere nulla. Non potrebbe quindi esserle contestato di aver firmato un documento intenzionalmente, perché non poteva immaginare di firmare un documento e quindi nemmeno poteva assumersi il rischio di sottoscrivere un documento falso. La sua condanna per falsità in documenti sarebbe frutto di un accertamento arbitrario e violerebbe gli art. 251 e 12 CP.
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La censura di arbitrio nell'accertamento dei fatti cade d'acchito nel vuoto. Il TPF non ha infatti accertato che l'insorgente ha personalmente compilato i formulari A, ma solo che li ha sottoscritti, ciò che non è contestato, ella ha anzi riconosciuto la propria firma. Quanto all'intenzione, l'impugnativa non adempie le esigenze di motivazione dell'art. 42 cpv. 2 LTF, che impone alla parte ricorrente di spiegare, confrontandosi con i considerandi della sentenza impugnata (DTF 143 II 283 consid. 1.2.2; 140 III 86 consid. 2), perché quest'ultima lede il diritto. Il TPF ha ammesso il dolo richiamandosi a quanto stabilito nella DTF 135 IV 12. Orbene, al riguardo non è spesa una parola nel ricorso. L'insorgente non sostiene che la fattispecie in esame diverga sostanzialmente dal caso della sentenza precitata, né che i principi ivi stabiliti non possano essere quivi trasposti e neppure che siano eventualmente stati mal interpretati o applicati. Non si giustifica quindi di attardarsi oltre su questo punto.
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6.
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Il TPF ha evidenziato che tra gli atti per i quali la ricorrente è stata riconosciuta colpevole di riciclaggio di denaro figurano anche due prelievi di denaro di rispettivamente euro 30'000.-- ed euro 80'000.--. Atteso che tali somme, sottostanti alla confisca, non sono più reperibili, ha condannato l'insorgente a un risarcimento equivalente di complessivi euro 110'000.-- a favore della Confederazione.
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6.1. La ricorrente evidenzia di non aver tratto alcun guadagno dal riciclaggio e precisa di aver sempre indicato che il denaro prelevato sarebbe stato consegnato al marito. Il TPF, tuttavia, non spiegherebbe per quale motivo si scosterebbe da questa versione, senza peraltro interrogare D3.________ che avrebbe potuto confermarla, violando così l'art. 29 Cost. e l'art. 6 CPP. In assenza di una responsabilità solidale tra i vari partecipanti, al risarcimento equivalente dovrebbe esservi tenuto colui che ha ricevuto i valori patrimoniali, ovvero nella fattispecie D3.________. Secondo la ricorrente, considerata l'impossibilità di stabilire nella fattispecie l'origine criminosa dei valori patrimoniali, nella migliore delle ipotesi il denaro sarebbe confiscabile unicamente sulla base dell'art. 72 CP, ciò che escluderebbe la possibilità di ordinare un risarcimento equivalente. Oltre a essere arbitraria, la sua condanna a un tale risarcimento sarebbe dunque lesiva dell'art. 71 CP.
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6.2. Il giudice ordina la confisca dei valori patrimoniali che costituiscono il prodotto di un reato o erano destinati a determinare o a ricompensare l'autore di un reato, a meno che debbano essere restituiti alla persona lesa allo scopo di ripristinare la situazione legale (art. 70 cpv. 1 CP). La confisca non può essere ordinata se un terzo ha acquisito i valori patrimoniali ignorando i fatti che l'avrebbero giustificata, nella misura in cui abbia fornito una controprestazione adeguata o la confisca costituisca nei suoi confronti una misura eccessivamente severa (art. 70 cpv. 2 CP). Se i valori patrimoniali sottostanti alla confisca non sono più reperibili, il giudice ordina in favore dello Stato un risarcimento equivalente; nei confronti di terzi, tuttavia, il risarcimento può essere ordinato soltanto per quanto non sia escluso giusta l'art. 70 cpv. 2 CP (art. 71 cpv. 1 CP).
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La confisca e il risarcimento in favore dello Stato si fondano sul principio che il crimine non deve pagare (DTF 145 IV 237 consid. 3.2.1). Con queste misure si vuole impedire che una persona tragga profitto da un reato. L'obiettivo del risarcimento equivalente, in particolare, è di evitare che la persona che ha già utilizzato o disposto dei valori patrimoniali si ritrovi in una posizione migliore rispetto a quella che li ha ancora a sua disposizione. In linea di principio, dunque, l'entità di questo risarcimento corrisponde ai valori patrimoniali che sono stati ottenuti con atti penalmente rilevanti e che sarebbero oggetto di una misura di confisca se fossero ancora disponibili (DTF 144 IV 1 consid. 4.2.4; 140 IV 57 consid. 4.1.2).
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Secondo la giurisprudenza, i valori patrimoniali riciclati, o in corso di riciclaggio, sono considerati come il risultato di un reato di riciclaggio di denaro giusta l'art. 305bis CP. Difatti, una volta riciclato, il denaro sporco può essere investito o inserito nell'economia legale e questa possibilità di utilizzare il denaro ottenuto illegalmente costituisce un evidente vantaggio pecuniario che risulta direttamente dall'infrazione di riciclaggio di denaro. I valori patrimoniali riciclati, o in corso di riciclaggio, sono pertanto confiscabili in quanto tali, a prescindere dal reato da cui traggono origine. Ne segue che il denaro riciclato, o in corso di riciclaggio, costituisce il prodotto di un reato, ovvero il riciclaggio di denaro, ai sensi dell'art. 70 cpv. 1 CP. Lo stesso dicasi della retribuzione del riciclatore ( sentenza 6B_67/2019 del 16 dicembre 2020 consid. 5.8.2).
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Alla luce di qua nto esposto nei considerandi precedenti (v. supra consid. 4), i valori patrimoniali del conto ddd hanno origine criminosa e costituiscono dei valori riciclati e in via di riciclaggio, di modo che risultano senz'altro confiscabili giusta l'art. 70 CP, perché prodotto del reato di riciclaggio di denaro, la cui realizzazione ha trovato conferma in questa sede. Non v'è dunque motivo di chiedersi se l'art. 72 CP, menzionato nell'impugnativa, sia a sua volta applicabile alla fattispecie. Sono peraltro pacifici i due prelievi di contanti dal conto ddd per un importo complessivo di euro 110'000.--, somma di cui non è contestata la non più reperibilità. Sono dunque dati i presupposti per ordinare un risarcimento equivalente secondo l'art. 71 CP.
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Sulla questione tuttavia il TPF è stato troppo laconico. Invero la ricorrente ha dichiarato di aver consegnato il denaro prelevato al marito, circostanza ribadita nell'arringa difensiva. L'autorità precedente si è limitata a rilevare che i valori patrimoniali sottostanti alla confisca non sono più reperibili, ma non ha preso posizione su quanto addotto dalla difesa, nonostante la sua potenziale rilevanza per l'applicazione dell'art. 71 CP, segnatamente per determinare se il risarcimento equivalente dovesse essere ordinato nei confronti dell'insorgente (malgrado tutto) o di un terzo. A ragione quindi la ricorrente si duole della violazione del diritto di essere sentito.
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7.
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L'insorgente censura infine sia la commisurazione della pena inflittale sia le spese, le ripetibili e l'indennizzo stabiliti dal TPF.
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Non occorre chinarsi sulle relative critiche ricorsuali. Infatti, dal momento che viene a cadere la condanna della ricorrente per titolo di riciclaggio con riferimento ai capi d'accusa 1.3.2.1 e 1.3.2.2 (v. supra consid. 4.4), il TPF dovrà commisurare nuovamente la pena, tenendo peraltro conto della violazione del principio di celerità in questa sede, e pronunciarsi anche sulle spese e gli indennizzi.
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8.
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Ne segue che, in quanto ammissibile, il ricorso merita parziale accoglimento. La sentenza impugnata dev'essere annullata e la causa rinviata al TPF affinché, dopo aver prosciolto l'insorgente dall'accusa di riciclaggio di denaro riferita ai formulari A (v. supra consid. 4.4), si pronunci nuovamente sul risarcimento equivalente (v. supra consid. 6), sulla pena, le spese e gli indennizzi. Per il resto il ricorso dev'essere respinto.
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Le spese giudiziarie e le ripetibili seguono la soccombenza (art. 66 cpv. 1 e 4 nonché art. 68 cpv. 1 e 3 LTF). Il grado di soccombenza dell'insorgente può essere valutato all'80 %, avendo ottenuto ragione su punti tutto sommato marginali ed essendo state respinte, laddove ammissibili, le numerose censure di carattere procedurale, di accertamento arbitrario dei fatti e di violazione del diritto. Per la parte in cui risulta vincente la ricorrente ha diritto a un'indennità a titolo di ripetibili a carico della Confederazione.
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Nella misura in cui non è divenuta priva di oggetto, la domanda di assistenza giudiziaria con gratuito patrocinio può essere accolta. Infatti le conclusioni ricorsuali non apparivano d'acchito prive di possibilità di successoe l'insorgente non dispone dei mezzi necessari per far fronte alle spese giudiziarie e agli onorari del suo avvocato (art. 64 cpv. 1 LTF). L'avvocato Gabriele Banfi viene pertanto incaricato del gratuito patrocinio della ricorrente e a tale titolo la Cassa del Tribunale federale gli verserà un'adeguata indennità. Se in seguito però è in grado di farlo, l'insorgente è tenuta a risarcire la Cassa del Tribunale federale (art. 64 cpv. 4 LTF).
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Con l'inoltro della replica, il patrocinatore della ricorrente ha presentato una nota d'onorario e spese di complessivi fr. 9'987.--, IVA compresa. Essa appare congrua con riguardo sia al dispendio orario sia all'ampiezza del lavoro.
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Per questi motivi, il Tribunale federale pronuncia: | |
1.
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Nella misura in cui è ammissibile, il ricorso è parzialmente accolto. La sentenza impugnata è annullata e la causa è rinviata alla Corte penale del Tribunale penale federale per nuovo giudizio. Per il resto il ricorso è respinto.
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2.
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La domanda di assistenza giudiziaria con gratuito patrocinio è accolta nella misura in cui non è divenuta priva di oggetto. L'avv. Gabriele Banfi viene incaricato del gratuito patrocinio della ricorrente.
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3.
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Le spese giudiziarie di fr. 2'400.-- sono poste a carico della ricorrente e per il momento assunte dalla Cassa del Tribunale federale.
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4.
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La Confederazione (Ministero pubblico della Confederazione) verserà al patrocinatore della ricorrente fr. 1'997.40 a titolo di ripetibili della procedura innanzi al Tribunale federale.
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5.
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La Cassa del Tribunale federale verserà al patrocinatore della ricorrente un'indennità di fr. 7'989.60.
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6.
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Comunicazione al patrocinatore della ricorrente, al Ministero pubblico della Confederazione e alla Corte penale del Tribunale penale federale.
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Losanna, 13 gennaio 2022
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In nome della Corte di diritto penale
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del Tribunale federale svizzero
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Il Giudice presidente: Denys
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La Cancelliera: Ortolano Ribordy
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