BGE 133 V 169 | |||
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24. Estratto della sentenza della I Corte di diritto sociale nella causa Segretariato di Stato dell'economia contro H. nonchè Tribunale delle assicurazioni del Cantone Ticino (ricorso di diritto amministrativo) |
C 124/06 del 25 gennaio 2007 | |
Regeste |
Art. 8 und 121 AVIG; Art. 16 Abs. 2 FZA; Anhang II zum FZA; Art. 71 Abs. 1 Bst. a Ziff. ii und Bst. b der Verordnung Nr. 1408/71: Versichertenstatus des atypischen Grenzgängers. | |
Sachverhalt | |
A. H., di nazionalità elvetica, è nato (...) e cresciuto in Svizzera, dove ha conseguito il diploma di impiegato di commercio. Eccezion fatta per il periodo aprile 1966 - dicembre 1969 in cui è stato alle dipendenze della ditta B., egli ha sempre lavorato in Svizzera, dapprima a Z. e in seguito, a partire dal 1999 e fino al 2004, in Ticino presso la Banca X. SA in qualità di responsabile reparto lettere di credito e garanzie. Proveniente da Z., l'interessato ha abitato in Ticino dal 1999 al mese di giugno 2001, quando si è trasferito a P. (Italia), paese sito in prossimità della frontiera, dove ha acquistato un'abitazione. A causa della fusione con un altro istituto di credito, l'interessato si è visto disdire il rapporto di lavoro che lo legava alla sua banca con effetto al 29 febbraio 2004.
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A margine di un momento informativo organizzato dall'Ufficio regionale di collocamento di Lugano (URC) per i dipendenti della banca toccati dalla misura, H. ha domandato al caposede dell'URC, O., e a C. dell'O. alcune informazioni in merito alla sua posizione di svizzero residente in Italia, ricevendo in risposta l'indicazione che, in qualità di frontaliere, poteva richiedere le prestazioni dell'assicurazione contro la disoccupazione soltanto in Italia, eccezione fatta per la possibilità di inoltrare una domanda di esportazione delle prestazioni in Svizzera per al massimo tre mesi impegnandosi a ricercare attivamente un nuovo impiego in Ticino. In seguito a tali e ad altre informazioni, l'interessato si è rivolto alle autorità italiane, più precisamente all'Istituto nazionale italiano di previdenza sociale (INPS), ottenendo - per nove mesi - indennità di disoccupazione ordinarie (EUR 840 al mese); la richiesta di poter beneficiare del sostegno speciale previsto in favore dei lavoratori frontalieri gli è per contro stata respinta dalle medesime autorità per il motivo che non era - e nemmeno poteva esserlo, essendo di cittadinanza svizzera - in possesso di una carta di frontaliere emessa dalle autorità elvetiche.
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In seguito alla pubblicazione di una pronuncia in materia emessa dal Tribunale delle assicurazioni del Canton Zurigo, di cui l'interessato sarebbe (casualmente) venuto a conoscenza, e in particolare dopo un'interrogazione presso il Segretariato di Stato dell'economia (seco), H. ha quindi appreso, nel giugno 2005, della possibilità potenziale di beneficiare dell'indennità di disoccupazione in Svizzera qualora avesse adempito i presupposti per essere considerato un "falso" frontaliere. Sulla base di tali indicazioni e dopo avere consultato uno studio legale specializzato in diritto europeo d'oltre Gottardo, egli si è di conseguenza, il 1° luglio 2005, annunciato all'URC di Lugano e ha rivendicato il diritto a indennità di disoccupazione a partire dal 1° marzo 2004 facendo valere la sua posizione di "falso" frontaliere.
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Mediante decisione del 28 luglio 2005, sostanzialmente confermata il 1° settembre seguente anche in seguito all'opposizione dell'interessato, la Cassa cantonale di disoccupazione ha respinto la richiesta di prestazioni dal 1° luglio 2005 in quanto, nel termine quadro compreso tra il 1° luglio 2003 e il 30 giugno 2005, l'assicurato aveva esercitato un'attività salariata soggetta a contribuzione unicamente dal 1° luglio 2003 al 29 febbraio 2004 e non poteva per il resto fare valere un motivo di esenzione. Inoltre, ha motivato il rifiuto con il fatto che l'interessato non aveva alcuna residenza in Svizzera.
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B. H. si è aggravato al Tribunale delle assicurazioni del Cantone Ticino, il quale, per pronuncia del 28 marzo 2006, ha accolto il gravame e retrocesso gli atti all'amministrazione per nuovo esame del diritto alle indennità di disoccupazione a partire dal 1° marzo 2004. L'autorità giudiziaria cantonale ha dapprima osservato come la Cassa di disoccupazione, rifiutando le prestazioni dal luglio 2005, avesse in realtà anche inteso negarle a titolo retroattivo dal 1° marzo 2004. Constatando poi che l'assicurato non aveva fatto valere il diritto alle indennità entro il termine (perentorio) legale di tre mesi dalla fine del periodo di controllo di riferimento, ha verificato se comunque esistevano ragioni atte a giustificare il ritardo e ad ammettere una eventuale restituzione del termine. I primi giudici hanno in seguito esaminato se l'interessato era effettivamente legittimato a introdurre domanda di indennità di disoccupazione in Svizzera in virtù delle disposizioni dell'Accordo sulla libera circolazione delle persone. Richiamandosi alla pertinente giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee (CGCE), hanno in particolare accertato che egli aveva mantenuto stretti legami personali e professionali con la Svizzera, paese che gli garantiva le migliori possibilità di reinserimento professionale, e che, in virtù di tale giurisprudenza, andava considerato un "falso" frontaliere, cui doveva essere riservato il diritto di scegliere in quale Stato, tra la Svizzera e l'Italia, richiedere le indennità di disoccupazione. Tutelando la buona fede dell'assicurato nelle informazioni erronee, o quantomeno incomplete, fornitegli dagli organi competenti, la Corte cantonale ha giustificato il tardivo annuncio all'assicurazione contro la disoccupazione elvetica e ha ammesso una restituzione del termine omesso.
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C. Il seco ha interposto ricorso di diritto amministrativo al Tribunale federale delle assicurazioni (dal 1° gennaio 2007 integrato nel Tribunale federale), al quale chiede, in accoglimento del gravame, l'annullamento del giudizio cantonale. Confutando la valutazione dei primi giudici in merito alle asserite migliori possibilità di reinserimento professionale in Svizzera, il Segretariato ricorrente ritiene che l'interessato non soddisfa le condizioni per essere qualificato un "falso" lavoratore frontaliere ai sensi della giurisprudenza della CGCE. Dovendo al contrario essere considerato un "vero" frontaliere, l'assicurato non potrebbe di conseguenza beneficiare di alcun diritto di scelta, bensì dovrebbe unicamente fare valere le sue pretese nello Stato di residenza.
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Patrocinato dall'avv. Erwin Jutzet, H. propone la reiezione del gravame, mentre la Cassa cantonale di disoccupazione ne chiede l'accoglimento.
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Dai considerandi: | |
3. Nei considerandi dell'impugnata pronuncia, la Corte cantonale ha compiutamente ricordato che, dal profilo del solo diritto interno (art. 8 cpv. 1 lett. c LADI; cfr. pure DTF 125 V 465 consid. 2a pag. 466; DTF 115 V 448; SVR 2006 AlV n. 24 pag. 82, C 290/03, con riferimenti), l'assicurato non avrebbe di per sé il diritto di iscriversi in disoccupazione in Svizzera in quanto non vi risiede. Correttamente ha pertanto esaminato se la Svizzera debba comunque essere riconosciuta quale Stato competente ad erogare le prestazioni di disoccupazione - se del caso previa deduzione delle prestazioni già percepite in Italia - in forza degli obblighi che le derivano dal diritto internazionale, ritenuto che, in siffatta ipotesi, la clausola di residenza di cui all'art. 8 cpv. 1 lett. c LADI perderebbe la propria rilevanza (THOMAS NUSSBAUMER, Arbeitslosenversicherung, in: Schweizerisches Bundesverwaltungsrecht [SBVR], Soziale Sicherheit, 2a ed., cifra marg. 191; cfr. pure PATRICIA USINGER-EGGER, Ausgewählte Rechtsfragen des Arbeitslosenversicherungsrechts im Verhältnis Schweiz-EU, in: Thomas Gächter [editore], Das europäische Koordinationsrecht der sozialen Sicherheit und die Schweiz, Erfahrungen und Perspektiven [in seguito: USINGER-EGGER, Ausgewählte Rechtsfragen], Zurigo/Basilea/Ginevra 2006, pag. 38 segg., per la quale autrice l'art. 8 cpv. 1 lett. c LADI sarebbe addirittura discriminatorio e contrario al diritto convenzionale e comunitario).
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Erwägung 4 | |
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4.3 L'Accordo e il regolamento n. 1408/71 sono quindi pure applicabili ratione personae. L'assicurato è di nazionalità svizzera e pertanto cittadino di uno Stato contraente (art. 1 cpv. 2 Allegato II ALC). Inoltre, in qualità di lavoratore autonomo o subordinato, egli è stato soggetto alla legislazione svizzera e quindi alla legislazione di uno Stato contraente (art. 2 n. 1 in relazione con l'art. 1 lett. a del regolamento n. 1408/71). Quanto al necessario nesso transfrontaliero, esso è senz'altro dato (MANFRED HUSMANN, Koordinierung der Leistungen bei Arbeitslosigkeit durch EG-Recht, I. Teil, in: Die Sozialgerichtsbarkeit, 45 [1998], Wiesbaden, pag. 249; EBERHARD EICHENHOFER, in: Maximilian Fuchs [editore], Europäisches Sozialrecht, 4a ed., Baden-Baden 2005, n. 14 all'art. 2 del regolamento n. 1408/71). Nulla osta peraltro all'invocazione di dette disposizioni anche nei confronti del proprio Stato di origine (cfr. DTF 129 II 249 consid. 4.2 pag. 260 in fine; sentenza della CGCE del 7 luglio 1992 nella causa C-370/90, Singh, Racc. 1992, pag. I-4265, punti 15-24; SILVIA BUCHER, Das Freizügigkeitsabkommen im letztinstanzlichen Sozialversicherungsprozess, in: Gächter [editore], op. cit., pag. 1 segg., pag. 12 segg.).
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Erwägung 5 | |
5.1 Il titolo II del regolamento n. 1408/71 (art. 13 a 17bis) contiene delle regole atte a determinare la legislazione applicabile. L'art. 13 n. 1 enuncia il principio dell'unicità della legislazione applicabile in funzione delle regole previste dagli art. 13 n. 2 a 17bis, dichiarando determinanti le disposizioni di un solo Stato membro. Salvo eccezioni, il lavoratore subordinato è soggetto alla legislazione del suo Stato di occupazione salariata, anche se risiede sul territorio di un altro Stato membro o se l'impresa o il datore di lavoro da cui dipende ha la propria sede o il proprio domicilio nel territorio di un altro Stato membro (principio della lex loci laboris; art. 13 n. 2 lett. a del regolamento n. 1408/71). Il lavoratore frontaliero sarebbe quindi soggetto, in virtù di questo principio, alla legislazione dello Stato in cui lavora (DTF 132 V 53 consid. 4.1 pag. 57 con riferimento).
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Per parte sua, il titolo III del regolamento n. 1408/71 contiene disposizioni specifiche alle varie categorie di prestazioni. Per rispondere al quesito se la parte resistente possa fare valere il diritto a prestazioni dell'assicurazione contro la disoccupazione elvetica in virtù del regolamento n. 1408/71, occorre pertanto innanzitutto determinare le disposizioni applicabili sulla base delle norme generali di collegamento del titolo II per poi esaminare se quelle speciali prescrivano l'applicazione di altre regole (DTF 132 V 53 consid. 5 pag. 58).
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Tali regole valgono tuttavia, come detto, unicamente nella misura in cui le disposizioni specifiche del titolo III non prevedano diversamente. Ora, il capitolo 6 ("Disoccupazione") del regolamento prevede, da un lato, che le prestazioni in caso di disoccupazione sono di principio, giusta l'art. 67 n. 3, erogate dallo Stato secondo le cui disposizioni la persona interessata ha compiuto da ultimo periodi di assicurazione o di occupazione, vale a dire dallo Stato dell'ultima occupazione (art. 68 n. 1). Dall'altro, all'art. 71 disciplina la competenza per i disoccupati, che durante l'ultima occupazione risiedevano in uno Stato membro diverso dallo Stato competente. È questa la situazione in particolare dei lavoratori frontalieri.
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Erwägung 6 | |
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Giusta l'art. 1 lett. b del regolamento, il termine lavoratore frontaliero designa qualsiasi lavoratore subordinato o autonomo che esercita una attività professionale nel territorio di uno Stato membro e risiede nel territorio di un altro Stato membro dove, di massima, ritorna ogni giorno o almeno una volta alla settimana (a tal proposito il seco ricorda giustamente che il predetto regolamento è applicabile a tutti i lavoratori che riempiono le suddette condizioni di lavoratore frontaliero, indipendentemente dal fatto che abbiano la stessa qualifica ai sensi del diritto della polizia degli stranieri). Queste persone rientrano nel campo applicativo dell'art. 71 n. 1 lett. a del regolamento n. 1408/71.
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I lavoratori diversi dai frontalieri (frontalieri "non veri"), il cui statuto è disciplinato dall'art. 71 n. 1 lett. b del regolamento n. 1408/71, sono per contro persone, per le quali il luogo di occupazione e di residenza non coincide ugualmente, ma che per1ò, a differenza dei frontalieri "veri", nemmeno rientrano almeno una volta alla settimana al loro luogo di residenza. Fanno parte di questa categoria segnatamente i lavoratori stagionali, i lavoratori operanti nel settore dei trasporti internazionali, i lavoratori che esercitano normalmente la loro attività sul territorio di vari Stati membri e i lavoratori occupati da un'impresa frontaliera (decisione n. 160 del 28 novembre 1995 della Commissione amministrativa delle Comunità europee per la sicurezza sociale dei lavoratori migranti concernente l'applicabilità dell'art. 71 n. 1 lett. b punto ii del regolamento n. 1408/71 [GU 1996 L 49 pag. 31-33]; cfr. pure la sentenza del Tribunale federale delle assicurazioni DTF C 227/05 dell'8 novembre 2006, consid. 1.4, non ancora pubblicata nella Raccolta ufficiale, nonché la Circolare del seco relativa alle ripercussioni, in materia di assicurazione contro la disoccupazione, dell'Accordo sulla libera circolazione delle persone e dell'Accordo di emendamento della Convenzione istitutiva dell'AELS [C-AD-LCP], cifra marg. B46).
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6.2 L'art. 71 n. 1 del regolamento n. 1408/71 stabilisce, da un lato, che il lavoratore frontaliero (quello "vero") che è in disoccupazione completa beneficia - esclusivamente - delle prestazioni secondo le disposizioni della legislazione dello Stato membro nel cui territorio risiede come se fosse stato soggetto durante l'ultima occupazione a tale legislazione, ritenuto che tali prestazioni vengono erogate dall'istituzione del luogo di residenza e sono a carico della medesima (lett. a punto ii).
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D'altro lato esso prevede pure che un lavoratore subordinato diverso dal lavoratore frontaliero (ossia il frontaliero "non vero"), che è in disoccupazione completa, dispone di un diritto di opzione tra le prestazioni dello Stato d'impiego e quelle dello Stato di residenza. Diritto di opzione che il frontaliero "non vero" esercita mettendosi a disposizione degli uffici del lavoro dello Stato dell'ultima occupazione oppure degli uffici del lavoro del luogo di residenza (lett. b). In tali condizioni, il lavoratore può scegliere tra il regime di prestazioni di disoccupazione dello Stato della sua ultima occupazione e quello dello Stato di residenza. Si tratta in questo modo di fare beneficiare il lavoratore delle migliori possibilità di reinserimento professionale (DTF 132 V 53 consid. 6.4 pag. 61; DTF 131 V 222 consid. 6.2 pag. 228).
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Da questo punto di vista si deve ammettere che l'art. 71 n. 1 lett. a punto ii, stabilendo il principio secondo cui in caso di disoccupazione completa il lavoratore frontaliero (quello "vero") che risponda alla definizione di cui all'art. 1 lett. b del regolamento beneficia esclusivamente delle prestazioni dello Stato di residenza, presuppone implicitamente che detto lavoratore fruisca in questo Stato delle condizioni più favorevoli alla ricerca di una nuova occupazione (sentenza Miethe, già citata, punto 17; in questo senso pure la sentenza della CGCE del 15 marzo 2001 nella causa C-444/98, de Laat, Racc. 1998 pag. I-2229, punto 32). Come l'ha ben illustrato l'Avvocato generale Lenz nelle sue conclusioni nella causa Miethe, il sistema messo in piedi si spiega con la considerazione che le persone interessate (i "veri" frontalieri) non hanno normalmente un legame particolare con lo Stato di occupazione. Esse vi soggiornano piuttosto per mero scopo lavorativo e una volta terminato il rapporto di lavoro non hanno più motivo di rimanervi, bensì ritornano nel loro luogo di residenza, là dove si trova il centro dei loro interessi. È pertanto nello Stato di residenza che devono più opportunamente essere adottate le misure di accompagnamento essenziali quali il servizio di collocamento (conclusioni nella causa Miethe, Racc. 1986 pag. 1842).
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Erwägung 7 | |
7.1 Con la sua giurisprudenza, di cui anche il Tribunale federale deve tenere conto (art. 16 cpv. 2 ALC), la CGCE ha tuttavia attenuato il principio per cui il "vero" frontaliero in disoccupazione completa debba sempre rigorosamente essere rinviato al mercato del lavoro dello Stato di residenza (art. 71 n. 1 lett. a punto ii del regolamento n. 1408/71). Ha infatti stabilito che lo scopo perseguito dall'art. 71 n. 1 lett. a punto ii del regolamento n. 1408/71 non può essere raggiunto qualora il lavoratore in disoccupazione completa, pur rispondendo alla definizione dettata dall'art. 1 lett. b dello stesso regolamento, abbia eccezionalmente conservato nello Stato dell'ultima occupazione legami personali e professionali tali da disporre in questo Stato delle migliori possibilità di reinserimento professionale. In una siffatta evenienza, ha precisato la Corte di giustizia, tale lavoratore dev'essere considerato "diverso dal lavoratore frontaliero" ai sensi dell'art. 71 e rientrare conseguentemente nella sfera di applicazione del n. 1 lett. b di detto articolo. Tuttavia, hanno concluso i giudici lussemburghesi, spetta esclusivamente al giudice nazionale stabilire se il lavoratore che risieda in uno Stato diverso dallo Stato d'occupazione abbia conservato le migliori possibilità di reinserimento professionale e debba, di conseguenza, rientrare nel campo applicativo dell'art. 71 n. 1 lett. b del regolamento n. 1408/71 (sentenza Miethe, citata, punti 18 e 19). Il lavoratore interessato non dispone così in questo caso di un diritto di scelta incondizionato, la decisione essendo demandata alle autorità competenti dello Stato di occupazione (NUSSBAUmer, op. cit., cifra marg. 980; USINGER-EGGER, Ausgewählte Rechtsfragen, pag. 37 nota 23; della stessa autrice inoltre: Die soziale Sicherheit der Arbeitslosen in der Verordnung [EWG] Nr. 1408/71 und in den bilateralen Abkommen zwischen der Schweiz und ihren Nachbarstaaten, tesi Zurigo 2000, pag. 85 [in seguito: USINGER- EGGER, tesi]; UELI KIESER, Das Personenfreizügigkeitsabkommen und die Arbeitslosenversicherung, in: AJP/PJA 2003, pag. 283 segg., pag. 290, nota 97; in favore di un diritto di scelta si esprimono invece EICHENHOFER, in: Fuchs, op. cit., n. 3 all'art. 71 del regolamento n. 1408/71, e FRANS PENNINGS, Introduction to European Social Security Law, 4a ed., Anversa/Oxford/New York 2003, pag. 228, 230 e 235).
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8. Il Segretariato ricorrente osserva che H., avendo percepito le indennità di disoccupazione in Italia e avendo pendente con le stesse autorità una vertenza circa l'estensione del sostegno ottenibile (trattamento speciale previsto per i frontalieri a norma della legge interna italiana anziché indennità ordinarie), avrebbe di per sé esplicitamente riconosciuto di considerarsi quale "vero" frontaliero e di poter unicamente fare valere il diritto alle indennità dello Stato di residenza. Il seco fa inoltre notare che, mentre nel caso Miethe quest'ultimo presentava un legame molto stretto con lo Stato di occupazione - avrebbe così continuato a possedere una tessera per venditori ambulanti valevole soltanto in Germania - a fronte di una possibilità di reinserimento professionale in Belgio molto limitata, il resistente, oltre a non disporre di un secondo appartamento in Svizzera, qui non godrebbe delle migliori opportunità professionali, le stesse essendo uguali, se non addirittura migliori, nello Stato di residenza, ossia in Italia. A mente del seco, l'annuncio alla disoccupazione svizzera non sarebbe stato motivato dalle migliori opportunità di reinserimento nel nostro Paese, ma bensì semplicemente dal fatto che qui avrebbe potuto beneficiare di più consistenti indennità di disoccupazione. Per il resto sostiene che la CGCE avrebbe imposto di applicare la sentenza Miethe in modo restrittivo e di negare ai veri lavoratori frontalieri un diritto di scelta. Di conseguenza un'applicazione analogica di tale prassi al caso di specie, come ha per contro ritenuto l'istanza precedente, non si giustificherebbe.
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9. Giustamente la parte resistente ricorda che il fatto di essersi rivolta alle autorità italiane e di avere chiesto in Italia il versamento delle indennità di disoccupazione non è certamente da ascrivere a una sua libera scelta, bensì è da ricondurre alle erronee, o quantomeno incomplete, indicazioni fornite dagli organi di esecuzione della LADI, che non gli avrebbero accennato all'eventualità - più che teorica, considerata la sua situazione - di fare capo all'assicurazione svizzera. Questi ultimi lo avrebbero chiaramente indirizzato all'INPS. Non avendo motivo per dubitare della competenza e della pertinenza delle informazioni ricevute, egli si sarebbe semplicemente limitato a seguire le istruzioni e a fare pieno affidamento nelle indicazioni delle autorità elvetiche. Questa osservazione merita piena tutela. L'istruttoria cantonale ha infatti appurato la circostanza raccogliendo in particolare le testimonianze del caposede URC, O., e di C. che non lasciano spazio ad altra interpretazione se non a quella cui è giunta la Corte cantonale. Su tale questione non mette pertanto più conto di tornare, tanto più che il seco nemmeno contesta - giustamente - l'attendibilità delle dichiarazioni testimoniali. La richiesta (iniziale) di prestazioni italiane di disoccupazione è pertanto spiegabile alla luce di queste indicazioni. Va da sé che in ogni caso, qualora si dovesse concludere per un obbligo di prestazione a carico dell'assicurazione contro la disoccupazione svizzera, le prestazioni già ricevute dalle autorità italiane non potranno essere cumulate (art. 12 del regolamento n. 1408/71).
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Né si potrebbe propriamente sostenere che i legami professionali di H. con la Svizzera sarebbero meno importanti di quelli che poteva fare valere Horst Miethe con la Germania nella nota vertenza in qualità di rappresentante (itinerante) di commercio; non fosse altro per la mancanza di un vero vincolo di ubicazione per quest'ultima attività. Quanto al fatto che la tessera professionale, di cui sarebbe stato in possesso Horst Miethe anche dopo la sua iscrizione alla disoccupazione, avrebbe avuto validità solo in Germania, la circostanza, oltre a porre qualche legittima perplessità dal profilo dell'eventuale compatibilità con il diritto comunitario, non risulta comunque in questi termini né dalla sentenza della CGCE né dalle conclusioni dell'Avvocato generale.
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Per il resto, va comunque osservato, in via abbondanziale, che anche la Circolare del seco considera questo aspetto (la presenza di un "secondo domicilio" nel luogo di lavoro) unicamente come uno tra i possibili indizi per ammettere il necessario legame con lo Stato d'impiego. Ciò che non esclude pertanto l'applicazione della giurisprudenza Miethe nel caso di specie.
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