BGE 102 Ia 35 - Deutsche Rechtsschrift | |||
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Bearbeitung, zuletzt am 16.03.2020, durch: Sabiha Akagündüz, A. Tschentscher | |||
8. Estratto della sentenza 8 marzo 1976 della Corte di cassazione penale nella causa X contro Procuratore pubblico della giurisdizione sottocenerina. | |
Regeste |
Pflicht zur Verwendung der Amtssprache des Kantons im Verkehr mit den kantonalen Behörden. Auswirkungen. Überspitzter Formalismus. Art. 4 BV. |
1. Im Verkehr mit den kantonalen Behörden ist die Amtssprache des Kantons zu verwenden (Bestätigung der Rechtsprechung). |
2. Die kantonale Behörde, die innert Frist eine in einer anderen Sprache als der Amtssprache des Kantons abgefasste Rechtsschrift erhält, sie dem Betreffenden nicht zurückschickt zur Übersetzung in die Amtssprache innert einer Nachfrist, sondern sie ohne weiteres für unzulässig erklärt, verfällt in überspitzten Formalismus und verletzt damit Art. 4 BV. | |
Sachverhalt | |
A.- Con sentenza 14 agosto 1975 il Pretore di Lugano-Distretto condannava X. a quindici giorni di detenzione per distrazione di oggetti inventariati, ai sensi dell'art. 169 CP.
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Contro tale sentenza X. presentava tempestivamente alla Corte di cassazione e di revisione penale un ricorso redatto in lingua tedesca.
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La Corte cantonale respingeva, in quanto ricevibile, il ricorso. Essa rilevava che, essendo l'italiano lingua ufficiale del cantone Ticino, il gravame era irricevibile. Nel merito esso era d'altronde infondato, a mente della Corte cantonale, la quale motivava tale sua conclusione.
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X. è insorto dinnanzi al Tribunale federale contro la decisione della Corte cantonale con un ricorso di diritto pubblico fondato sull'art. 4 Cost. Egli chiede l'annullamento della sentenza impugnata, dato che, a suo avviso, il tempestivo gravame presentato alla Corte cantonale non poteva essere considerato senz'altro come irricevibile; la Corte gli avrebbe dovuto quanto meno assegnare un termine complementare che gli consentisse di far procedere ad una traduzione italiana dell'atto di ricorso.
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Il Tribunale federale ha respinto il ricorso esclusivamente per il fatto che la Corte cantonale aveva in realtà anche esaminato il merito del gravame sottopostole.
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Auszug aus den Erwägungen: | |
Considerando in diritto:
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Erwägung 1 | |
1.- La Corte cantonale ha rettamente ribadito che per rivolgersi alle autorità cantonali gli interessati devono servirsi della lingua ufficiale del Cantone. Trattasi di un principio consolidato, che non v'è ragione di rimettere in discussione. Ne segue che la Corte di cassazione e di revisione penale del Cantone Ticino non era tenuta ad entrare nel merito del ricorso dell'11 ottobre 1975, propostole dal ricorrente. La questione litigiosa è al riguardo se essa potesse dichiarare tale gravame senz'altro come irricevibile, o se dovesse dare previamente al ricorrente l'occasione di porre rimedio, entro un termine complementare, al vizio formale costituito dall'uso di una lingua diversa da quella ufficiale del Cantone.
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La Corte cantonale fa valere nelle proprie osservazioni che nella procedura penale ticinese non v'è alcuna disposizione che imponga o consenta di accordare ad un interessato un termine complementare per sanare un vizio che comprometta la validità di un ricorso. Tale rilievo è formalmente esatto. Va tuttavia notato che la procedura penale è soggetta non solo alle specifiche norme processuali contenute nella legislazione cantonale, bensì anche ai principi posti dalla Costituzione federale, in particolare a quelli sgorganti dall'art. 4 Cost. Tale articolo costituisce, tra l'altro, un presidio contro il diniego formale o materiale di giustizia, nella misura in cui le disposizioni processuali cantonali, applicabili in primo luogo, già non garantiscano quella protezione giuridica minima che l'art. 4 Cost. intende assicurare per quanto concerne il regolare svolgimento di un procedimento giudiziario od amministrativo. Secondo costante giurisprudenza (v. da ultimo DTF 101 Ia 112 segg.), un formalismo eccessivo, ossia non giustificato dalla protezione di un interesse degno di considerazione e tale da complicare in maniera insostenibile l'applicazione del diritto materiale, equivale ad un diniego di giustizia ai sensi dell'art. 4 Cost. Nella fattispecie l'assegnazione di un termine complementare per la traduzione italiana del ricorso non avrebbe leso alcun interesse meritevole di considerazione. L'interesse a garantire ad un imputato condannato la possibilità di far rivedere il suo caso da un'istanza superiore, a costo di prolungare di poco la procedura ricorsuale, appare di gran lunga superiore all'interesse ad un ossequio immediato e di prim'acchito d'una norma di natura puramente formale e destinata soltanto a tener debito conto della situazione linguistica ufficiale di un Cantone. S'intende che il termine complementare sarebbe dovuto servire esclusivamente alla traduzione (e non anche ad un'eventuale integrazione o modificazione) del ricorso, dato che altrimenti si sarebbe consentita una proroga indebita di un termine fissato dalla legge: il termine ricorsuale deve infatti essere reputato osservato con la presentazione del gravame redatto in una lingua diversa da quella ufficiale del Cantone. Nel caso in esame sarebbe stato sufficiente un termine complementare assai breve, stante la laconicità del gravame dell'11 ottobre 1975 presentato in lingua tedesca dal ricorrente.
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Che nell'ambito della procedura ticinese il diniego della concessione all'interessato di un termine complementare per procedere alla traduzione in italiano di un atto redatto in altra lingua possa comportare un eccessivo formalismo e, quindi, un diniego di giustizia, risulta in modo tanto pii manifesto ove si consideri che nella procedura civile, ossia in un ambito in cui sono generalmente in gioco interessi che concernono semmai solo in minor grado la libertà personale del singolo, l'art. 142 cpv. 2 del vigente codice di procedura civile ticinese dispone espressamente: "Il giudice rinvia alla parte un atto non redatto in lingua italiana..., assegnandole un termine per rimediare al difetto. In questo caso la data dell'insinuazione si fa risalire alla consegna del primo atto". Non v'è ragione di non applicare tale equo principio anche nella procedura penale, pur in assenza di una norma codificata in questo senso nel diritto processuale penale ticinese. S'intende, ovviamente, che questa regola lascia salvi i casi di abusi manifesti, di manovre defatigatorie, ecc., che soggiacciono alle sanzioni previste per tale maniera di procedere.
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